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Lavoro povero in Italia: oltre 10 milioni sotto i 25mila euro lordi

- di: Jole Rosati
 
Lavoro povero in Italia: oltre 10 milioni sotto i 25mila euro lordi
Precarietà e part-time spingono milioni di lavoratori sotto la soglia dei 1.000 euro netti al mese.
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Una fotografia impietosa del lavoro italiano
Nel 2023, oltre 10,9 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato italiano hanno percepito una retribuzione lorda annuale inferiore a 25.000 euro, rappresentando il 62,7% del totale. Di questi, più di 6,2 milioni (35,7%) hanno guadagnato meno di 15.000 euro lordi, equivalenti a circa 1.000 euro netti al mese. Questi dati emergono da uno studio della CGIL basato su informazioni dell’Osservatorio INPS. 
La retribuzione media annua nel settore privato si attesta a 23.662 euro, con una media di 246 giornate retribuite. Tuttavia, questa media nasconde significative disparità legate alla tipologia contrattuale e all’orario di lavoro. 
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Contratti precari e part-time: una combinazione penalizzante
I lavoratori con contratti a tempo indeterminato, inclusi i part-time, hanno una retribuzione media di 28.540 euro lordi annui. In contrasto, coloro con contratti a termine percepiscono in media 10.302 euro. I lavoratori full-time guadagnano mediamente 29.508 euro, mentre i part-time si fermano a 11.782 euro. La situazione più critica riguarda chi combina un contratto a termine con un part-time: per loro, la retribuzione media scende a soli 7.100 euro lordi annui. 
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Retribuzioni orarie sotto la soglia minima
Circa 2,8 milioni di lavoratori dipendenti nel settore privato hanno una retribuzione oraria inferiore a 9,5 euro lordi. Escludendo circa 400.000 lavoratori in maternità, malattia o cassa integrazione, rimangono 2,4 milioni di dipendenti con una condizione strutturale di bassa retribuzione oraria. Questi lavoratori sono prevalentemente apprendisti, contrattisti a termine, dipendenti di piccole imprese, stranieri e part-time. 
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Discontinuità lavorativa e qualifiche basse aggravano la situazione
L’83,5% dei rapporti di lavoro cessati nel 2023 ha avuto una durata inferiore a un anno, e il 51% si è interrotto entro i primi 90 giorni. Inoltre, l’Italia presenta una bassa percentuale di lavoratori in posizioni dirigenziali o professionali qualificate (15,8%), rispetto alla media dell’UE (26,6%). Le professioni non qualificate rappresentano il 12,4% del totale, pari a oltre 2,2 milioni di lavoratori.
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Un lieve miglioramento, ma la strada è ancora lunga
Rispetto al 2022, si registra una leggera diminuzione della percentuale di lavoratori con retribuzioni inferiori a 25.000 euro lordi annui, passando dal 65% al 62,7%. Tuttavia, la CGIL sottolinea che questo miglioramento è insufficiente per contrastare il fenomeno del “lavoro povero”.
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Le proposte della CGIL
Per affrontare questa crisi, la CGIL propone:
L’introduzione di una legge sul salario minimo legale. 
La riduzione della precarietà attraverso la limitazione dei contratti a termine.
Il rinnovo dei contratti collettivi scaduti.
Politiche industriali volte a creare occupazione stabile e qualificata.
Secondo Christian Ferrari e Francesca Re David della segreteria confederale della CGIL, “precarietà, discontinuità, part-time involontario e l’elevata concentrazione di mansioni a bassa qualifica costituiscono la tempesta perfetta che colpisce milioni di lavoratori e lavoratrici”.
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Il lavoro povero realtà diffusa 
Il lavoro povero in Italia non è più un’eccezione, ma una realtà diffusa che richiede interventi strutturali urgenti. Senza un cambiamento deciso nelle politiche del lavoro e una maggiore attenzione alla qualità dell’occupazione, milioni di lavoratori continueranno a vivere in condizioni economiche precarie, nonostante un impiego regolare. 

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