La Russa 'riscrive' la Storia assolvendo i morti di via Rasella: "Erano musicanti altoatesini, non nazisti"
- di: Redazione
Bei tempi quando chi sedeva, da presidente, sulle poltrone della seconda e terza carica dello Stato onorava la sua carica con il silenzio, con la riservatezza, con la continenza verbale e con il rispetto per il ruolo che è al di sopra delel parti.
Bei tempi - prima degli attuali - quando, dallo scranno più alto di Palazzo Madama, il presidente osservava con rigore il protocollo, imponendosi il silenzio soprattutto quando la sua appartenenza partitica lo spingeva ad entrare nel dibattito politico.
''Bei tempi'' perché i presidenti delle Camere devono (o dovrebbero) rispondere al principio di terzietà, essendo appunto presidenti di tutti, e non solo dei cascami delle rispettive convinzioni ideologiche.
Oggi quei tempi non ci sono più e, come nel caso del presidente di oggi del Senato, anche le regole hanno fatto la stessa fine e, schermandosi dietro la carica, si dicono cose che ingenerano sorpresa, prima, rabbia ed esecrazione dopo.
Come ha fatto in queste ore Ignazio La Russa che, dimentico del fatto di essere la seconda carica dello Stato (che supplisce alle funzioni di Sergio Mattarella, quando si trova all'estero per occasioni internazionali e quindi ufficiali), ha detto una cosa che potrebbe essere concessa solo a chi è annoverato tra gli storici revisionisti, a chi propugna una riscrittura del passato che non ricalca la narrazione ufficiale e riconosciuta dai più, a chi è un attivista politico con evidenti sfumature di nostalgia per un regime che, per qualche esponente del passato della Destra, è stato il male assoluto.
La Russa 'riscrive' la Storia assolvendo i morti di via Rasella: "Erano musicanti altoatesini, non nazisti"
La Russa, lo si sa, non riesce ad adeguarsi ai rigidi paletti del suo ruolo istituzionale, che evidentemente gli sta stretto. Non ci riesce per carattere o forse per paura di non essere apprezzato da chi lo ha ammirato per avere in caso busti e statuette di Mussolini, lui che peraltro non ha mai disconosciuto la sua convinta adesione alla Destra storica.
Ma le parole che ha pronunciato sull'attentato di via Rasella, che poi innescò la rappresaglia nazista delle Fosse Ardeatine, sono state fuori di luogo, attaccando chi - i partigiani - lui dice colpì non un reparto di SS, ma ben altro.
''E' stata - ha detto riferendosi all'attentato - una pagina tutt'altro che nobile della Resistenza: quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS, sapendo benissimo il rischio di rappresaglia su cittadini romani, antifascisti e no''.
Siamo sicuri che La Russa abbia detto quel che ha detto con la massima sincerità e totale convinzione di essere nel vero. Ed è questo che deve inquietare o, guardando da altra prospettiva, indignare. Non perché ha detto che i morti in divisa erano musicanti, ma perché, secondo lui, i partigiani attaccarono sapendo chi stavano colpendo ed esponendo scientemente la popolazione civile di Roma alla certa rappresaglia nazista.
Con un distinguo interessante, da un punto di vista dell'analisi storica delle affermazioni del presidente del Senato, poiché, sembra di capire, La Russa lascia intendere che le conseguenze dell'attentato esposero alla rappresaglia ''cittadini romani'' al di là della loro adesione al fascismo. Quindi, una sorta di accreditamento di tutti a martiri potenziali, dimenticando che la lista di coloro che morirono alle Fosse Ardeatine fu compilata con la attiva collaborazione di fascisti che, pensiamo, ben difficilmente avrebbero mandato al martirio loro amici o persone con le quali, comunque, condividevano gli stessi ideali.
Ogni attentato, compiuto con le modalità di quello di via Rasella, porta in sé l'incognita di chi ne possa restare coinvolto senza esserne obiettivo primario. Ma, in quel caso, a morire o a restare ferito erano uomini che indossavano la divisa di un esercito occupante, anche se forse non erano appartenenti ad un reparto operativo, di quelli che facevano rastrellamenti.
Questo evidentemente è un aspetto secondario per La Russa, che prosegue nel suo particolare modo di interpretare il ruolo di presidente del Senato, parlando di tutto e su tutto, anche quando un minimo di acume politico (di cui lui è certo fornito) gli avrebbe dovuto imporre cautela nell'esprimere le sue interpretazioni della Storia, soprattutto quando riguardano ferite ancora aperte.
Nulla avrebbe spostato, nel giudizio che di lui hanno i suoi avversari, se non si fosse fatto prendere la mano, se non avesse sentito l'irrefrenabile esigenza a mostrarsi coerente col suo background politico, nonostante sieda a Palazzo Madama, guardando tutti dall'alto.
Era forse troppo chiedere il silenzio? Ma, soprattutto, era troppo chiedere rispetto per i morti delle Fosse Ardeatine entrati in un elenco infernale non certo per la lingua che parlavano e per la scritta ''Italia'' sui documenti.
Ignazio La Russa, come lo scorpione che, ben sapendo di firmare la sua condanna a morte, punge la rana che gli sta facendo attraversare il fiume, ama troppo la sincerità che, quando si vestono gli abiti del politico, deve fermarsi se si rappresentano le Istituzioni.
Istituzioni che, lo ricordiamo a noi stessi, non hanno colore, né appartenenza, rappresentando tutti e non solo una parte, anche se oggi maggioritaria.