Mattia Santori, che cominciò sardina per finire a fare il pesce in barile

- di: Redazione
 
Certi personaggi, se non esistessero in natura, bisognerebbe inventarli perché, nella commedia umana, c'è oggettivamente bisogno di qualcuno che faccia da esempio, da imitare oppure da additare alla pubblica esecrazione. Personaggi come quelli che, muovendosi nelle acque basse della politica (l'immagine non è affatto casuale), cercano di sopravvivere quando si accorgono che, nati squali, sono diventati pescecani.
Parliamo di Mattia Santori, non perché faccia notizia di per sé, ma perché, avendo ufficializzato di avere preso la tessera del Partito democratico, qualche commento se lo è guadagnato.
Non entriamo nel merito della scelta politica che ha fatto (grazie a Dio, nel nostro Paese è ancora consentito), ma della parabola di questo ragazzo, che ormai tanto ragazzo non è, che in pochi anni ha saputo dire di quel partito di cui oggi fa ufficialmente parte tutto il male possibile. Diritto di critica, e ci mancherebbe pure che lo contestassimo. Ma il punto è che si entra in un qualcosa se vi si crede, se lo si fa con l'obiettivo di migliorarlo, di dare un contributo. Però c'è anche un limite alla decenza perché, per Santori, il Pd fino a poco tempo fa era da mettere su un tavolo operatorio per aprirgli il torace per togliere vie le metastasi della cattiva politica.
Esageriamo, con questi giri di parole di profilo medico? Nemmeno tanto.

Mattia Santori, che cominciò sardina per finire a fare il pesce in barile

Lo scorso ottobre, non un paio di ere geologiche fa, Santori disse, parlando del Pd, che è ''un partito malato, che va cambiato. Bisogna andare oltre''. Quindi, logica alla mano, per lui il Pd era (il tempo passato, a questo punto, è d'obbligo) una malformazione, un errore della Storia, una masnada di persone e personaggi che non si può nemmeno pensare di convincere, ma solo di cancellare. E invece oggi, a poco meno di tre mesi da quel fondamentale giudizio, tutto sembra essere cambiato nella testa della ''sardina'' per antonomasia, che pare ora essersi convinto che forse c'è qualcosa da salvare nel Pd e che quest'opera (di ricostruzione e proiezione di un futuro che sia ''il sol dell'avvenire'') possa vederlo irrinunciabile protagonista. Già, perché, alla fine, batti e ribatti, Mattia Santori cerca sempre di mettere sé stesso avanti alle sue idee, di fare prevalere l'immagine ''descamisada'' che tanto pare piacergli per dire ''eccomi, sono qui. Sono io l'uomo adatto, anzi il Supereroe, il vostro Ironman, il vostro Superman, pronto a salvare l'umanità''.

Una concezione egotica che qualche conferma ce l'ha, visto che, dell'originario ''banco'' di sardine, l'unico sopravvissuto è proprio lui, che forse non è il più intelligente, ma certo è il più furbo dell'originario nucleo di ''rivoluzionari''. In altri tempi, quando gli argomenti erano ben più importanti, come l'invasione dell'Ungheria o la repressione a Berlino est, bastava solo alzare un sopracciglio per essere sbattuti fuori a calci nel didietro dall'allora Pci. Oggi, per fortuna sua, il Pd è realmente democratico e quindi apre la braccia a tutti. Anche a coloro che, fino a ieri, gli lanciavano addosso palate metaforiche di escrementi animali. Il saccente Santori, entrando nel Pd, spera di avere spianata la strada per chissà quali obiettivi. Bisogna forse mettere attenzione sull'endorsement a favore di Elly Schlein, impegnata nella corsa alla segreteria nazionale del partito, fatto forse sperando che, in caso di vittoria, ci si possa ricordare di lui, dandogli incarichi importanti.

Ognuno è padrone di coltivare i sogni che vuole, ma certo un minimo di coerenza ci vuole e per uno che ha sempre seguito l'irresistibile tentazione di salire in cattedra, di impartire lezioni, a tutti appare poco credibile la scelta di tapparsi orecchie e occhi, di fare finta che il suo passato e le parole che lo hanno caratterizzato possano essere cancellate con un tratto di penna.
Rossa, ovviamente.
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