ESCLUSIVA - Frigerio: "I perché della mia battaglia per salvare la Banca Popolare di Sondrio"

- di: Redazione
 
È cominciato il conto alla rovescia per la Popolare di Sondrio che, per la prima volta nella sua storia, che data 150 anni, vedrà una vera lista alternativa a quella di maggioranza (l'assemblea dei soci si terrà l'11 maggio in seconda convocazione). È' un primo piccolo successo per Luca Frigerio, l'immobiliarista lecchese che, per una questione morale, ancorché di principio, sta cercando da oltre un anno di proporre una alternativa credibile a quello che per lui è il gruppo granitico che guida la Popolare di Sondrio con un'ottica di maso chiuso, impermeabile a qualsiasi istanza di rinnovamento e ad ogni richiesta di trasparenza che vengono dal suo esterno.

Dott.Frigerio, lei per primo sa benissimo quanto difficile sia l'esito positivo della sua iniziativa, che ha motivazioni economiche (la mancanza di comunicazione adeguata da parte della Banca - che ad esempio non spiega nè condivide con i soci le sue mosse e strategie, come certifica la mancata presentazione del piano industriale – rende impossibile per il mercato apprezzare appieno il valore che c’è dentro la banca stessa) e  di principio (la mancanza di dialogo con i semplici azionisti come modello di comportamento in atto da molti anni è quanto di più lontano ci possa essere dall’idea di banca cooperativa). E nonostante questi ostacoli, sta perseguendo con determinazione i suoi obiettivi. Come e quando si è determinato a questa sua iniziativa?
Io sono socio della Banca Popolare di Sondrio da oltre 30 anni. Lo era anche mio padre, è una tradizione di famiglia. Abbiamo sempre visto la banca come un punto di riferimento e personalmente ho sempre apprezzato l’idea dello spirito popolare, inteso come condivisione delle decisioni e come centralità del cliente e del socio nella vita della banca, opposto ad una spersonalizzazione del rapporto che caratterizza invece le grandi banche. Negli ultimi anni però mi sono reso conto che l’immagine che avevo era probabilmente troppo idealizzata (e temo che per tanti soci e clienti della banca sia la stessa cosa) e che in realtà la forma cooperativa rischia di diventare solo uno strumento che consente ad un piccolo gruppo di persone di estrarre benefici privati, privilegiando logiche di gestione più clientelari (per riuscire a mantenere il consenso e il potere) che territoriali (per promuovere lo sviluppo sano del territorio) e mutualistici. Ci sono stati una serie di avvenimenti che mi hanno fatto capire che non potevo continuare a stare fermo, aspettando che succedesse qualcosa, con il rischio che la ”mia” banca potesse fare la fine di tante altre banche popolari, i cui soci hanno finito per pagare il prezzo di una condotta miope (e in alcuni casi illecita) da parte degli ammistratori. Fortunatamente, il caso della Sondrio sembra essere assai diverso da quello delle tante banche che sono fallite, ma il rischio di perdere una grande occasione per porre le basi per un grande futuro della banca per scelte e comportamenti poco lungimiranti a mio avviso era troppo grande per stare fermo. Vedere dipinta sui giornali la Banca Popolare di Sondrio come una banca “in guerra” con la BCE (per non voler ridurre l’esposizione ai crediti deteriorati), con la Banca d’Italia e il Governo (per la battaglia condotta contro la riforma sulle banche popolari), con gli investitori che hanno scommesso tanti capitali sul futuro della banca (il fondo Amber escluso dal libro soci ), mi ha fatto capire che c’era qualcosa di patologico nell’attaccamento alla forma cooperativa e alla poltrona di consigliere.

