Malgrado alcune riserve sollevate dai partiti all’opposizione, vi è una sostanziale continuità del Documento di Economia e Finanza ’23 con le linee di politica economica del Governo Draghi. In questo contesto, si può evidenziare che la spinta alla crescita nel periodo post-pandemia è il Pnrr, nonostante i fondati interrogativi sulla messa in opera di importanti investimenti previsti. Può, inoltre, determinare ritardi attuativi la decisione di sostituire il Ministero dell’Economia nel ruolo di “cabina di regia” del Pnrr, con un nuovo soggetto da organizzare in pochi giorni. E a complicare ulteriormente lo scenario tratteggiato nel Def ‘23 potrà contribuire il nuovo patto di stabilità Ue, con le sue regole sulla diminuzione del debito pubblico. Nel bilancio ’23, inoltre, non ci saranno gli effetti sulla tenuta del Pil conseguenti all’erogazione dei vari bonus del ’22.
Un nuovo modello economico per affrontare i mutati assetti internazionali
Nel complesso, il Def ’23 si muove nella tradizione della manovra di politica economica ispirata dalla prudente e realistica Ragioneria dello Stato. Tuttavia, i movimenti in atto nella ridefinizione della divisione internazionale della produzione (si pensi al nuovo blocco Cina-Russia) impongono una azione straordinaria di investimenti finalizzati alla trasformazione produttiva, in aggiunta al Pnrr. Il punto di partenza è un “Patto per il Lavoro”.
Negli ultimi trent‘anni, come è noto, la remunerazione reale media del lavoro dipendente, in Italia, è diminuita del 2,9%, creando un giustificato malessere sociale. Questo fatto, unito agli attuali bassi salari, non promuove quella competitività di cui avrebbe bisogno il sistema produttivo italiano. Quello che serve, cioè, è un radicale cambio di rotta. In altri termini, va adottata una politica di investimenti particolarmente intensa, anche se ci troviamo in una congiuntura difficile, e dovrà riguardare il mondo del lavoro. E’ questo il principale strumento per dare sostegno al Pnrr nel medio periodo. Siamo di fronte al fallimento sociale del modello “neo-liberista”, affermatosi dopo il crollo del muro di Berlino, modello che ha premiato ristrette “èlites”, a scapito dei ceti sociali medio bassi. A questa emergenza sociale va data una risposta, che punti alla riduzione delle disuguaglianze sociali, premessa indispensabile per affrontare anche l’emergenza climatica, che penalizza maggiormente le classi più povere.
È indispensabile ripensare il nostro modello economico partendo dal mondo del lavoro per affrontare, in modo innovativo, i nuovi assetti internazionali, nella consapevolezza che si sta delineando una seconda guerra fredda che coinvolge da un lato il blocco Cina-Russia e dall’altro il mondo occidentale. Ripensare il modello economico significa, innanzitutto, dare priorità al capitale umano; priorità che non può prescindere, tra l’altro, dalla sostenibilità delle politiche di tutela ambientale.
La proposta di un Patto per il Lavoro prevede una ricostituzione del potere di acquisto dei lavoratori dipendenti, mediante una loro partecipazione, a fine esercizio, agli utili aziendali delle imprese private e pubbliche. È opportuna, al fine degli aumenti salariali, una revisione della progressività delle aliquote fiscali: più tasse ai detentori dei redditi alti; minore quota del cuneo fiscale a carico dei dipendenti. Non sono, certo, a favore dei redditi dei ceti minori né la “flat tax”, né “una tantum sul patrimonio”, che sono strutturate, come appare ovvio, a favore del Capitale.
La capacità di spesa del lavoratore va tutelata anche con l’introduzione del salario minimo, positiva novità normativa se viene gestita con saggezza e con un’applicazione progressiva nel tempo, compatibile con la contrattazione collettiva. Ci sembra ormai maturo il tempo per una partecipazione dei lavoratori alla gestione aziendale, come pure per la realizzazione della parità salariale uomo-donna, a parità di mansioni. Lo sviluppo della tecnologia digitale, con la conseguente crescita della competitività della produzione italiana, è funzionale alla formazione di alti profitti alla “tedesca”, così che siano remunerati sia il capitale che il lavoro, che può essere destinatario di medio-alti salari.
Insieme a programmi di formazione professionale permanenti, va promosso il “reddito di intelligenza” (C. De Benedetti ”Radicalità”): borse di studio, finanziamenti diffusi pubblici a sostegno dell’idea imprenditoriale innovativa, permessi retribuiti per periodi formativi. Il reddito di intelligenza va pensato in particolare per i giovani. E’ risaputo che quelli che emigrano all’estero sono generalmente i più bravi perché, in Italia, non trovano una prospettiva di retribuzione che dia loro, in tempi ragionevoli, un’autonomia patrimoniale. L’uscita dall’Italia è una risposta sociale.
In Italia, infatti, ci si sta avviando verso un dualismo negativo per la crescita del sistema produttivo: da un lato un’èlite di affermati professionisti ad alto reddito e dall’altro un massa di giovani laureati sottopagati. Solo tenendo presente tutto questo, il “Patto per il Lavoro” potrà contribuire all’indispensabile processo di trasformazione della nostra futura società.