Il secondo Mattarella comincia e ne ha per tutti
- di: Diego Minuti
L'inizio è stato quasi paludato, con parole misurate, che sono sembrate fare perfetto pendant con il tradizionale tre pezzi grigio che indossa, appena rischiarato dalla cravatta su fondo azzurro. Ma i passi felpati iniziali hanno, via via, lasciato il posto ad un testo che ha riservato appunti e stoccate un po' per tutti, chiedendo che la Costituzione torni ad essere la stella polare della Repubblica e i diritti di ciascuno siano salvaguardati, come forse oggi non accade.
Il secondo settennato di Sergio Mattarella è cominciato così, con un discorso dai forti contenuti nel corso del quale ha rivendicato il diritto del popolo a partecipare alle scelte generali attraverso la sua rappresentanza, il Parlamento, che spesso, invece, si trova tagliato fuori, dal momento decisionale, scavalcato da un eccessivo ricorso a formule che dicono di essere giustificate da una fase emergenziale.
Sergio Mattarella ha parlato in Parlamento dopo la sua rielezione come Presidente della Repubblica
Il giudizio di Sergio Mattarella sulla partecipazione del parlamento e sulle 'scorciatoie' che talvolta sono utilizzate è netto e suona come ammonimento per il futuro: ''Un'autentica democrazia - ha detto prima di essere subissato da applausi non di tutti, comunque - prevede il doveroso rispetto delle regole di formazione delle decisioni, discussione, partecipazione. L'esigenza di governare i cambiamenti sempre più rapidi richiede risposte tempestive. Tempestività che va comunque sorretta da quell'indispensabile approfondimento dei temi che consente puntualità di scelte. Occorre evitare che i problemi trovino soluzione senza l'intervento delle istituzioni a tutela dell'interesse generale: questa eventualità si traduce sempre a vantaggio di chi è in condizioni di maggior forza''.
Il Mattarella che ha cominciato oggi la sue seconda esperienza al Quirinale è sembrato molto diverso dal ''primo'' perché, giustificato dalla delicata contingenza sanitaria, economica e sociale che attraversa il Paese, è andato al cuore dei problemi, ovunque essi si manifestano. Anche le bacchettate alla politica, sia pure non dirette, sono state significative quando ha fatto capire che gli interessi generali devono essere tutelati e che la Repubblica, in questo percorso, deve sempre guardare al bene comune. E a questo concetto ha dato un nome, che Mattarella ha scandito più e più volte, ''dignità''.
Perché è violata la dignità quando non si riesce a fermare la catena di morti sul lavoro che, ha detto facendo il nome di Lorenzo Parrelli, lo studente morto nell'ultimo giorno del suo stage didattico in fabbrica, ''feriscono la società e la coscienza di ciascuno di noi''. Dignità è dire di no al razzismo e all'antisemitismo (anche in queste ore un ragazzo israelita è stato oggetto di violenza) e alla violenza sulle donne che, per il Presidente, è una ''profonda, inaccettabile piaga che deve essere contrastata con vigore e sanata con la forza della cultura, dell'educazione, dell'esempio''.
Mattarella ha anche intrecciato la dignità con il fenomeno delle migrazioni, ''soprattutto quando non siamo capaci di difendere il diritto alla vita, quando neghiamo nei fatti la dignità umana degli altri''. Niente che non avesse, su questo argomento, già detto prima, ma oggi, davanti ad un Parlamento dilaniato da lotte anche intestine, le sue parole sono sembrate assumere un valore diverso sia per l'occasione in cui sono state pronunciate, che per il fatto che Sergio Mattarella della solidarietà ha fatto un concetto cardine del primo settennato e tutto lascia pensare che lo sarà anche per il secondo.
Poi ''dignità'' è risuonato anche parlando di tratta di essere umani, di rispetto per i nostri anziani, per la povertà e la condizione di perenne precarietà senza futuro; di lotta alla mafia, di informazione libera e indipendente.
E poi gli affondi veramente politici verso una classe politica, e quindi anche verso il Parlamento (di oggi, di ieri), per non essere riuscito a risolvere il dilemma, che è di vita, che hanno davanti le donne quando devono scegliere, dolorosamente, tra lavoro e maternità; per lasciare colpevolmente che le carceri restino sovraffollate, impedendo il reinserimento sociale dei detenuti, che ha definito ''la migliore garanzia di sicurezza''.
Tradizionalmente ogni qual volta il nuovo presidente, dopo il giuramento, parla a chi lo ha eletto e al Paese, tocca molti argomenti e dal modo in cui lo fa si può capire cosa lui si aspetta dalla classe politica, quella che alla fine decide.
Quando ha affrontato le tematiche legate alla Giustizia, le sue parole sono state inequivocabili, a tratti sferzanti, lui che del Csm è stato e sarà presidente, augurando per essa ''un profondo processo riformatore''. E qui gli applausi sono stati immediatamente scroscianti, quasi a volere sottolineare che il problema esiste e di esso tutti hanno consapevolezza, anche se sino ad oggi, ogni volta che si parla di riforma della giustizia, si scatena una guerriglia parlamentare incomprensibile all'esterno del Palazzo (''Per troppo tempo è divenuta un terreno di scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della collettività'', ha detto il presidente).
La giustizia italiana è malata, lo si sa da tempo immemorabile, vivendo l'ordine giudiziario in un regime autoreferenziale, condizionato da personalismi e ricerca di riconoscimenti, da mettere come fieno in cascina per il futuro. I cittadini in questo restano perplessi spesso non comprendendo a quali principi si ispira la Giustizia, vista come dispensatrice di torti e non invece, per come è quasi sempre, garanzia e tutela di eguaglianza.
''I cittadini" - ha detto Mattarella - "devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l'Ordine giudiziario. Neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la doverosa certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone''.
Sergio Mattarella, quindi, all'alba del suo mandato ha posto come obiettivo dello Stato e di tutti gli italiani la costruzione di un Paese moderno.
''Ma" - ha ammonito - "affinché la modernità sorregga la qualità della vita e un modello sociale aperto, animato da libertà, diritti e solidarietà, è necessario assumere la lotta alle diseguaglianze e alle povertà come asse portante delle politiche pubbliche''.