Il bilancio complessivo di quanto fatto finora appare davvero buono. Lei è soddisfatto o si poteva fare di più? E come immagina la Fondazione Enasarco, un colosso con 250 mila agenti di commercio iscritti e 100 mila aziende mandanti, tra 10 anni?
Immaginare cosa accadrà fra dieci anni è complicato, sia con riferimento alla Fondazione Enasarco, sia riguardo al nostro Paese, le cui dinamiche influenzano indubbiamente anche le scelte di un Ente come il nostro. Ad oggi i risultati ottenuti dalle trasformazioni poste in essere sono positivi ed incoraggianti. Dimostrano che la Fondazione è sana, riuscendo ad assicurare non solo le prestazioni previdenziali, ma anche quelle assistenziali per agenti, rappresentanti di commercio e consulenti finanziari. Allo stesso tempo, però, non si può negare che le sfide che la realtà ci pone sono molteplici e non sempre di semplice o immediata soluzione. Le attività ispettive che la Fondazione realizza permettono di portare alla luce un lavoro sommerso che incide negativamente sul presente ed il futuro degli agenti di commercio e dei consulenti finanziari, ma il cambiamento complessivo che interessa il Paese comporta anche ulteriori problematiche. Mi riferisco al fenomeno della disintermediazione, ossia della riduzione dei flussi intermediati che da sempre caratterizzano questo tipo di attività. Questo cambiamento radicale nei rapporti tra produzione e distribuzione e, conseguentemente, nei confronti dei singoli cittadini, non solo ridisegna meccanismi di incontro tra domanda ed offerta ai più disparati livelli, ma incide fortemente sulle future prospettive previdenziali. Come noto, infatti, il sistema pensionistico italiano è basato su uno scambio intergenerazionale, in cui i giovani lavoratori che entrano sul mercato versano contributi per pagare le pensioni dei più anziani, fiduciosi che altrettanto avverrà nei loro confronti in futuro. Questa impostazione difficilmente può conciliarsi positivamente con un simile mutamento dei rapporti sociali e commerciali, pertanto è complesso, se non addirittura imprudente, immaginare cosa potrà avvenire nel prossimo decennio senza lasciare ampio margine alle evoluzioni che il Paese dovrà affrontare. Più saranno incerte le modalità di prestazione di lavoro, più sarà complicato pianificare il futuro. Ciò, ovviamente, vale tanto per la realtà previdenziale, quanto per tutti quei contesti in cui il fenomeno della disintermediazione esplica i propri effetti, mi riferisco alla politica, all’economia, alla finanza. Le modifiche che stanno intervenendo, accelerate da sistemi informatici e virtuali, devono essere valutate con attenzione e devono trovare un riscontro ed un adattamento che siano efficaci e tutelanti per tutti i soggetti coinvolti.
Parliamo di Bilancio sociale. Una scelta di trasparenza e responsabilità sociale, sia verso gli iscritti che verso la società. Come è avvenuta la svolta di dargli un ruolo così centrale?
Le posizioni e gli obiettivi che la Fondazione assume per i propri iscritti devono essere chiari e condivisi e ciò, ancor più, quando si sceglie di investire in economia reale dando supporto e sostegno all’intero tessuto sociale. Sono proprio i principi di trasparenza e responsabilità sociale che ci hanno portati a dare centralità ad un Bilancio Sociale che ogni anno si riscopre più importante. Le iniziative di rigenerazione del portafoglio, le politiche di investimento portate avanti dalla governance ed il sostegno ad un settore così importante per l’economia italiana (basti pensare all’incidenza che l’attività di agenti e consulenti ha in termini percentuali sulla movimentazione del PIL) devono essere oggetto di condivisione nei confronti degli iscritti e degli stakeholder della Fondazione. Lo strumento del Bilancio Sociale permette di aprire all’esterno una finestra sulle operazioni portate avanti da Enasarco, volte a ricavare le risorse necessarie per erogare prestazioni. In questo senso sappiamo di non essere soli. Il Governo si sta mostrando molto attento, dalle dichiarazioni del Ministro Luigi Di Maio, a quelle del Sosttosegretario Claudio Durigon, si comprende chiaramente la volontà di creare un sistema di stretta collaborazione tra risorse private e pubbliche, che siamo pronti ad incoraggiare ed appoggiare. Seppure le norme attuali non ci facilitano in questo intento, soprattutto in termini di agibilità, abbiamo da subito dichiarato la nostra disponibilità, certi di poter contribuire ad individuare efficaci catalizzatori di crescita dell’innovazione e dell’intero sistema economico italiano. Serve un’economia di consolidamento per i nostri contribuenti, strettamente correlata ad un rafforzamento dell’economia reale del Paese. Le operazioni finanziarie che hanno caratterizzato il passato, rivolte soprattutto al settore edilizio, anche su esplicita richiesta del decisore politico dell’epoca, hanno la necessità di essere convertite in modelli di investimento più attuali. La trasformazione che stiamo attuando, ci deve portare ad essere nuovi protagonisti di una realtà evoluta, garantendo ai nostri contribuenti un cambio di passo sempre coerente con metamorfosi rapide e differenti.
