Intervista ad Antonella Azzaroni: "Basta demonizzare i lobbisti"

 
Antonella Azzaroni è nata a Napoli. Subito dopo aver ottenuto la laurea, con lode, in Scienze politiche presso l’Università L’Orientale, una delle eccellenze della città partenopea, ha subito iniziato a ‘girare’ l’Europa, facendosi le ossa presso varie Istituzioni internazionali: Croce Rossa Internazionale, Commissione europea, Ocse. Si è poi stabilita a Roma, dove ha lavorato presso importanti Istituzioni centrali, quali il Ministero dell’Interno, la Camera ed il Senato. Successivamente è passata al settore privato, lavorando con grandi gruppi industriali italiani, come Telecom e Ferrovie dello Stato, dove si è occupata principalmente di relazioni istituzionali, relazioni con la stampa e attività legislativa. Dal 2013 è direttore delle Relazioni istituzionali dell’Ania, associazione che rappresenta 131 Compagnie che costituiscono quasi il 90% del mercato assicurativo nazionale in termini di premi, ed ha un Forum permanente con i consumatori ed una Fondazione. Nel panorama italiano Ania è considerata fra le lobby più importanti e incisive. 
Dottoressa Azzaroni, in altri Paesi, soprattutto anglosassoni, fare lobby è considerato del tutto normale e tale attività è normata con precisione. In Italia invece spesso il lobbista nell’immaginario collettivo è assimilato al ‘facilitatore’, che condiziona in modo non sempre trasparente le scelte della politica e delle Istituzioni. Che significa in concreto fare lobby e nello specifico cosa significa fare lobby in Italia? 
"Riguardo questo tema c’è da fare chiarezza innanzitutto sul termine lobby: in Italia, contrariamente a quanto accade nel resto d’Europa, il lobbista è spesso identificato come un “faccendiere”, ovvero una persona che, anche per tornaconto personale, avvicina mette in contatto i personaggi pubblici con le imprese con modalità, come dice lei, non sempre trasparenti…. Questa è una visione assolutamente lontana anni luce dalla realtà dei fatti in quanto il lobbista è altra cosa dal faccendiere o dal facilitatore. Questa ambiguità ha contribuito alla diffusione, anche nella stampa e nel linguaggio popolare, di una immagine negativa della professione del lobbista, ovvero di colui il quale rappresentando legittimi interessi dell’impresa nelle istituzioni svolge anche una funzione sociale di trasferimento di conscenze. Il lobbista d’impresa in Europa, ma oramai in ampi ambiti delle realtà industriali italiane svolge una funzione strategica in quanto egli contribuendo all’attuazione di obiettivi aziendali determina effetti positivi per l’impresa. Ma ciò implica che questo processo avvenga nella più totale ed assoluta trasparenza, e nel rispetto del ruolo di tutti i protagonisti".

Quindi lei non si offende se qualcuno la definisce una lobbista, tanto che è tra gli animatori della campagna “Lobby non olet”. Anzi, in un’intervista ha affermato che “la lobby ci dovrebbe essere anche a livello di quartiere”… 
"Sono assolutamente orgogliosa di fare questo lavoro che nel tempo si è sempre più professionalizzato. Anzi, mi batto costantemente a fianco della promotrice dell’iniziativa “Lobby non olet”, che è una seria ed attiva professionista del settore ead altri colleghi per diffondere “l’orgoglio lobbysta”. Sul tema della regolamentazione delle lobby ci sono delle audizioni in Parlamento…speriamo di ottenere buoni risultati. Quanto alla lobby di quartiere, la mia è stata una provocazione, ma non del tutto. Battersi per affermare gli interessi e i diritti di una comunità è fra le possibili azioni di lobby che possono essere messe in campo". 

Perché Ania è considerata tra le lobby più forti del Paese? 
"Semplicemente perché rispettare i ruoli degli interlocutori ti porta lontano: si può anche ottenere un buon risultato parziale o momentaneo non rappresentando la realtà dei fatti, ma, come si suol dire in questi casi, le bugie hanno le gambe corte. Il fatto che una persona come me lavori in questo ambito da più di 20 anni e continua ad essere considerata come una persona credibile ed affidabile è perché ho sempre avuto un rapporto trasparente con i miei interlocutori. Chi non mantiene questo tipo di standard o viene messo alla porta oppure, semplicemente assume un ruolo marginale".

