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La liturgia del 1 maggio non ferma le morti sul lavoro

- di: Redazione
 
La liturgia del 1 maggio non ferma le morti sul lavoro
Anche quest'anno, nelle celebrazioni in occasione della Festa del lavoro, il messaggio principale, oltre alle rivendicazioni per salari migliori, realmente capaci di aiutare le famiglie (quindi, con aumenti ben al di sopra della sferza dell'inflazione) , è stato quello per la sicurezza sui posti di lavoro.
Una richiesta che, purtroppo, si ripete da anni senza che siano stati trovati strumenti efficaci per fermare una strage che non s'è arrestata nemmeno ieri, 1 maggio, quando i lavoratori nelle piazze hanno chiesto quello che è normale: tornare a casa, alla fine di un turno senza che questa sia considerata una fortuna.
Eppure anche ieri la tragica contabilità dei morti sul lavoro si è aggiornata. Un operaio è morto in un cantiere del sud; un altro, al nord. E quest'ultimo, sessantanovenne, era al lavoro nonostante che, per l'età, dovesse essere da tempo in pensione.

La liturgia del 1 maggio non ferma le morti sul lavoro

Si dirà che prima di dare giudizi occorre conoscere bene le cause che inducono chi ha già raggiunto la fatidica soglia a non starsene a casa e non invece a tornare sul cantiere o anche dietro una scrivania, poco importa. Ma appare abbastanza scontato dire che ci sono quasi sempre esigenze economiche, perché i soldi non bastano mai, per sé stessi o, come ormai accade in molte famiglie, per aiutare i figli.

Una realtà con cui fare i conti, ma che poco sposta la considerazione su questo tremendo fenomeno, che comunque non è solo italiano, anche se dalle nostre parti si preferiscono le parole ai fatti.
Ma anche questa è una cosa che, realisticamente, oggi è poco praticabile perché occorrerebbe un'azione che si muova su più piani. A cominciare da quello dei controlli che sono esperiti (o, almeno, lo dovrebbero essere sulla carta) da ispettori del lavoro che sono in numero talmente esiguo che, per completare il ciclo delle ispezioni, occorrerebbero anni, moltissimi anni, garantendo in questo modo una sorta di impunità a chi, sui cantieri, della sicurezza dei lavoratori se ne frega.

Perché la sicurezza, sebbene necessaria, ha un costo che le imprese intendono affrontare, ma al minimo.
Poi, perché siano realmente al riparo da incidenti mentre solo al lavoro, gli operai dovrebbero avere avuto insegnati i rudimenti della sicurezza. Cosa che spesso viene fatta figurare senza che questo accada nella realtà.
Quindi, al di là delle vuote parole, quello che è urgente è una presa di coscienza che vada dalla base - le maestranze - su, su, su fino in cima alla catena decisionale: chi governa. Se le sanzioni, sbandierate e non sempre attuate, non bastano occorre pensare ad altro. A misure anche traumatiche, ma che siano concrete.
Perché forse è meglio fermare amministrativamente un cantiere prima che divenga teatro di una tragedia. Gli ammortizzatori sociali ci sono. A mancare forse è il coraggio.
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