I dati parlano chiaro. Il 2017 ha chiuso con risultati più che positivi. Che significa in concreto tutto questo? Come si riverbera sui servizi agli iscritti?
I dati del bilancio continuano ad essere positivi e questo, oltre ad essere un altro segnale del corretto percorso intrapreso, rappresenta il risultato di una politica di compartecipazione degli iscritti alle nostre scelte. Io stesso, per esempio, sono stato eletto attraverso un sistema di voto più democratico che ha visto il coinvolgimento di circa 280 mila iscritti, che hanno partecipato alle prime elezioni della Fondazione tenutesi nel 2016. Questo dimostra come l’Ente abbia deciso di rafforzare la centralità dell’iscritto nelle scelte che lo interessano, a partire dalla governance. L’efficientamento ed il miglioramento dei servizi della Fondazione e dei suoi risultati passa anche attraverso una capacità di comunicazione più efficace. Abbiamo scelto mezzi e modalità più diretti rispetto al passato; abbiamo puntato ad un rapporto più lineare e trasparente con i nostri iscritti. Abbiamo lanciato importanti campagne informative, per mezzo delle quali ampliare la consapevolezza dell’ampia gamma di servizi che Enasarco eroga non solo in termini previdenziali, ma anche di welfare. Un esempio tra tanti è il sostegno che la Fondazione offre per la formazione. La decisione di finanziare una tale prestazione nasce dalla volontà di contribuire ad un rafforzamento delle potenzialità di agenti e consulenti, anche cercando di far emergere i giovani che potranno consolidare la propria presenza dal punto di vista contributivo. Non nascondo che, come in tutti i cambiamenti, alcune linee di azione possano apparire ancora incerte, ma le logiche di radicale rinnovamento sono finalizzate ad affrontare e vincere le sfide attuali e future, mantenendo gli iscritti e la sostenibilità al centro del sistema Enasarco.
La Fondazione Enasarco compie 80 anni e dal 1938 di acqua sotto i ponti ne è passata. Cosa è rimasto e cosa invece è mutato rispetto alla ‘mission’ originaria dell’Ente?
Sì, sono passati 80 anni dalla fondazione dell’Ente, che ha due date di nascita principali, distanti tra loro circa 60 anni. La prima, il 1938, in cui autorevoli personaggi – Pirelli per esempio – sottoscrivevano l’atto costitutivo con il quale si concludeva un accordo economico tra agenti, rappresentati e imprese, a seguito del quale il Regio Decreto del 1939 istituiva Enasarco, quale ente di diritto pubblico, con la finalità di gestire la previdenza, l’assistenza sociale e il fondo indennità risoluzione rapporto. In un difficile contesto politico come quello dell’epoca è impossibile non riconoscere la lungimiranza delle parti sociali che riuscirono a convergere su importanti esigenze avvertite nel mondo del lavoro, ma ci volle comunque un anno perché quelle scelte venissero riconosciute. La seconda data fondamentale è il 27 novembre 1996, in cui il nostro Ente venne privatizzato, assumendo la forma giuridica di fondazione. Nonostante il cambiamento del profilo giuridico, la nostra politica è chiara. Abbiamo un ruolo di garanzia, voluto dal sistema delle rappresentanze economiche al quale riconosciamo di essere i padri fondatori, che portiamo avanti ancora oggi come 80 anni fa. Proprio i nostri padri fondatori decisero di dare un’importanza centrale al Welfare, fondamentale per lo sviluppo di un Paese, e ancora oggi in questa scelta riconosciamo la nostra identità.
Un elemento a nostro parere molto importante è il riassetto del comparto Finanza. All’interno di questo riassetto c’è anche l’obiettivo di sostenere l’economia reale, scommettendo sulle Pmi italiane. Può, in sintesi, presentare un bilancio di questa importante trasformazione?