Quando, nel 2013, è diventata direttore delle Relazioni istituzionali di Ania aveva già avuto importanti incarichi nell’ambito di questa attività, sia nel settore pubblico che in quello privato. Di queste esperienze precedenti all’arrivo in Ania quale è stata quella più significativa in termini di crescita professionale?

"Posso citare due episodi fondamentali per la mia esperienza professionale. Il primo è quando il gruppo Telecom Italia decise di acquisire quella che poi divenne “La7”. In Telecom, per la prima volta in assoluto, si assisteva alla convergenza tra le telecomunicazioni e la televisione. Fu un evento importantissimo per la modernizzazione della società italiana. In quanto, prima di allora, la separazione fra telecomunicazione e comunicazione era considerata garanzia di democrazia. Invece la storia ha dimostrato il contrario, e oggi la diffusione dei New Media è garanzia di libertà di espressione e di pluralismo, a beneficio della comunità e della democrazia stessa. Incontrammo molti ostacoli, ma nel complesso riuscimmo a far convergere le esigenze del pubblico e degli interessi generali con quelli del privato. La seconda esperienza è rappresentata dalla nomina di Mauro Moretti AD di Ferrovie dello Stato, grazie al quale l’alta velocità ferroviaria è diventata la cosiddetta Metropolitana d’Italia, una delle vere rivoluzioni sociali e industriali, insieme al digitale, degli ultimi decenni. Ma l’esperienza in Ferrovie ha anche rappresentato per me una vera passione: forse perché, come dicono i ferrovieri, “quando diventi ferroviere, resti ferroviere”. Moretti mandava anche noi signore di notte a controllare che tutto funzionasse alla perfezione e nessuno osava opporsi, anzi era una sfida anche per noi donne non essere escluse dai “lavori pesanti”. L’avvio dell’Alta Velocità e alta capacità (merci) ha accorciato le distanze nel nostro Paese, ha cambiato le abitudini degli italiani, cambiato in maniera irreversibile l’organizzazione familiare di molte realtà territoriali dove è arrivato sviluppo e prosperità. Ho appreso e toccato con mano che per incidere profondamente su un sistema e sovvertirne le sorti non bisogna essere per forza “Napoleone o un pazzo”… come diceva il Presidente Andreotti nei confronti di chi pensava di cambiare le Ferrovie! In ultimo mi lasci ricordare l’esperienza al Ministero dell’Interno, vero cuore dello Stato, dove mi occupavo di relazioni internazionali. Di quella esperienza posso citare solo alcuni dossier che mi hanno veramente formato: la collaborazione Italia-USA; la istituzione, insieme al Generale Pietro Soggiu e alla sua struttura, di un tavolo permanente di collaborazione
internazionale, che allora, fine degli anni 80, era considerata impensabile, tra i paesi della “rotta balcanica”; l’organizzazione nel 1990 per la prima volta a Napoli (prima ancora quindi del vertice del G8 del 1994) del vertice europeo dei Ministri dell’Interno a conclusione del semestre di presidenza italiana dell’UE. 
Queste esperienze mi sono servite successivamente anche in Ania che prevede, all’interno del suo stesso statuto, il coniugare l’interesse particolare del settore con quello generale del Paese: una caratteristica apprezzata moltissimo sia dal pubblico che dal privato e che rappresenta in pieno il mio modus operandi".

Fino a pochi anni fa, salvo qualche eccezione come la sua, l’attività di lobbying si declinava quasi esclusivamente al maschile. Qual è la situazione oggi sul fronte del divario di genere in questa professione?
"In realtà, all’inizio in questa attività eravamo quasi tutte donne, al punto che uno dei miei ex storici collaboratori era molto preoccupato di non riuscire ad “inserirsi”. Tantissimi miei ex collaboratori attualmente ricoprono incarichi molto prestigiosi in imprese o nelle istituzioni e questo per me è motivo di grande soddisfazione. È chiaro che, in questa attività, non pesa il genere bensì la modalità con la quale una persona si pone con il proprio interlocutore. Oggi il lobbista, per fare bene questo lavoro, deve conoscere le materie che propone e deve avere una grande capacità relazionale affiancata ad una notevole conoscenza dei meccanismi parlamentari: conoscere gli iter legislativi è fondamentale per presentare una proposta migliorativa e per portare a buon fine l’obiettivo, laddove sia possibile".

