L’ultimo libro di Gianni Oliva, storico e giornalista, nonché studioso del Novecento, intitolato “45 milioni di antifascisti: il voltafaccia di una nazione che non ha fatto i conti con il Ventennio”, uscito nella primavera 2024, è passato quasi inosservato. Eppure Oliva ci racconta qualche verità che, come capita troppo spesso a noi italiani, tendiamo a dimenticare se non addirittura a cancellare. “Uomini e donne d’Italia, dell’Impero e del regno d’Albania! Ascoltate! La dichiarazione di guerra è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia”. È il 10 giugno del 1940 e sotto il balcone di Palazzo Venezia, a Roma, la folla oceanica ascolta estasiata la voce dell’ex maestro elementare Benito Mussolini, assurto a capo del governo e duce con smanie di impero. L’arringa termina con la promessa (“vinceremo”) e la chiamata alle armi, cui la folla risponde con un compatto unisonante “sì!”.
Com’è andata a finire lo sappiamo tutti. O forse no, se come sottolinea Gianni Oliva: “nessun manuale scolastico di storia scrive mai che l’Italia quella guerra l’ha persa”. Da questa considerazione nasce il titolo del libro, 45 milioni di antifascisti, appunto.
Alla fine del 1943 i partigiani erano circa 18mila, mentre i volontari fascisti che partirono per Salò erano oltre 200mila, fatto comprensibile, era più ovvio per un giovane educato nella retorica del Ventennio scegliere la continuità del fascismo piuttosto che la “Resistenza”. Se poi guardiamo quanti hanno ricevuto la qualifica di partigiano finita la guerra, erano 235mila. Ma a fare domanda sono stati oltre 600mila. Come ebbe a dire il caustico Winston Churchill: “In Italia fino al 25 luglio 1943 c’erano 45 milioni di fascisti, dal giorno dopo 45 milioni di antifascisti. Ma non mi risulta che l’Italia abbia 90 milioni di abitanti”.
Un esempio illuminante che nei libri di storia patria viene cassato è quello di Gaetano Azzariti, un magistrato, ex liberale, che per tutto il Ventennio scrive le leggi del regime, comprese quelle razziali, fino a diventare addirittura presidente del Tribunale della Razza. Caduto Mussolini che succede? Azzariti torna a capo dell’ufficio legislativo quando il ministro di Grazia e Giustizia è Palmiro Togliatti, capo del Partito comunista, che lo promuove a suo consigliere: l’ex capo del Tribunale della Razza!
Ma non è finita. Azzariti nel 1957 diventa presidente della Corte Costituzionale, senza che mai nessuno gli abbia chiesto conto del suo passato. Né il monarchico Badoglio, né il comunista Togliatti, né il democristiano Gronchi. Si dice che il “passato non ci appartiene”, soprattutto in Italia, ma a volte il passato torna a bussare prepotentemente alle porte del presente. Anche i tedeschi dopo la guerra hanno riciclato funzionari e politici, ma prima hanno fatto un esame di coscienza collettivo di un’intera popolazione che era stata complice, qui da noi non è successo.
(Nella foto: 10 giugno 1940, Piazza Venezia strapiena per il discorso di Mussolini sulla dichiarazione di guerra)