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Medio Oriente: Sharm el Sheik, il tavolo fragile della tregua

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Medio Oriente: Sharm el Sheik, il tavolo fragile della tregua

Sul Mar Rosso, in un Egitto ansioso di recuperare centralità regionale, si consuma un negoziato che potrebbe segnare la prima vera svolta nel conflitto tra Israele e Hamas. L’obiettivo dichiarato — scambio di ostaggi e cessate il fuoco — è al tempo stesso un terreno di scontro: per Tel Aviv, liberare i prigionieri senza neutralizzare Hamas equivarrebbe a una sconfitta; per il movimento palestinese, cedere senza garanzie di tregua stabile significherebbe subire un’umiliazione politica e militare.

Medio Oriente: Sharm el Sheik, il tavolo fragile della tregua

L’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca ha mutato il quadro. Il nuovo presidente, che nel suo primo mandato aveva incoraggiato gli Accordi di Abramo, ora si presenta come garante di un “accordo vantaggioso per Israele”, ma con un approccio transazionale: ogni concessione americana dovrà avere un ritorno tangibile per Washington.
Fonti diplomatiche confermano che la telefonata di venerdì tra Trump e Netanyahu è stata tesa: il presidente israeliano chiede garanzie sull’eliminazione della minaccia militare di Hamas, mentre Trump insiste per chiudere almeno un’intesa temporanea che possa essere presentata come un successo della sua leadership.

Le faglie interne israeliane
La politica israeliana è attraversata da divisioni che indeboliscono la mano di Netanyahu. L’ala ultranazionalista, incarnata dai ministri Ben Gvir e Smotrich, minaccia di far cadere il fragile compromesso di governo se il negoziato non prevede il disarmo di Hamas. Il premier cerca di guadagnare tempo, riducendo le operazioni militari a Gaza come gesto di distensione, ma lasciando intendere che l’IDF è pronta a riaprire l’offensiva.

Hamas e la guerra di narrativa
Dal lato palestinese, il rifiuto di confermare le indiscrezioni sul presunto recupero dei corpi degli ostaggi e sulla consegna delle armi è un modo per mantenere il controllo del proprio racconto politico. Hamas sa che un accordo percepito come resa incrinerebbe il suo prestigio interno e la sua legittimità regionale, soprattutto nei confronti di Teheran e di Doha.

Roma, il Mediterraneo e la voce morale
Per l’Italia, la vicenda ha anche una dimensione di sicurezza e immagine. Il ministro degli Esteri Tajani ha annunciato il rientro dei quindici italiani trattenuti in Israele, fra cui Greta Thunberg, impegnata nella flottiglia umanitaria. Dal Vaticano, Papa Leone invoca uno stop alle violenze, riaffermando il ruolo della Santa Sede come voce morale in un contesto dominato dal calcolo strategico.

Equilibri regionali in gioco
Il tavolo di Sharm el Sheik è un banco di prova per tre protagonisti: l’Egitto, che tenta di riaffermarsi come mediatore indispensabile; Israele, che non vuole rinunciare all’obiettivo di neutralizzare Hamas; gli Stati Uniti, che devono dimostrare di poter ancora influenzare gli eventi in Medio Oriente, mentre competono con la Cina e gestiscono la crisi ucraina.
Se la tregua fallisse, l’offensiva israeliana riprenderebbe con maggiore intensità, trascinando il conflitto verso un nuovo ciclo di instabilità che rischia di investire non solo Gaza ma anche il Sinai e il fronte libanese, con effetti potenzialmente dirompenti per l’intero Mediterraneo.

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