Ucraina: la Lega 'pacifista' spacca il governo
- di: Redazione
L'evoluzione sul campo della guerra in Ucraina che, per Putin e i suoi generali, si sarebbe dovuta concludere in pochi giorni, sta logorando quel che resta della coalizione di governo. Il doppio o anche triplo binario che sembrano seguire alcuni dei partiti che sostengono l'esecutivo Draghi sono la evidente conferma che il peccato originale (quello di avere messo quasi tutti dentro, per evitare traumatiche chiusure anticipate della legislatura) non è stato affatto cancellato. Piuttosto le divisioni si stanno acuendo, spesso prendendo a pretesto aspetti marginali dell'azione di governo.
La Lega prende posizioni moderate rispetto al conflitto in Ucraina
Tutto - si vede nell'azione di qualche partito - sembra utile per marcare le divisioni e, quindi, il proprio ruolo, contrapponendolo a quello degli altri che, per definizione, hanno torno. L'ultimo esempio viene dalle reazioni seguite alla decisione del Ministero degli Esteri di espellere trenta funzionari o impiegati dell'ambasciata di Roma della Federazione Russa, definendole 'persone non grate', una formula classica di casi del genere, dove la classificazione del profilo del destinatario del provvedimento è assolutamente secondaria rispetto al valore politico.
Una decisione, quella della Farnesina, che era nell'aria nel momento che altri Paesi dell'Occidente hanno preso o stanno per prenderne di simili. E' un tassello della più complessa politica di inaridimento delle fonti di credibilità della Russia, intorno alla quale si sta stendendo una rete di contenimento, che passa dall'economia, alla cultura, allo sport e, quindi, alla diplomazia.
Anche se l'Italia non è in una condizione di belligeranza, è evidente che è schierata accanto all'Ucraina, considerata un Paese sovrano che ha visto invaso il suo territorio. Non avendo militari sul teatro di guerra, l'Occidente ha deciso di sostenere la resistenza (o come la si voglia chiamare) degli ucraini agendo anche sul piano concreto e quindi inviando armi. L'Italia, come gli altri Paesi, lo ha fatto e continua a farlo. Solo che l'Italia è il Paese più dilaniato dalle polemiche che mischiano non solo la questione ucraina, perché tutto è utile per dimostrarsi ''contro''.
L'espulsione dei russi è stata presa dai (quasi tutti) partiti come un atto conseguenziale alla tensione internazionale. Con una rumorosa eccezione, la Lega, che, anziché limitarsi ad abbozzare senza commentare, ha detto la sua. E sono state parole - sia pure soft - di condanna della decisione di Luigi Di Maio, mai come oggi visto come fumo negli occhi dalle parti di via Bellerio, che lo ritiene troppo ''schierato'' contro la Russia.
Le dichiarazioni dei leghisti sono state improntate su un assioma: meglio la diplomazia che la guerra.
Bella forza, verrebbe da dire, come se in giro ci fosse chi la mattina si sveglia con il solo obiettivo di scatenare una guerra.
Per tutte le altre parole arrivate dal fronte leghista bastano le parole pronunciate da Matteo Salvini.
''Da che mondo è mondo, soprattutto nel 2022" - ha detto il segretario della Lega - "le guerre non le vinci con i carri armati e coi fucili o con l'arma nucleare. Le guerre le vinci con la diplomazia, con il dialogo, con il confronto, con il buonsenso, con il ragionamento''.
Un ragionamento, quello di Salvini, che sembra una posizione preconcetta e, comunque, digiuna di Storia, perché le guerre, per definizione, si risolvono sul campo e non nelle cancellerie dove si cerca di prevenirle oppure di ratificare il risultato del conflitto. Sarebbe interessante sapere se questa posizione il Salvini ''casa e chiesa'' degli ultimi tempi l'avrebbe avuta a ruoli invertiti, con la Russia nel ruolo di attaccata e non invece, come nella realtà, di aggressore.
Qui di politica estera, o più in generale di politica, c'è ben poco se non il fatto che nella Lega la corrente filo-russa è ancora importante. Lo si capisce dal tenore di dichiarazioni e commenti, rarefattesi in modo brusco quando si sono trovati davanti i microfoni dei giornalisti a caccia di verità sul 'Metropolgate' o, più banalmente, sugli accordi siglati con il partito di Putin. Il fatto è che, semplicemente, ''certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano'', come recitava Antonello Venditti e quindi non c'è da sorprendersi che le condanne da parte dei leghisti dell'attacco russo ci sono, ma senza affondare il colpo.
Così, come a precostituirsi un alibi per il ''dopo Ucraina'', quasi a dire ''fermiamoci con le parole, non si sa mai''.