La metafora del ponte spezzato

- di: Massimiliano Lombardo
 

Il presente è un ponte sospeso tra passato e futuro. Le immagini di Genova e del suo tragico ponte spezzato, innaturale nella sua sospensione sul vuoto, rimbalzate sui tutti i media nelle ultime settimane, costituiscono una metafora dolorosamente efficace dei tempi correnti nel nostro Belpaese.
Il filosofo novecentesco Henri Bergson, come l’antico epicureo romano Lucrezio e in certa misura la teoria della relatività di Einstein, associavano il tempo al movimento, in un fluire costante che, come un ponte, collega senza soluzione di continuità il passato al presente al futuro.
Un ponte che si spezza ed interrompe il flusso assume allora una valenza simbolica molto potente; oltre alla tragedia umana, gravissima, delle vittime e della popolazione l’immagine di quel ponte in bilico rappresenta, in una visione più generale, un corto circuito dell’idea stessa di progresso, del rapporto dell’uomo con il territorio, del suo controllo e della fiducia sulla sicurezza delle proprie opere.
Questo evento così traumatico dovrebbe produrre l’effetto di aprire un ampio e serio dibattito pubblico sulle modalità attraverso cui mettere mano a quella che appare una vera e propria emergenza nazionale, la manutenzione e la messa in sicurezza del nostro patrimonio infrastrutturale, partendo da strade e autostrade, ma non solo.
Il tema delle infrastrutture e degli investimenti necessari e non rinviabili, già più volte affrontato su queste colonne, non solo per la costruzione delle nuove ma anche (soprattutto) per il mantenimento o la rinnovazione – in termini sia di sostituzione che di revamping – di quelle esistenti, è comune a quasi tutti i paesi occidentali, non solo l’Italia ma anche la Germania, la Gran Bretagna, la Francia, gli Stati Uniti.
Tutti questi Paesi, che hanno avuto un grande sviluppo economico, tecnologico e di conseguenza infrastrutturale nel corso del Novecento, e che sulle macerie del dopoguerra hanno dovuto provvedere alla ricostruzione di città, opere e reti, hanno l’urgenza di affrontare il problema dell’età media avanzata di tali infrastrutture, della loro manutenzione e della rispondenza a standard di sicurezza che si sono evoluti nel tempo e che i cittadini giustamente pretendono siano garantiti.

Nell’agenda politica una priorità di tal fatta dovrebbe senz’altro prevalere rispetto ad un approccio meramente punitivo, e non sempre razionale (quanto meno dal punto di vista giuridico e amministrativo) come visto in alcune delle prime reazioni. La ricerca delle responsabilità, dei colpevoli, appartiene alla realtà dei processi e delle procedure legali a ciò preposte, che hanno tempi propri – non compatibili con la ricostruzione immediata di un’infrastruttura essenziale – e che operano su un piano ben differente dall’azione amministrativa, così come della cronaca politica. Alla magistratura ed ai rimedi giurisdizionali compete di accertare la verità tecnica e giuridica e comminare le conseguenti sanzioni. Al potere amministrativo ed esecutivo compete invece di trovare la soluzione immediata, più efficace e soprattutto legalmente percorribile per la ricostruzione dell’opera, oltre che per la protezione sociale ed economica delle vittime e dei diretti danneggiati.
Un Procuratore della Repubblica, intervistato sul tema, ha giustamente osservato che la ricerca complessa e approfondita della verità processuale, i cd. tempi della giustizia, sono garanzia di democrazia, che si differenzia rispetto ad un regime autoritario dove si individua subito il presunto colpevole e lo si condanna seduta stante, la cd. giustizia sommaria.
Se si esclude una manifestazione di emotività, che non dovrebbe appartenere al modus agendi di nessun potere dello Stato, risuonano dei toni della sommarietà alcune prime reazioni che hanno prefigurato l’immediata revoca o decadenza della concessione (che sono peraltro concetti ben diversi tra loro), prima di avere atteso di esperire i rimedi che l’ordinamento prevede.
La revoca è un istituto giuridico generale per il quale la pubblica amministrazione può porre termine a qualsiasi contratto, per motivi di pubblico interesse, cioè una discrezionale ed autonoma scelta dell’amministrazione che prescinde dal grave inadempimento del privato; in tal caso dovrà pagare al concessionario un consistente indennizzo, che copre sia i costi sostenuti ed il valore delle opere, così come i mancati guadagni (secondo le prime stime all’incirca 20 miliardi, il valore di una manovra finanziaria). Viceversa le ipotesi di grave inadempimento danno luogo alla risoluzione del contratto (che per alcuni tipi di concessioni, come quelle demaniali o quelle autostradali, prende anche il nome di decadenza). In questo caso l’indennizzo che viene pagato è inferiore, presuppone l’esistenza di una grave violazione delle disposizioni contrattuali e può prevedere anche l’applicazione di una penale a carico del privato. 
Il sacrosanto principio del “chi sbaglia paga” può dunque avere molteplici declinazioni, dall’obbligo di risarcire tutti i danni pur nella continuazione del rapporto contrattuale, alla giustificata interruzione anticipata del contratto, la quale però non è soluzione immediata del problema, dovendo chiudere prima un rapporto contrattuale molto complesso (quale quello di una concessione) ed avviare le procedure amministrative per individuare i soggetti che dovranno ricostruire, oltre al nuovo gestore (sia esso pubblico o privato). 

Occorreranno tempi, atti e provvedimenti, che dovranno essere adottati secondo le regole di certezza del diritto e non sull’onda dell’emotività. E che, come avviene in uno Stato di diritto, saranno se del caso verificati da un giudice competente, assicurando tutela ad entrambe le parti – pubblico e privato – della vicenda.
Si auspica che, passata l’onda emotiva e superate le dichiarazioni giornalistiche, oltre il caso specifico di Genova si riacquisti una visione del futuro che cerchi di costruire un percorso e delle soluzioni concrete e praticabili al problema generale dell’obsolescenza del patrimonio infrastrutturale, della messa in sicurezza e della manutenzione straordinaria.
Non esistono soluzioni semplici a problemi complessi; governare la complessità è la principale attitudine richiesta ai governanti. Non a caso ricordava Piero Calamandrei che la qualità di una democrazia dipende dalla qualità della classe dirigente.
Si torna qui alla metafora iniziale del ponte ed al rischio che si resti sospesi in un limbo di indecisioni: dopo lo sgomento del crollo e la sensazione di essersi trovati per un momento affacciati sul nulla, si trovi la forza e il coraggio di trarre da questo tragico evento la spinta a cercare le soluzioni tecniche, economiche e giuridiche più adatte per investire sul sistema infrastrutturale, manutenerlo, metterlo in sicurezza e rinnovarlo.
Sperando che si tengano sempre a mente le sagge parole di Platone, il quale diceva che ogni problema ha tre soluzioni: la mia soluzione, la tua soluzione e la soluzione giusta.

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