A Gaza piove. Le tende si allagano. E mentre le famiglie spostano materassi fradici da un angolo all’altro dei campi improvvisati, arriva l’ennesimo messaggio di Hamas alla comunità internazionale: qualsiasi forza di pace che entri nella Striscia dovrà rispondere solo all’Onu. Altrimenti, dicono, “è occupazione”.
Gaza, tra diplomazia e fango: l’avvertimento di Hamas all’Onu
È un avvertimento che arriva mentre a New York il Consiglio di Sicurezza si prepara a votare la risoluzione che dovrebbe definire i contorni del “dopo-guerra”. Una fase che, sulla carta, dovrebbe disinnescare anni di tensione. Nella pratica, rischia di aprirne altre.
La diplomazia si muove: Mohammed bin Salman a Washington
Mentre nella Striscia si combatte ancora per un riparo asciutto, a Washington si muove la pedina che tutti aspettavano. Mohammed bin Salman, l’uomo che vuole trasformare l’Arabia Saudita nella nuova potenza del Medio Oriente, è arrivato nella capitale americana.
Domani vedrà Donald Trump. È l’incontro che potrebbe riscrivere l’equilibrio regionale: sul tavolo ci sono l’accordo per i caccia americani e soprattutto il dossier più sensibile, quello sulla normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele.
Il tutto mentre la guerra a Gaza rimane la grande variabile impazzita. E mentre Hamas, proprio oggi, ribadisce di non voler accettare alcuna presenza internazionale che non sia “sotto comando esclusivo dell’Onu”.
Gaza: tende, pioggia e macerie
Nella Striscia l’inverno è arrivato di colpo. Le prime piogge hanno trasformato i campi di sfollati in pozze di fango. L’acqua entra dalle fessure delle tende, scorre sotto le coperte, spegne stufe improvvisate. La vita si restringe e diventa una questione di centimetri asciutti da difendere.
Il parroco locale racconta che ora si dorme “al riparo tra le macerie”. Non perché ci sia una scelta, ma perché quelle macerie – i resti di case distrutte – offrono più riparo delle tende. Dentro, le persone si arrangiano con coperte umide, materassi appoggiati su detriti, piccole luci alimentate da generatori che funzionano a intermittenza.
Il voto atteso al Consiglio di Sicurezza
Nel pomeriggio l’Onu vota. Una risoluzione che dovrebbe indicare come e con chi garantire la sicurezza nel dopoguerra. La discussione si sta concentrando sul ruolo delle forze internazionali e sulla necessità – ribadita da più governi arabi – che la gestione della Striscia non sia percepita come un’occupazione in una nuova forma.
Gli Stati Uniti spingono per una formula che consenta a Israele di mantenere “capacità di sicurezza operative” per impedire il ritorno di Hamas, mentre diversi Paesi europei vorrebbero una presenza internazionale più marcata. L’asse arabo, invece, ripete che l’unica autorità accettabile è l’Onu.
Hamas, che osserva tutto da dentro la guerra, alza il tono: “Qualsiasi forza che non risponde alle Nazioni Unite sarà considerata una potenza occupante”. È la linea rossa che vogliono fissare prima che la diplomazia internazionale arrivi nella Striscia.
Due mondi che non si incontrano
Da una parte, i leader che discutono tra Washington e New York, dentro stanze illuminate da lampade bianche e refrigerate dall’aria condizionata. Dall’altra, un territorio dove la pioggia cade su tende che non tengono, sulla terra nuda e sulle città ridotte a cumuli di cemento.
La distanza non è solo geografica. È fatta di tempi, linguaggi, priorità. Eppure, le due linee – quella della diplomazia e quella degli sfollati – finiscono sempre per intrecciarsi. Perché ogni voto, ogni accordo, ogni dichiarazione sulla “fase successiva” finirà inevitabilmente per ricadere proprio su chi oggi, a Gaza, tenta solo di tenere i piedi asciutti.