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Francia, il J’accuse della Corte dei Conti: “Il Louvre ha scelto l’immagine, non la sicurezza”

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Francia, il J’accuse della Corte dei Conti: “Il Louvre ha scelto l’immagine, non la sicurezza”

Il Louvre, simbolo universale dell’arte e dell’identità francese, finisce al centro di un J’accuse che suona come una lezione di umiltà nazionale.
La Corte dei Conti francese, nel suo ultimo rapporto, accusa la direzione del museo di aver privilegiato le operazioni “accattivanti” e mediatiche a scapito della sicurezza e della manutenzione delle collezioni, proprio poche settimane dopo il clamoroso furto di gioielli avvenuto nel cuore della Grande Galleria.

Francia, il J’accuse della Corte dei Conti: “Il Louvre ha scelto l’immagine, non la sicurezza”

“Il furto è stato un assordante campanello di allarme”, ha dichiarato Pierre Moscovici, primo presidente della Corte, con parole che riecheggiano come un atto d’accusa verso l’intero sistema culturale francese, sempre più sedotto dal marketing e sempre meno attento alla conservazione.

Il furto che ha scosso la Francia
Era la notte di tre settimane fa quando un gruppo di ladri, in un’operazione degna di un film, riuscì a introdursi in una delle sale dedicate alle arti decorative del XVII secolo e a trafugare gioielli storici del valore stimato di oltre 15 milioni di euro.
Un colpo fulmineo, durato appena sette minuti, compiuto con una precisione che ha lasciato attoniti i responsabili della sicurezza.
Il ministro della Cultura Rachida Dati aveva allora promesso “tolleranza zero” e una revisione completa dei protocolli di sorveglianza. Ma oggi il dossier della Corte aggiunge un elemento più profondo: la vulnerabilità del Louvre non è un incidente, bensì il risultato di una politica culturale sbilanciata verso l’immagine e l’evento.

La critica della Corte: “Troppa comunicazione, poca prevenzione”

Nel documento, la magistratura contabile ricostruisce anni di scelte strategiche.
“Il museo ha concentrato le sue risorse su operazioni accattivanti, capaci di attirare pubblico e sponsor, ma ha trascurato la manutenzione ordinaria e l’ammodernamento dei sistemi di sicurezza”, si legge nel rapporto.
Una strategia che ha portato a risultati spettacolari in termini di visibilità — 8,9 milioni di visitatori nel 2024, record mondiale — ma che avrebbe “consumato energie e bilanci” sottraendo risorse ai controlli interni, alla digitalizzazione e alla conservazione preventiva delle opere.

La Corte denuncia anche “una gestione troppo personalizzata e orientata alla comunicazione”, con una struttura decisionale che ha concentrato potere e immagine nella figura del direttore, spesso a scapito dei servizi tecnici e dei curatori.

Moscovici: “La cultura non è intrattenimento”
Pierre Moscovici, ex commissario europeo e oggi custode dei conti pubblici francesi, non usa mezzi termini: “Il furto di ottobre non è un incidente isolato ma il sintomo di una fragilità sistemica. Dobbiamo chiederci cosa significhi oggi proteggere il nostro patrimonio. La cultura non può essere solo intrattenimento, deve restare un bene pubblico, custodito e non esibito come merce”.

Parole che pesano, soprattutto in un Paese dove il Louvre è non solo un museo, ma una religione laica, un tempio repubblicano che ogni anno genera più entrate turistiche di intere regioni.

Tra visione e contraddizioni
Negli ultimi anni, la direzione del museo ha puntato su grandi eventi – dalle retrospettive blockbuster su Leonardo e Delacroix fino alle collaborazioni internazionali con il Louvre Abu Dhabi – e su una strategia di espansione globale che ha reso il marchio Louvre un brand planetario.
Ma la Corte segnala come la corsa alla spettacolarizzazione abbia “accentuato il rischio di vulnerabilità interna”, con impianti di videosorveglianza non aggiornati, personale ridotto e una rete informatica “non conforme agli standard di sicurezza europei”.

Il rapporto parla di “un eccesso di fiducia nell’inviolabilità simbolica del museo”, quasi che la leggenda stessa del Louvre fosse una garanzia contro il furto.
E invece, nel 2025, quel mito si è incrinato.

La reazione del museo
In un comunicato diffuso in serata, la direzione del Louvre ha respinto “ogni accusa di negligenza”, rivendicando “un investimento costante nella sicurezza e nella valorizzazione del patrimonio”.
“Il nostro impegno verso la tutela delle opere è assoluto – si legge nella nota – ma non rinunceremo alla missione di rendere la cultura accessibile e viva”.

Una risposta che non cancella il disagio. Perché dietro il linguaggio istituzionale resta il sospetto – condiviso da molti storici dell’arte – che la Repubblica delle luci abbia smarrito l’equilibrio tra la cultura come gloria e la cultura come responsabilità.

L’allarme che resta
In Francia, la discussione è aperta. Editoriali e intellettuali si dividono: c’è chi difende la “modernizzazione spettacolare” del Louvre e chi, come l’archeologo Jean-Luc Martinez, parla di “un patrimonio sotto assedio dal marketing”.
Intanto il corpo diplomatico della cultura, dalle province ai musei minori, guarda con preoccupazione al futuro: se perfino il Louvre non è più sicuro, cosa resta degli altri?

Ecco perché le parole di Moscovici, più che una denuncia contabile, somigliano a una chiamata collettiva alla vigilanza.
Perché la bellezza, quando smette di essere protetta, rischia di diventare il bottino più ambito – e più vulnerabile – della modernità.

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