Possenti: "Aiutare i giovani affinché non siano vittime di propaganda e populismo"

- di: Redazione
 
Il prof.Vittorio Possenti, già ordinario di Filosofia politica presso l'università Ca' Foscari di Venezia, è uno dei massimi filosofi contemporanei. La sua produzione letteraria è imponente, come quella pubblicistica.
A lui Mimmo Sacco ha rivolto alcune domande.


Professore Possenti, Lei si è occupato in maniera molto approfondita del concetto di Persona, fondando anche una associazione, "Persona al centro". Il concetto di Persona – ritengo - implichi non solo la soggettività del singolo, ma anche la sua estensione relazionale. Ai diritti si associano responsabilità, doveri e rispetto. Invece si va affermando un individualismo egoistico. Non le sembra che questa decadenza culturale andrebbe contrastata anziché essere addirittura assecondata?

Concordo sul carattere relazionale della persona, che non è soltanto un 'in sé' separato, ma pure un soggetto aperto alla relazione, senza di cui lo sviluppo della sua stessa vita si impoverisce. 'Nessun uomo è un’isola' è il titolo di un celebre libro di Thomas Merton, il quale riprende l’espressione da una poesia di John Donne: 'Nessun uomo è un’isola, intero per se stesso; ognuno è un pezzo del continente, una parte del tutto. Le tante solitudini di anziani e in maniera crescente di adolescenti e giovani mostrano che senza una relazione autentica e duratura con l’altro l’io personale intristisce e si chiude. Maritain e Mounier hanno introdotto la felice espressione di ‘Personalismo comunitario’ il cui contenuto trova riscontro effettivo in vari articoli della nostra Carta costituzionale. Ma il cammino del personalismo è stato seguito come un’ombra da un’idea parassitaria di individuo autocentrato, nutrita dalla corrente liberale e libertaria che riduce nettamente la ricchezza della persona, contraendola nella sola libertà di autodeterminazione, elevata ad assoluto. E’ la poderosa egemonia e forse perfino la vittoria del radicalismo. Mi si perdonerà se ricordo che nel 1980 sulla Rivista 'Vita e Pensiero' pubblicai alcuni studi sulla cultura radicale e sulla sua crescente pervasività nella cultura politica italiana. Erano gli anni in cui la sinistra e il PCI, perduta la battaglia nel campo dell’ideologia marxista, iniziavano ad accostarsi a una cultura individualistica e poco solidale, elemento che è cresciuto via via nelle varie trasformazioni della sinistra e che perdura fortemente tuttora. L’affermazione dell’individualismo egoistico è di lunga data, e si fa passare per libertà ciò che talvolta è arbitrio. Le deviazioni suddette sono legate a filo doppio alla scottante questione dei doveri. Non dimentichiamo che l’insistenza sui diritti e la dimenticanza diffusa dei doveri porta alla frantumazione della società. Lo ricordava Aldo Moro nel suo ultimo intervento alla Camera, il 28 febbraio 1978: 'Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere'. Parole accorate e profetiche. Il compito corrispondente rimane al momento impegno di pochi. Da tempo nel discorso pubblico e nella legislazione prevalgono i diritti (veri o presunti) e i desideri degli adulti sul destino di coloro che non hanno voce e rappresentanza pubblica. In ambito biopolitico si potrebbe qui volgere lo sguardo all’estensione del diritto di aborto, alla fecondazione artificiale eterologa e all’utero in affitto. Sul primo aspetto induce a riflettere una recente sessione del Parlamento europeo, che in luglio ha votato su iniziativa dei socialisti e dei liberali una risoluzione approvata con una maggioranza elevata – non vincolante però per gli Stati UE – che eleva l’aborto a diritto fondamentale delle donne e condanna in termini netti l’obiezione di coscienza da parte dei medici. La prevalenza dell’individualismo sul personalismo si è riflessa nell’interpretazione della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 che, pur non essendo individualistica, è stata da vari decenni intesa come tale, sancendo finora l’egemonia dell’interpretazione neoliberale su quella personalistica. La cultura cattolica e l’insegnamento della Chiesa seguono altro cammino, considerando lo scarso solidarismo come effetto negativo delle correnti libertarie. Queste a mio parere possono inquinare la cultura e l’educazione: ciascuno vede la decadenza culturale e pedagogica presente oggi e la carenza di maestri ed educatori.

