CDR Communication, le fondatrici Di Rosa e Colucci: "Ai nuovi clienti diciamo che saremo colleghi"

- di: Redazione
 
La centralità crescente della comunicazione finanziaria, dell’investor relations e media relations per il successo delle imprese, i cambiamenti profondi di questa attività sull’onda delle rivoluzione digitale, i grandi temi della comunicazione e la loro evoluzione, l’importanza della reputation (e come preservarla) e molto altro in questa intervista a Silvia Di Rosa, e Vincenza Colucci Co-Founder e Partner di CDR Communication.

Intervista a Silvia Di Rosa e Vincenza Colucci, Co-Founders e Partners di CDR Communication

Avete entrambe una vasta e approfondita esperienza della comunicazione finanziaria, intesa sia come investor relations sia come attività di media relations. Come avete visto cambiare il settore nell’ultimo decennio, da quando avete fondato CDR Communication? E quali evoluzioni prevede nei prossimi anni?
C’è molta più considerazione e attenzione nei confronti del nostro ruolo. Al di là dello stile con cui CDR lavora con i propri clienti, è stato lo stesso mercato a imporre una svolta alla percezione dell’investor relator (IR): non è più visto come mero ‘supporto’ delle scelte di un’azienda quotata, ma come una parte integrante. Per quanto riguarda il futuro, siamo convinte che il rapporto con il mercato finanziario, ovvero con gli investitori istituzionali, avrà un posto sempre più centrale nella vita delle medie piccole aziende che si sono affacciate sul mercato borsistico. Per noi sarà fondamentale comprendere e gestire questa evoluzione e integrazione. Nel suo senso più esteso, la cultura è la base di ogni sintassi relazionale: un silenzio opportuno o la scelta delle parole avranno sempre più peso.

Guardando al versante delle imprese, quanto è cresciuta in Italia nell’ultimo decennio la loro consapevolezza circa l’importanza della comunicazione finanziaria per accedere efficacemente al mercato dell’equity e per dare gambe solide all’attività di marketing? Quanto su questo fronte è ancora largo il gap della situazione italiana rispetto a quella dei grandi Paesi europei?
Siamo rimaste piacevolmente colpite dalla sensibilità dei nostri clienti: hanno perfettamente compreso quanto sia importante comunicare, anche al di fuori della loro comfort zone. Bisogna ancora lavorare sulle modalità: le ormai necessarie rapidità e immediatezza possono essere viste come sinonimo di superficialità e sta quindi all’IR mediare tra il modo convenzionale di comunicare e quello attuale, coniugando accuratamente sintesi e profondità. Rispetto agli altri Paesi non vediamo grandi differenze nel modo di comunicare delle Large Cap, mentre c’è ancora da lavorare sulle piccole medie imprese che approcciano il mercato equity spesso ignare delle attività da svolgere sul fronte comunicazionale. In questo caso sta a noi, con tutti gli attori lato advisory, svolgere una chiara attività di education in modo da preparare le aziende, soprattutto lato IR, ad affrontare i mercati finanziari.

L’innovazione della comunicazione finanziaria si inquadra ovviamente nella più generale trasformazione del mondo della comunicazione. L’ingresso dei social nelle dinamiche quotidiane ha stravolto il panorama dell’editoria, tanto che resta sempre attuale il tema di capire chi alla fine prevarrà nella formazione del giudizio da parte degli utenti, se i social o i media tradizionali. Ma alla fine, a suo parere, ne resterà solo uno o possono convivere?
Social e comunicazione ‘classica’ sono e saranno necessari e complementari. È vero che con un solo tweet Elon Musk creò scompiglio tra i suoi investitori, ma qui da noi ancora non siamo arrivati a questo. L’oggettiva concisione della grammatica social va saputa maneggiare con cura e attenzione: noi la usiamo per dare una notizia che viene poi argomentata dal contenuto che indichiamo.

Durante la pandemia anche nella comunicazione si è assistito a una forte virata digitale. Cosa ha insegnato questa esperienza in termini di comunicazione? E la virata digitale quali segni permanenti e strutturali lascerà nel post-pandemia?
Abbiamo visto tutti gli attori del nostro mondo reagire con una prontezza che andava ben al di là del puro timore economico. La tecnologia ci ha aiutati moltissimo e ha anche fatto comprendere quanto e come sia possibile lavorare in remoto, mantenendo i rapporti in presenza per quei momenti in cui era necessaria l’empatia o la condivisione degli obiettivi raggiunti. Crediamo che nel futuro prossimo venturo riusciremo ad affinare queste necessarie forzature.
Come, in termini di strategie comunicative, gestire le crisi e salvare la reputazione? Ci sono aziende che sono andate a terra a causa delle crisi più disparate (prodotti difettosi, perdita della ‘reputation’ per l’infedeltà dei manager e così via, in una casistica infinita), altre che invece sono riuscite a salvare la reputazione. Come si muovono davanti a eventi del genere professionisti come lei quando sono chiamati a salvare la ‘reputation’ di un’azienda dopo un evento critico?
Calma e chiarezza sono la base della comunicazione. Se una reputation sta per essere messa in discussione da rumors o da eventi oggettivi, è meglio essere chiari ed espliciti subito, invece di girarci intorno o, peggio, di distrarre il mercato con altro, prima ancora che quella notizia venga diffusa. La reputation di un’azienda si rafforza se, di fronte a un evento critico, sa reagire in maniera limpida e proattiva.

