Un anno fa moriva Roberto Maroni, politico, musicista, uomo di passioni
- di: Romolo Martelloni
Negli ultimi quattro anni, quando già non lavoravo più per conto di un partito (tra poco capirete quale, senza che io lo spieghi subito), il primo messaggio della giornata che, preceduto dal classico ''ding'', arrivava sul mio smartphone, era un semplice punto interrogativo, nudo e crudo, senza nulla che lo accompagnasse, o un non meno sferzante ''La rassegna stampa?''. Una domanda retorica (sapeva benissimo, il mio interlocutore, che gli sarebbe arrivata di lì a poco), che si traduceva in qualcosa quasi di fisico, quasi fosse un colpo di staffile o soltanto uno schiaffetto.
Sia che fuori il buio fosse fitto e i soli rumori che arrivavano dalla strada erano di qualche poveraccio che, come me, lavorava quando gli altri dormivano, sia che qualche stilla di sole cominciava a palesarsi, quel ''ding'' era come un sorso di un caffè americano, lungo e senza gusto, quando ti aspettavi un ristretto o anche una tazzina della tua miscela preferita, uscita silenziosa dalla moka, spandendo il suo profumo per la stanza.
E, al di là del fatto che il numero del mio personalissimo tormento, delle ore tra la notte e l'alba, era memorizzato e quindi appariva sul display, solo una persona al mondo poteva mandare quei messaggi sapendo che mai e poi mai l'avrei spedito a quel paese.
Perché quella persona era Roberto Maroni, che - come si dice in questi casi, abusando della frase - ci ha lasciato troppo presto, ma quanto è vero affermarlo.
Un anno fa moriva Roberto Maroni, politico, musicista, uomo di passioni
Se n'è andato per un male bastardo, che si è portata via una delle migliori intelligenze della politica, un uomo che si schermava dietro un sorrisetto, che si metteva in faccia la mattina, accantonandolo in un angolo della sua personalità la sera, quando era in famiglia o con gli amici più cari. Un mezzo ghigno che gli serviva come fosse un passepartout della mente, quasi per smantellare anche solo le avvisaglie di un attacco personale.
Lui quel sorriso lo mostrava sempre, anche quando, in virtù dei suoi incarichi, doveva maneggiare dossier delicatissimi, nei quali emergevano alcune delle sue ''personalità'' o, se volete, alcune delle sue passioni: il diritto, inteso, oltre che come sistema di regole, anche come, da sostantivo, qualcosa che non si deve negare a nessuno; la politica, quella alta, quella che qualifica e non l'altra, che sputtana tutti per la volgare esibizione delle prerogative; la lettura, nel poco tempo che i suoi impegni; la musica.
Per ciascuna di queste passioni si potrebbe dire tanto, aprire un dibattito, accettare interpretazioni o scatenare i cultori dell'esegesi. Ma non per la musica che era la passione per antonomasia. Perché dietro le note, il fare correre le dita sul suo amato Hammond, c'era l'adorazione per la perfezione della musica, di tutta la musica, perché la sua curiosità era grandissima, come la sua preparazione.
Io, che di musica mastico il giusto, non sentendomi un esperto, eppure con le mie conoscenze (non rida chi mi conosce: non mi sono fermato alle canzonette...), intavolavo con lui dei piccoli confronti, che mi vedevano uscire inevitabilmente sconfitto, perché gli bastava citare, uno dietro l'altro, marche e modelli di chitarre elettriche per rimettere a posto il mio ego.
Roberto era così. Uomo di passioni, se ce n'è stato uno tra quelli che ho conosciuto. Ah, dimenticavo c'era anche il Milan, con cui aveva un rapporto viscerale che non era allentato nemmeno dal fatto che, in cima alla piramide rossonera, c'era qualcuno che, politicamente, era su una barricata diversa dalla sua. Stesso lato (a corrente alterna), ma barricata diversa. E a me, romanista convinto, anche senza la sua passione per il calcio, consigliava sempre di ignorare i risultati, perché la passione non guarda ai numeri.
Un anno è passato da quando mi arrivò la notizia che quella malattia che lo aveva aggredito aveva avuto la meglio su di lui. La nostra non era una amicizia da giustificare lacrime, ma lo sconforto me lo sono portato dentro per molto tempo, pensando che l'Uomo, seppure nella sua grandezza, non era immune da pecche.
Come il fatto di essere sempre cauto nel concedere la sua amicizia, ma che, quando lo faceva, non sempre si rendeva conto che altri, innalzando il suo nome, ne abusavano.
Come il forte gorilla della montagne, Roberto Maroni, saltando da un ramo all'altro, aveva scalato il grande albero della politica e forse non si era accorto che, in questo modo, aveva aperto la strada a chi poco aveva a cuore le sorti della gente, ma solo la propria.
Spero solo che, ovunque si trovi, Bobo sia accanto a chi abbia avuto le sue stesse passioni e che, davanti a una sequenza di tasti, circondato da note, sia felice.
Magari, ad accompagnarlo troverà, che so? , Jimi o Kurt con le loro Fender? Oppure, come vocalist, Janis o Amy? O forse sarà da solo, a suonare magari un blues, alla Wilson Pickett o ripetere, canticchiandolo, il racconto che Bruce Springsteen ha fatto delle strade di Philadelphia.
Buona musica, Bobo.