L'attuale gruppo dirigente, per come lei ha avuto modo di rimarcare, va avanti da decenni con una autoreferenzialità che oggi è sempre più difficile da accettare. Può spiegare come questa governance della BPS potrebbe nuocere al presente ed al futuro della banca?
Negli ultimi anni il sistema bancario italiano ha subito una mutazione significativa. Molti istituti di credito che fino a pochi anni fa si credeva fossero molto solidi, oggi di fatto non esistono più. Di questi istituti la maggior parte era costituita da banche popolari. 
Questa governance purtroppo non si è resa conto di questo cambiamento e la testimonianza è il fatto che il 15.10.2020 la banca ha comunicato un aggiornamento sull’evoluzione del processo di trasformazione in spa. In tale comunicazione la banca dichiara di rimanere in attesa “ di un quadro giuridico chiaro e definito in seguito al quale valuterà compiutamente le iniziative da assumere e porrà in essere i necessari adempimenti, sempre nel rispetto di quanto previsto dalla legge e nei termini dalla stessa stabilita. “ . Allo stato attuale delle cose, dopo oltre cinque anni dalla pubblicazione della Legge 24 marzo 2015 n33 e dopo la trasformazione in spa di tutte le altre banche popolari con attivi superiori agli 8 miliardi, l’attuale CDA e dirigenza della BPS sembrerebbe non essere in grado di capire se la normativa è chiara e definita.  Si palesano quindi due possibilità. Una prima in buona fede che vede un CDA e un management non all’altezza di gestire una banca, in quanto non in grado di interpretare correttamente le normative, e quindi nemmeno in grado di studiare nuove strategie e implementare le stesse. Una seconda in cui si vede invece un CDA e un management più intenti a difendere le loro posizioni, con relativi privilegi, a discapito dei soci/azionisti e del territorio che tanto strenuamente vorrebbero far credere di difendere mantenendo la forma cooperativa. Questo contribuisce sicuramente a far si che BCE impone alla BPS un requisito SREP elevato, anzi il più elevato tra tutte le banche italiane. L’anno scorso il requisito Pillar 2 era fissato per la Banca Popolare di Sondrio allo stesso livello del Monte dei Paschi e già questo avrebbe dovuto sollevare delle domande sull’operato del consiglio della banca. Ma  - visto che al peggio non c’è mai fine - quest’anno è andata pure peggio, visto che MPS ha avuto una riduzione del requisito di 25 punti base, mentre quello della Sondrio è stato mantenuto invariato (nonostante la Sondrio abbia realizzato la cessione di 1,4 miliardi di NPLs, come richiesto dalla BCE stessa). Evidentemente – verrebbe da pensare – per la BCE il vero problema della Sondrio non sono tanto (o soltanto) gli NPLs quanto piuttosto la governance e, più in particolare, la struttura del CDA e la forma cooperativa. L’impressione è che la Banca continuerà ad essere “penalizzata” dal regolatore fino a quando non si trasformerà in SPA. Se davvero fosse così, appare davvero incomprensibile che questo CDA per salvare la propria poltrona e i propri privilegi continui a rimandare la trasformazione creando un danno evidente alla banca e a tutti i suoi stakeholders.
Voglio però precisare che dal mio punto di vista non è tanto una questione di forma societaria (per quanto c’è una legge dello Stato che impone alle popolari più grandi di trasformarsi in SPA e la Sondrio è l’unica che ancora non lo ha fatto), è piuttosto una questione di necessità di trasformare il modo di pensare che ha chi dirige questo gruppo. E’ necessario puntare sui criteri del merito e dell’efficienza come prerequisiti irrinunciabili per la salvaguardia e lo sviluppo dell’economia di territorio nel sostegno che è proprio dell’attività bancaria. E’ necessario valorizzare quel (tanto) che di buono la banca è riuscita a fare in questi anni ed è quindi estremamente importante riuscire a guidare il cambiamento nell’interesse di tutti (dipendenti, clienti, azionisti e il territorio in senso lato), anziché arroccarsi per difendere dei privilegi di pochi ed un modello di business tradizionale che non ha un futuro se non si innova.



La presentazione di una lista di vera alternativa (e quindi non di semplice disturbo) a quella di maggioranza rappresenta un evento la cui valenza di politica aziendale non potrà essere cancellata anche dall'esito di un voto che, apparentemente, è scontato.  E' il segnale che un certo modo di fare banca non può essere accettato in virtù solo del numero di anni in cui viene esercitato? 
Non è tanto una questione di età dell’attuale classe dirigente o del numero di anni da cui le stesse persone siedono nel consiglio. È una questione di necessità di rendersi conto che il mondo è cambiato radicalmente negli ultimi 20 anni e che se si vuole che la Banca Popolare di Sondrio sia ancora qui tra 20 anni è necessario adeguarsi al tempo che passa, cogliere le opportunità che la tecnologia offre per migliorare il modello di business. E’ necessario aprirsi al nuovo, allargare la mente e provare a prevedere come dovrà essere la banca tra 5 anni. Il volersi arroccare per difendere la “rendita di posizione” attuale, facendo leva sulla forma cooperativa e sulla immagine idealizzata che i soci/clienti hanno della banca, è una scelta che è destinata a perdere e che rischia di condannare la Popolare di Sondrio a finire fuori dal mercato in pochi anni.
La banca ha operato molto bene nei decenni passati e la dimostrazione è nella solidità patrimoniale che ha saputo mantenere e nella totale fiducia che ha ottenuto dagli azionisti che hanno sottoscritto l’aumento di capitale nel 2014. Purtroppo però l’aver operato bene nel passato non è certo garanzia di ottenere lo stesso nel futuro.  L’attuale management ha palesato infatti non solo di non essere in grado di interpretare alcune norme, come quella sull’obbligo di trasformazione in spa, ma soprattutto di non essere in grado di capire cosa la banca possa o non possa fare all’interno del contesto bancario attuale. Le bocciature, da parte della BCE dell’operazione con CariCento e dell’operazione con Farbanca, hanno testimoniato questa incapacità. Il discorso quindi non è tanto se il modo di fare banca del passato possa o meno andare bene oggi o per il futuro, ma quanto questo management sia in grado di guidare una banca che per dimensioni e attivi non è più una banca “locale” ne tantomeno “popolare”. Concludo, invitando i soci – ma anche gli amministratori e il management – a considerare che l’andamento recente del prezzo del titolo in Borsa sembra essere un chiaro segnale di quella che dovrebbe essere la strada dei prossimi mesi. Il mercato infatti, sembra finalmente riconoscere i progressi fatti (non per merito dell’attuale CDA, ahimè) e potenziali della banca: progressi che vanno dal miglioramento della qualità degli attivi (con le prime cessioni di NPLs), alla nomina di un nuovo direttore generale (che viene da esperienze esterne alla banca) fino all’attesa per l’imminente trasformazione della banca in società per azioni. La scelta del Consiglio di Amministrazione è evidentemente tra provare a guidare il cambiamento, sperando che non sia troppo tardi, oppure continuare a subire il passare del tempo e il rafforzamento dei concorrenti.
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