Negli anni Ania si è distinta per un’intensa attività di sensibilizzazione a favore dell’innovazione, per l’interesse al ruolo sociale ed economico del settore e alla sua funzione di investitore istituzionale. L’industria assicurativa ha agito su tre principali leve: la messa in sicurezza, la tutela del risparmio delle famiglie e il finanziamento di medio e lungo termine dell’economia reale. In tale contesto, come avete agito a livello di comunicazione istituzionale? 
"Ania, con la Presidenza di Maria Bianca Farina, non a caso una donna, si è posta l’obiettivo di valorizzare il settore assicurativo come fattore essenziale dell’economia e della società italiana e come sistema chiaro, che si pone al servizio dell’utenza, nel rispetto della competizione, con competenze tecniche molto significative: abbiamo preparato dossier ed approfondimenti, verificando con benchmark le esperienze di altri Paesi europei molto più avanti di noi sulla cultura assicurativa. L’Italia, da questo punto di vista, è ancora sottoassicurata; pensiamo, per esempio, a ciò che avviene nel nostro Paese in merito alle catastrofi naturali: dopo un terremoto o un’alluvione, nella maggior parte dei Paesi europei, interviene l’assicurazione. Da noi invece è sempre lo Stato a dover risarcire il cittadino o la popolazione colpita, con un conseguente dispendio notevole di energie finanziarie e operative. Ci sono importanti ambiti di sviluppo e di eventuali partnership tra pubblico e privato che potrebbero essere avviate, come la previdenza complementare e le varie forme assicurative sulla salute. Il fatto che ciò non avviene, o avvenga in parte, si spiega facilmente: in Italia è presente un forte retaggio culturale nelle persone, le quali pensano che lo Stato debba assistere il cittadino in ogni suo ambito. È un modo di interpretare il futuro che dovrebbe assumere una notevole accelerazione, visto la modernizzazione verso la quale stiamo andando incontro tutti noi. Come Ania da tempo proponiamo tavoli di incontro per la costruzione di modelli di sviluppo sostenibile e presentiamo proposte per favorire una cultura assicurativa da parte di tutti i cittadini italiani".

Lei ha via via ottenuto importanti riconoscimenti, ma ci piace ricordarne due in particolare: è stata selezionata, dall’Unione degli Industriali di Napoli, tra le eccellenze napoletane nel mondo. Quanto ha contato e quanto conta nella sua vita, anche professionale, essere nata a cresciuta a Napoli?
"Ha contato molto sicuramente la mia formazione presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale, un’eccellenza del nostro Paese. Basti pensare alle carriere di successo intraprese da molti professori che insegnavano in questo istituto, alcuni dei quali anche in varie istituzioni internazionali. Il fatto di essere napoletana sicuramente poi ha influito: se si nasce con il problem
solving nel sangue si deve seguire una strada ben precisa che possa portare a come risolvere i problemi e non si può perdere tempo. Questo modus vivendi mi ha aiutato molto nel
raggiungere determinati obiettivi personali. Sicuramente Napoli rappresenta una palestra difficile da questo punto di vista e si deve lottare molto più di altri per poter dimostrare di non
corrispondere all’immagine tipica del napoletano che non ha voglia di lavorare, inaffidabile e chiacchierone".

Ad un giovane neolaureato che desidera avvicinarsi a questo mondo e intraprendere questa professione, cosa consiglierebbe? Quali sono le caratteristiche e le doti necessarie da acquisire o che un giovane deve già possedere?
"A me piace molto insegnare i segreti del mestiere a giovani interessati a questo lavoro: è un qualcosa che ho fatto a lungo e sempre molto volentieri, anche perché chi fa il mio lavoro non può pensare all’individualità. Si ha successo se si raggiungono gli obiettivi tutti insieme, come una vera squadra, dal vertice fino al collaboratore più giovane o appena arrivato. Io credo che troppa formazione teorica non sia necessaria, le vere tecniche si apprendono sul campo: è inutile avvicinarsi a questo lavoro a 30 anni con anche 2-3 Master alle spalle se non si ha la minima esperienza in questo settore, soprattutto in un ambito come questo, nel quale ci sono tantissime situazioni da saper leggere ed interpretare. Sicuramente conoscere la base è fondamentale, ma non ci si può
accontentare di questo. Un altro elemento cardine è l’elasticità mentale e la capacità di pensare oltre: caratteristiche che si apprendono lavorando accanto a qualcuno più esperto oppure da solo sul campo buttandosi nella mischia senza timore. Quando cominciai ad entrare in questo settore, il lavoro era tutt’altro ed io mi considero tra i pionieri di questa modernizzazione della professione
del lobbista e del cambiamento genetico che questa attività ha dovuto affrontare nel corso degli anni, cambiando completamente funzione e modalità".
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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