Nei corsi universitari di comunicazione aziendale si insegna che, dal punto di vista comunicativo, oggi ‘al centro non ci sono più le aziende ma il pubblico, i brand vengono scelti, non scelgono’. È d’accordo?
È un argomento scivoloso e dalle molteplici sfaccettature. Alcuni brand tecnologici, per esempio, propongono innovazioni che illudono il cliente a ritenersi padrone del proprio destino, mentre invece è l’esatto contrario. Di converso, i brand OTT strutturano i propri prodotti in base a focus o al sentiment di target specifici. È vero anche che l’apparenza di un brand viene sempre più fatta percepire come fosse un contenuto ambito e necessario.

Viene affermato che una delle doti che si richiedono al comunicatore di oggi è sapere costruire, padroneggiare, in funzione di obiettivi prestabiliti, lo storytelling. Ma quanto è veramente importante il ‘racconto’ in termini di efficacia comunicativa?
Nel caso dell’attività IR funziona ancora la comunicazione verbale, la capacità di saper raccontare le potenzialità del nostro cliente, senza trascurare le sue debolezze. Saper raccontare anche una criticità aiuta a dimostrare la credibilità del cliente.

Tornando più specificatamente alla comunicazione finanziaria, quali sono le chiavi fondamentali del successo di CDR Communication, che è diventata tra le primarie organizzazioni per la consulenza e la redazione di piani comunicazione corporate e finanziaria?
La prima cosa che diciamo sempre ai nuovi clienti è che saremo colleghi. Colleghi con cui condivideremo ogni singolo passo e ogni possibile difficoltà. Quell’azienda sarà la pietra angolare di ogni nostra attività, la stella polare di ogni nostro sforzo. Aggiungo che CDR mantiene sempre aggiornato il proprio team, disponendo anche incontri con professionisti dei settori più disparati, per mantenere sempre elevati i processi di comunicazione e quelli professionali.

Comunicazione finanziaria, investor relations e media relations. Quali i rapporti all’interno di questa trinità, quali le sinergie indispensabili?

Ognuno dei tre campi ha una grammatica specifica cui CDR dedica un’attenzione quasi maniacale. Nel contempo, quando è necessaria una sintesi tra i tre linguaggi, Cdr punta sempre alla chiarezza: per esempio, presentando un brand tecnologico, bisogna coniugare l’esattezza tecnica con il suo essere comprensibile anche a chi ne capisce poco o nulla, ma ne è comunque interessato.

Una domanda personale. Cosa fanno nel tempo libero due persone impegnata come voi, sempre in trincea? E cosa leggete, oltre ovviamente a ciò che è direttamente connesso al vostro lavoro?
Silvia Di Rosa: “Ho corso per anni, partecipando anche a una maratona di New York. Adesso mi dedico più al nuoto, gareggiando ai master con una squadra milanese. Appena posso, leggo romanzi. Ho amato soprattutto i classici russi. L’ultimo libro in ordine di tempo che mi ha rapita è ‘Una vita come tante’ di Hanya Yanagihara. Per anni ho studiato anche canto, cimentandomi con Monteverdi, Puccini e Mozart. Ovviamente amo la musica lirica, ma non posso fare a meno di Prince, Porcupine Tree, Dave Matthews Band e Miles Davis. Trascorro le vacanze natalizie a Orvieto per godermi i concerti di Umbria Jazz Winter”.
Vincenza Colucci: “Il tempo libero per me è proprio una risorsa scarsa dovendomi dividere tra lavoro, un marito, un figlio e due gatti. Amo viaggiare e scoprire nuove culture, passione condivisa con la mia famiglia: ogni anno facciamo viaggi importanti e anche durante questi due anni di pandemia siamo andati alla riscoperta del nostro Bel Paese. Oltre a questo, amo lo sci in tutte le sue forme, amo correre e nuotare. Un libro non manca mai sul mio comodino, dai gialli della Vargas o degli italiani Manzini e Camilleri, a romanzi intimistici della Perrin, storico-biografici della Auci e onirico-surreali di Murakami”.
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