Il Capo dello Stato ha affermato che la pandemia dovrebbe averci insegnato che “ognuno ha bisogno degli altri”, ma ci si divide su tutto. Come si cura questo egoismo montante?
Recuperando lo spirito di comunità e di alleanza, di solidarietà dal basso, premiando gli atti solidaristici dei cittadini, come sta facendo il Presidente Mattarella, cercando di migliorare l’educazione civica e la scuola. 'Non ci si salva da soli'. Lo ha detto con insistenza papa Francesco. E questo vale sempre; oggi tra i tanti casi spicca la vicenda ecologica che, volenti o nolenti, coinvolge tutti in una vicenda planetaria, in cui perdono e soffrono di più coloro che meno inquinano. Ė necessario riprendere a educare. L’educazione della persona è basilarmente educazione ad essere persona; è la coltivazione del campo umano affinché esca dallo stato brado e sviluppi i semi della sua umanità, ricomponendo la frattura tra sfera cognitiva e sfera emotivo-spirituale, oggi acuita dal progresso scientifico. La pedagogia della persona, ed in specie del giovane, deve da tempo fare i conti con il serio diffalco educativo esistente in Occidente. E’ un fatto che gli scrittori contemporanei destinano scarsa attenzione al problema educativo: sono esperti di etica, economisti, politici, filosofi, scienziati, non pedagogisti. Quella tensione pedagogica che si era sviluppata nella prima metà del ‘900, è stata quasi spazzata via dal ’68 e da altri fattori. Il liberalismo politico è troppo accaparrato dalla questione del contratto sociale, rischiando di confinare nell’inessenziale ogni pedagogia. Questa mancanza è accresciuta dal predominio del pensiero tecnico, che per sua natura non è pedagogico e umanistico, che non si volge pazientemente al soggetto per farne emergere le virtualità; piuttosto è un pensiero obiettivante del fare, non dell’agire. La crisi della cultura umanistica, in genere attenta al processo educativo, e la pressione della tecnologia hanno contribuito a mutare il clima ed introdotto difficoltà aggiuntive. Vi è estremo bisogno di testimoni che mostrino altruismo, gratuità, generosità, che interpellino con la loro azione la nostra coscienza. In Italia ve ne sono stati e ve ne sono non pochi (Gino Strada è l’esempio più recente). Vi è inoltre necessità di una classe politica all’altezza dei suoi compiti, presenza che si è fortemente indebolita in Italia da almeno trent’anni in qua. Manchiamo disperatamente di figure politiche all’altezza del proprio compito, di statisti, mentre abbonda la figura del capopopolo di vario colore e ha preso forza la cattiva piega del populismo e del nazionalismo. In qualsiasi ambito, politico, sportivo, religioso, pedagogico si va invece avanti collaborando. La lite politica perpetua e il caos delle reti ‘social’ diseducano, poiché spesso invitano alla contrapposizione e al disprezzo reciproco invece che a un obiettivo comune. Un compito notevole consiste nell’attrezzare culturalmente, in specie i giovani, affinché non diventino facile preda della propaganda e del populismo. Non è infine da sottovalutare che talune discutibili sentenze della nostra Corte abbiano alterato con un’ermeneutica dell’io isolato e assoluto le istanze personalistiche, relazionali e solidaristiche della nostra Carta.

Da qualche tempo si va consolidando la prassi di legiferare in materia di diritti e delle tutele che lo Stato loro riserva in modo divisivo e non universale. Due esempi al riguardo: le leggi sul femminicidio (il termine stesso è divisivo tra l’uccisione di una persona a seconda del sesso) e la disegno di legge Zan sul diritto al rispetto alla propria sessualità. Perché ci si è orientati a normare in modo distinto?
La questione è delicata e va considerata attentamente per dissipare equivoci fatali. Rimane assodato che omicidio come assassinio di un essere umano maschile, e femminicidio come assassinio di un essere umano femminile, meritano un uguale condanna morale e giuridica. D’altro canto i numerosi casi di violenza di genere che si registrano in Italia hanno spinto il legislatore a prendere provvedimenti al riguardo: in specie si è deciso di inasprire le pene per i reati che hanno come vittime “privilegiate” le donne, nonché di prevedere aggravanti nei casi in cui ad essere coinvolte sono le donne (si pensi alla vittima che si trovi in stato di gravidanza). Nel 2013 è stato emanato un apposito provvedimento che, per via del suo contenuto, è stato subito malamente ribattezzato ‘legge sul femminicidio’. In realtà il testo del Decreto Legge parla di lotta contro la violenza di genere, e include diverse disposizioni volte a combattere tale violenza in senso ampio, non soltanto le uccisioni. Il senso della normativa, però, è chiaro: evitare che si possa giungere a privare della vita una donna. Non è però stato introdotto alcun nuovo reato che punisca espressamente l’uccisione della donna: l’assassino di un uomo o di una donna viene punito alla stessa maniera. In sintesi, chiunque commetta stalking oppure una violenza di qualsiasi tipo (percosse, lesioni, abusi, maltrattamenti, ecc.) contro una donna incinta oppure contro una donna con la quale ha avuto una relazione sentimentale, si vedrà aumentata la pena. La Costituzione è chiarissima è all’articolo tre afferma: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.” Il testo di per sé invita il legislatore a scrivere norme valide per tutti, non divisive. Non una legge per le femmine, per i maschi o i transgender.

