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Malagò saluta Pietrangeli: “Un gigante. Ha finito il suo calvario”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Malagò saluta Pietrangeli: “Un gigante. Ha finito il suo calvario”

L’addio di Giovanni Malagò a Nicola Pietrangeli non è una dichiarazione istituzionale, ma un sussulto personale. Un dolore che emerge tra memoria privata e riconoscenza. “Nicola è un amico di famiglia, ma di quelli ristretti, lo sanno tutti: famiglia Pietrangeli, Pesci e Malagò. Abbiamo fatto tutte le vacanze insieme, da sempre, legati in un modo quasi da libri di storia”, racconta l’ex presidente del Coni, oggi alla guida della Fondazione Milano-Cortina e membro del Cio. Il legame non è solo sportivo: è una trama familiare, estiva, quotidiana, che attraversa decenni di vita condivisa.

Malagò saluta Pietrangeli: “Un gigante. Ha finito il suo calvario”

Sabato pomeriggio, poco prima dell’ultimo capitolo, Malagò è andato a trovarlo: “Sono stato a trovarlo con un amico in comune di famiglia, sono stato a parlare con i figli Marco e Filippo che erano lì, poi uscendo dalla camera mi sono messo a piangere”. Non era un’immagine qualsiasi quella che ha trovato. Era l’opposto della vitalità che Pietrangeli ha incarnato per una vita intera. “Vedere un uomo come Nicola, forte come una quercia, sempre così energico, sempre al centro della vita, in quelle condizioni, mi ha fatto pensare: speriamo che il prima possibile finisca questo calvario.” Parole che non nascondono la fatica di assistere all’ultima fragile fase di una persona che, per chi lo conosceva, era simbolo di forza, ironia, presenza.

L’uomo dietro il campione
Malagò insiste su un punto: Pietrangeli era lucido fino all’ultimo, ma il ricordo che vuole conservare non è quello della sofferenza. “Era lucido, lo voglio ricordare però in un altro modo. Gli dico grazie, storia personale e affetti che onestamente non si dimentica.” È in quel grazie che si cela il senso di un rapporto che ha superato il tennis, gli anni d’oro, i successi. L’uomo, prima del monumento sportivo.

Il palmarès che non ha bisogno di commenti
“A livello sportivo non servono parole, basta guardare il palmarès e i numeri”, osserva Malagò con un tono che dice tutto. Due Roland Garros, una Coppa Davis da capitano, decine di titoli, un posto fisso nella storia del tennis italiano. Ma la grandezza di Pietrangeli, aggiunge implicitamente, non si misura solo con le statistiche. Si misura con la sua capacità di essere un punto di riferimento, un compagno di viaggio, un’anima irriducibile nella vita di chi gli era vicino.

La ricciola gigante: un aneddoto che diventa simbolo

Poi arriva l’episodio che Malagò porta nel cuore, quello che racconta ogni volta con un sorriso e che oggi diventa un piccolo frammento di eternità. “Io avevo 13-14 anni, Nicola ne aveva 40, stavamo in barca di Franco Pesci, la mattina andavamo a pesca a traina, con Armando, il marinaio di Pesci. Eravamo a Spargi, arcipelago della Maddalena. A un certo punto facciamo il filo, che talmente diventa rigido che il tenderino si blocca.” Non era uno scoglio. Era un’apparizione. “Non era uno scoglio, era una ricciola. Non ho mai visto una cosa così grande nella vita, è arrivata a un metro dal tender, ci ha guardati, ci ha salutati e poi si è sganciata.” Ogni volta, ricorda Malagò, “lo ricordavamo e ci mettevamo a ridere”. Una scena minima, semplice, eppure enorme nella sua capacità di dire chi fosse Pietrangeli: un uomo che sapeva vivere il tempo libero come un’avventura, e la vita come un terreno di gioco infinito.

L’ultimo saluto a un gigante gentile

Oggi, che il “calvario” è finito e la quercia si è arresa, resta l’eredità di un campione e la presenza indelebile di un amico. Resta una ricciola impossibile, pescata e perduta in un attimo che dura da cinquant’anni. E resta la gratitudine di chi lo ha conosciuto davvero, al di là dei titoli e dei trofei. Perché per Malagò – e per molte generazioni di sportivi italiani – Nicola Pietrangeli non è mai stato solo un campione. È stato un pezzo di vita.

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