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L’Italia e il Mes: Giorgetti resiste alla pressione, Roma difende la sua linea

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
L’Italia e il Mes: Giorgetti resiste alla pressione, Roma difende la sua linea
«Non possiamo ratificare qualcosa che riteniamo inutile». La frase, filtrata da ambienti vicini al ministro Giorgetti, fotografa l’atteggiamento con cui il governo Meloni continua a guardare al Mes. A Bruxelles, durante l’ultima riunione dell’Ecofin, è andato in scena l’ennesimo tentativo di mediazione tra i 27. Ma l’Italia, l’unico Stato a non aver ancora ratificato la riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità, non cede. La linea è tracciata: «Così non va bene, e non serve al Paese». Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in Aula, lo ha ribadito: «Abbiamo altri strumenti, più efficaci».

L’Italia e il Mes: Giorgetti resiste alla pressione, Roma difende la sua linea

Dalla Commissione e da varie capitali, soprattutto Berlino e Parigi, il tono si è fatto via via più seccato. Dietro le porte chiuse si parla ormai di una «falla politica» in seno all’Unione, con la ratifica della riforma ferma da tre anni. Il ministro francese Bruno Le Maire ha espresso a Giorgetti l’urgenza di «non bloccare il meccanismo», mentre la presidente della Bce, Christine Lagarde, ha fatto sapere che «l’Europa non può funzionare con veti sistemici». Eppure il titolare del Mef, che conosce le liturgie europee e le parole giuste per placare il fronte interno, non si è mosso di un millimetro. Anzi. Alla Camera ha sottolineato: «Il Parlamento ha già votato. La decisione è sovrana».

Una questione di opportunità politica

Fonti di maggioranza ricordano che il tema del Mes è stato «ampiamente dibattuto in campagna elettorale» e che il centrodestra aveva chiaramente espresso la propria contrarietà a uno strumento nato in un contesto – quello del 2012 – radicalmente diverso. L’Italia, osservano a Palazzo Chigi, ha oggi una credibilità sui mercati rafforzata dal contenimento dello spread, dalla tenuta dei conti pubblici e da un Pnrr che ha superato la quarta rata. Perché, allora, esporsi con uno strumento considerato «superato»? La premier non ha dubbi: «Non vogliamo stigmi né condizionalità implicite».

Il peso della politica interna

La questione è anche – se non soprattutto – politica. Dopo la bocciatura parlamentare dello scorso dicembre, un ritorno in Aula con un orientamento diverso equivarrebbe a una rottura della linea di coerenza tanto cara a Meloni. E la leader di FdI non intende prestare il fianco né al pressing europeo né all’opposizione interna. Elly Schlein e Giuseppe Conte, nei loro interventi, hanno definito «miope» la scelta italiana. Ma Palazzo Chigi risponde con freddezza: «Parlano quelli che hanno voluto il Mes sanitario e non lo hanno mai usato».

Gli scenari futuri e i margini di manovra

A Bruxelles si tenta comunque di aprire spiragli. Si parla di una «ratifica condizionata», o dell’ipotesi di un documento di accompagnamento che salvaguardi l’autonomia italiana nel non accedere mai alle risorse. Ma su questo punto Giorgetti è netto: «Non ha senso ratificare qualcosa solo per tenerlo in vetrina». La diplomazia si muove, ma Roma resta ferma.

Il tempo come alleato

Tra le righe, emerge un’altra strategia: quella dell’attesa. Con le elezioni europee ormai alle porte e i nuovi equilibri dell’Ue da definire, Meloni e Giorgetti sembrano convinti che sia più utile guadagnare tempo e influenzare la futura agenda economica europea piuttosto che chiudere oggi un dossier che non convince. Il rischio, in fondo, è limitato. Lo stesso Mes, nella versione riformata, non è mai stato attivato. E non sembra destinato a esserlo nell’immediato.

Il segnale politico

Il governo italiano non vuole giocare di rimessa, ma rilanciare su un’idea diversa d’Europa. «Non si può tornare ai dogmi del passato» è il mantra che circola tra i ministri di FdI e Lega. E lo stesso premier-time di Meloni alla Camera si è trasformato in una piattaforma da cui ribadire la postura del governo: «Io non cambio idea se cambia il vento». L’Italia, insomma, continuerà a dire no. Non per chiusura ideologica, ma perché rivendica il diritto di definire – insieme agli altri, ma non da sola – il futuro delle regole economiche europee.
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