Il Ddl Zan (“Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”) è rivolto contro l’omofobia, ossia il disprezzo o rigetto del diverso. E’ necessario? Molti dicono di no perché questi reati risultano già perseguibili con le leggi attuali ed è inutile aggiungerne altre, specie se queste introducono concetti estremamente vaghi come identità di genere e simili. In particolare non seguo coloro che, in base a dubbie e variabili concezioni antropologiche, ritengono che il genere sia qualcosa di estremamente fluido e che pertanto le leggi in merito debbano tenere in conto a priori l’illimitata varietà delle opzioni individuali, la loro mutabilità e variabilità nel corso di vita dei singoli. Non è possibile legiferare in base a concezioni antropologiche molto controverse e in continuo movimento, rendendo di fatto nullo il valore erga omnes della legge ed estremamente controverse le sue interpretazioni. Un altro punto molto controverso del ddl Zan sta nell’infelice idea di impartire l’educazione sessuale a scuola su questi aspetti, con il rischio di fare propaganda all’opzione omosessuale. Temo che anche le istituzioni dell’UE, notevolmente segnate dalla cultura libertaria a buon mercato, incorrano in serie sviste su questi nuclei. E ancora Professore l’individuo e il gruppo tendono a prevaricare su socialità e comunità. Il desiderato e il conveniente invece del giusto e del bene comune. Quali conseguenze porta con sé questo modo di legiferare?

Comporta che la legge perda il suo carattere di universalità e quello di favorire il bene comune. Il diritto di avere diritti deve essere bilanciato dal dovere di avere doveri. L’eccesso o l’inflazione accelerata di leggi ad hoc che hanno di mira interessi particolari, fanno perdere all’opinione pubblica e ai cittadini il senso dell’interesse generale e del bene comune.
Non ogni desiderio è trasformabile in diritto. Il desiderio di un figlio è qualcosa di grande e naturale, ma il fine giusto non giustifica i mezzi impropri, quali la fecondazione eterologa e/o la maternità surrogata.

Infine come considerare il fatto che anziché affrontare simili temi in modo trasversale si siano creati schieramenti di destra e di sinistra soprattutto in materia di diritti personali?
Il campo più minato è quello dei diritti civili. La destra è in genere sovranista e poco disposta a riconoscere diritti civili e individuali esorbitanti. Sopra si è visto che da decenni esiste una deriva culturale della sinistra italiana verso posizioni fortemente individualistiche e radicali. Questo lungo fenomeno accentua il lato dei diritti civili a scapito di quelli sociali e del lavoro; e inoltre concepisce i diritti civili come esclusivamente individuali e come oggetto di un contratto implicito tra singolo e Stato. Guardando verso la solidarietà sociale, le posizioni tendono a invertirsi. Pensiamo alla fiscalità, elemento primario di uno Stato equo. La destra intesa in senso largo punta sulla ‘tassa piatta’ (malamente denominata flat tax), proposta che va frontalmente contro la nostra Carta che prevede la progressività delle imposte (vedi art. 53). Chi avanza tali idee inganna consapevolmente i cittadini, e affonda nel ridicolo quando propone una tassa piatta con più scaglioni. Detto questo, nell’area dei cattolici ‘dispersa’ da un estremo all’altro sarebbe auspicabile un maggior dialogo e minori malintesi di schieramento per concordare una linea comune.
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