Industria: Il "Sistema Italia" e il caso Stellantis

- di: Redazione
 
Mentre il mondo dei produttori di autovetture è ovunque in fermento (basta dare un'occhiata quotidiana alle grandi manovre in atto), l'Italia sembra assuefarsi al destino ineluttabile di diventare, in tempi nemmeno tanto lontani, un protagonista nemmeno degno di essere definito tale, ai margini dei poli produttivi che contano e, soprattutto, senza mostrare segnali di una inversione di tendenza.
È un andazzo che va avanti da anni, nonostante il fatto che in molti altri Paesi i player globali impiantino stabilimenti, che non solo producono centinaia di migliaia di veicoli (sono lì per questo), quanto garantiscono posti di lavoro in numero sempre crescente.

Industria: Il "Sistema Italia" e il caso Stellantis

L'Italia sembra avere perso ogni attrattiva (e non solo nel settore automobilistico, come insegnano casi recenti di gruppi globali che si stanno sganciando da investimenti annunciati per il nostro Paese o da altri già in atto), contribuendo all'inaridimento del tessuto produttivo nazionale.
Andare a cercare i responsabili di questo stato di cose, mortificante per la nostra economia, potrebbe risolversi in un semplice esercizio di autoflagellazione, perché le colpe sono tante e antiche e soprattutto non si possono risolvere con la semplici parole. Ma certo parlarne può contribuire a creare un clima diverso, in cui magari si prenda coscienza che i bei tempi che furono non si ripresenteranno e che le etichette e gli allori del passato devono essere dimenticati.

Il caso più lampante sono le politiche di Stellantis, che ha raccolto l'eredità "valoriale" per l'Italia di Fiat, ma che poco o nulla sta facendo per consentire che essa di perpetrarsi, magari su base industriali diverse, ma che almeno, appunto, prosegua. Così non sta accadendo, con il problema della deindustrializzazione che sta assumendo contorni ed ampiezza drammatici, ai quali non si riuscirà a dare risposte risolutive a meno di un netto, deciso e chiaro cambio di prospettiva.

E' utile, a questo punto, riprendere alcuni passaggi di una intervista che Carlo Calenda, leader di Azione, ha dato al al Messaggero e nella quale ha detto che la storia di Stellantis in Italia "è allucinante. Sia per le dimensioni della vicenda, sia per l’omertà della sinistra e del sindacato. Dopo la morte di Sergio Marchionne, John Elkann ha cominciato a vendere le attività, innanzitutto la Magneti Marelli. L’ha ceduta durante il governo Conte a una società giapponese, super-indebitata, di proprietà di un fondo. All’epoca, chiesi al governo d’intervenire bloccando la vendita attraverso il golden power. Ma Conte decise di non farlo".

In poche frasi, pur nella ruvidezza del suo linguaggio, Calenda ha messo a fuoco una situazione che si palesa come contraria agli interessi nazionali, dal momento che il gruppo Stellantis ne emerge come il difensore di logiche industriali e quindi di mercato in cui l'Italia, come Paese di antica "nobiltà" nel campo automobilistico, viene escluso da progetti di investimenti veri e fondati. Quindi non quelli che si sbandierano, pur non avendo ricadute reali.

Il riferimento lo ha fatto, ancora una volta, Calenda, ricordando che Elkann "diede assicurazioni sugli stabilimenti e sul lavoro in Italia. Come abbiamo visto con la brutta fine della fabbrica Magneti Marelli a Crevalcore, queste assicurazioni non valgono nulla. Ma questo non è che il principio. La morale è l’irresponsabilità di un capitalismo che usa l’Italia a proprio piacimento. Anzi, è più di questo".
Già, perché, pur se le strategie erano intuibili, durante il secondo governo Conte "Fca riceve una garanzia pubblica di 6,3 miliardi, per consentire agli azionisti di pagarsi un dividendo in Olanda da 3,9 miliardi di euro. E di fatto vendere la ex Fiat a Peugeot. Questi sono capitalisti che si fanno gli affari loro. Se ne infischiano dell’Italia e sono stati favoriti da una politica debole e compiacente".

Ora che la situazione sia quella delineata da Calenda è abbastanza facile da confermare, vedendo come lo sguardo di Stellantis verso i suoi stabilimenti soffra di uno strabismo imprenditoriale, privilegiando quelli francesi, quelli di "casa", preparandoli al grande balzo verso l'elettrico, e lasciando gli italiani in un ruolo da comparsa. Anzi, incalza Calenda, "le fabbriche italiane, a cominciare da Mirafiori, si vanno desertificando. E Tavares viene a inaugurare a Mirafiori una linea di rottamazione, spacciandola per economia circolare, alla presenza di tutte le autorità cittadine".
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