Nonostante le due posizioni in più conquistate in materia di innovazione, l’Italia continua ad arrancare e resta al 26esimo posto in classifica, lontana dai Paesi europei più sviluppati, nonché dal G7, quelli che compongono le economie più avanzate del pianeta: questo, secondo l’annuale e atteso report Global Innovation Index 2023 stilato da WIPO, World Intellectual Property Organization, e razionalizzato da Visual Capitalist, che analizza, attraverso 80 indicatori, raggruppati in 7 categorie la propensione all’innovazione di 132 Paesi, determinandone una classifica a livello mondiale:“Rispetto alla rilevazione dello scorso anno il nostro Paese fa un piccolo passo in avanti - commenta Giovanna Voltolina, mid-cap investor - ma a mio giudizio tanto irrilevante quanto insufficiente rispetto al talento in materia di innovazione che l’Italia storicamente ha sempre sviluppato".
Imprese, Global Innovation Index 2023: Italia 26esima, indietro in Europa e distante dai G7
E mentre l’Italia si piazza 26esima, dietro Malta, e appena davanti Cipro, con un punteggio di 46,6 (+0,5 sul 2022), la Top 10 del 2023 vede al primo posto la Svizzera (con un punteggio di 67,6), seguita da Svezia (punteggio 64,2), USA (63,5), Gran Bretagna (62,4), Singapore (61,5), Finlandia (61,2), Olanda (60,4), Germania (58,8), Danimarca (58,7) e Corea del Sud (58,6). La Francia fuori di un soffio dalla TOP10 è undicesima con uno score di 56,0.
Le 7 categorie d’indagine riguardano, più specificatamente, la Business Sophistication (investimenti in Ricerca & Sviluppo, afflussi netti di investimenti diretti esteri), Market Sophistication (dimensione del PIL, intensità della concorrenza del mercato locale), Infrastrutture (strade, ospedali, edilizia scolastica, efficienza energetica), Capitale umano e ricerca (investimento statale per alunno, qualità delle istituzioni scientifiche e di ricerca), Istituzioni (stabilità politica e sicurezza, facilità di avviare un'impresa), Creativity Output (marchi a valore aggiunto, applicazioni di design industriale, applicazioni di marchi), Conoscenze e tecnologia (domande di brevetto, aumento della produttività del lavoro, spesa per software). Tutte categorie tra cui, come sottolineato in una nota dell’ufficio di Rappresentanza italiana presso l’ONU di Ginevra, “oltre al miglioramento di due posizioni rispetto all’anno passato, conferma, da un lato, il posizionamento dell’Italia tra la leadership globale in termini di diversificazione dell’industria nazionale, nonché di sviluppo dell’innovazione soprattutto nel design industriale. D’altro canto, il rapporto individua margini di miglioramento per la nostra economia, soprattutto in relazione alla capacità di attrazione di investimenti diretti esteri”.
Mario Mantovani, presidente Manageritalia, aggiunge: “Come dice anche il Rapporto dobbiamo migliorare nella capacità di attrarre capitali esteri. Per farlo, aumentando anche quelli privati nazionali e metterli al servizio anche dell’innovazione, dobbiamo però incrementare la capacità di gestione manageriale e di fare sistema delle nostre aziende. L’innovazione oltre che stimolata va messa a sistema sia in azienda che nelle filiere e per farlo serve organizzarla e darle corpo e sostanza perché startup e Pmi possano incanalarla verso nuovi modelli di business e organizzativi e prodotti e servizi che sviluppino alto valore e capacità di competere sui mercati. In tutto questo una maggiore managerialità nel nostro sistema economico e una valorizzazione delle competenze di tutti sarebbe la vera prima e determinante innovazione da mettere in campo”.
Spesso, Governo, sistema bancario e finanziario e PA sviluppano continui e ricchi piani di sostegno all’innovazione, ma frequentemente sono rivolti a giovani imprenditori, start up, progetti innovativi: “Ritengo - continua Giovanna Voltolina - che ciò produca meno di quanto investito perché, e sottoscrivo il pensiero del presidente Mantovani, l’innovazione trova fertile humus nell’esperienza aziendale. Dovrebbero dunque essere le nostre imprese e Pmi gli incubatori dell’innovazione, e su di loro si dovrebbe investire. Ma ancor di più, siano le Pmi medesime, superando la generale riottosità degli imprenditori nostrani, ad aprirsi agli investitori, nazionali o internazionali, che ben volentieri, lo dico dal mio osservatorio internazionale, insieme a capitali importanti per lo sviluppo dell’azienda, dei processi o dei prodotti, possono apportare competenze, sapere, esperienza e contatti, anche di vendita, globali”.