Come detto gli investimenti in economia reale e nelle piccole e medie imprese sono per noi un pilastro importante. La nostra missione è e rimarrà sempre di sostegno al mondo economico che rappresentiamo ed è per questo che abbiamo costruito un team attento a tutte le correnti economiche. Grazie al lavoro del nostro autorevole Direttore finanziario stiamo pianificando i nostri investimenti, tenendo conto che nel prossimo futuro potremmo avere un momentaneo abbassamento della curva economica dell’Ente. Ad oggi abbiamo ancora equilibrio tra le entrate contributive e le uscite dovute alle prestazioni ed il patrimonio è a garanzia e a supporto del sistema, ma l’andamento demografico potrebbe subire variazioni. Proprio per questo stiamo affrontando per tempo la potenziale criticità, certi di riuscire a coprire anche momenti che possono rivelarsi più difficoltosi. La convinzione di investire in economia reale, scommettendo anche sulle PMI italiane, non solo risponde a questa esigenza, ma supporta il mondo economico in cui i nostri iscritti operano, incentivandoli e sostenendoli nella prosecuzione della loro professione. Naturalmente la scelta delle operazioni non può prescindere da uno studio attento e prudenziale dei gestori e dalla valutazione di stringenti policy che abbiamo determinato, volte a garantire una efficace sostenibilità.
Nel percorso di modernizzazione assume centralità anche la misurazione del grado di soddisfazione degli stakeholder di Enasarco, a cominciare ovviamente dai principali, gli iscritti. Che cosa può dirci al riguardo?
I nostri iscritti sono pilastro portante e fondamentale della Fondazione. Gli obiettivi di trasparenza e compartecipazione, come detto, sono finalizzati a rendere sempre più centrale la voce degli iscritti. Tendenzialmente molti sono soddisfatti del nostro lavoro e delle scelte, anche coraggiose, che abbiamo intrapreso. Certo non mancano voci critiche, che ascoltiamo ed abbiamo sempre ascoltato, seppure sono una minoranza. Alcuni esprimono soprattutto un malcontento nei confronti del nostro sistema Paese nel suo complesso, che deriva perlopiù dalle riforme economiche dei vari Governi. Ci sono poi i contribuenti cosiddetti “silenti”, ovvero coloro che dopo l’interruzione dei versamenti utili all’accesso alla prestazione previdenziale in base alle previgenti normative, nelle more del raggiungimento dell’età anagrafica necessaria per ottenere la pensione, hanno visto un aumento del requisito contributivo minimo. Così come ci sono contribuenti che hanno interrotto l’attività senza raggiungere il requisito di contributi sufficiente per accedere alla prestazione pensionistica. Questo, però, è un problema che non riscontriamo solo noi, ma anche altri Enti previdenziali, Inps compreso.
La ‘nuova Enasarco’ sta promuovendo un miglioramento dei processi interni di lavoro, che mira a raggiungere maggiore efficienza attraverso la crescita professionale dei dipendenti. Può fare il punto su questo aspetto che a noi appare cruciale?
Ovviamente se si vuole apportare un cambiamento all’esterno dell’Ente, bisogna innanzitutto procedere ad un cambiamento all’interno. Per quanto alle volte il cambio di passo possa apparire più lento del previsto, anche in ragione del mutamento di mentalità che ciò comporta, devo rilevare come il miglioramento dei processi interni di lavoro e dei livelli complessivi della produttività sia piuttosto dinamico. Miriamo ad una crescita professionale dei collaboratori in generale, soprattutto dei giovani, che può riflettersi in una crescita dell’Ente nel suo complesso. Stiamo cercando di portare tutte le rappresentanze alla stessa velocità verso questa via di trasformazione. Il cambiamento comporta anche differenti e giusti confronti che possono realizzarsi sia all’interno del Consiglio di Amministrazione, sia nella più ampia Assemblea dei delegati. Gli strascichi che possono derivare dalle campagne elettorali comportano una complicazione dei rapporti di inclusione, ma sono problematiche che devono essere superate per il bene degli iscritti e della Fondazione.
Il nuovo CdA dell’Ente si è insediato nel giugno 2016 e il processo di cambiamento a cui si è dato vita è così profondo che certamente non è concluso. Se dovesse racchiudere in uno slogan la strada che si sta percorrendo, come la definirebbe? E quali sono, tra i tanti, i provvedimenti presi di cui va più orgoglioso?
Lo slogan può essere certamente: “pazienza, perseveranza e prudenza”. Sono requisiti in assenza dei quali non si realizza e non si porta a compimento il cambiamento reale. Siamo partiti con gli Organi di controllo che diffidavano di noi, i vari Governi guardavano questo passaggio con scetticismo, eppure la situazione in cui ci troviamo ora è di consenso e riconoscimento per quanto già fatto e per quanto stiamo attuando. Potrò dirmi pienamente soddisfatto quando completeremo tutto il lavoro che ci siamo prefissati, a cominciare dal far conoscere e riuscire a divulgare appieno tutte le prestazioni di assistenza che forniamo a beneficio degli iscritti e delle loro famiglie, tra le quali la polizza assicurativa, le borse di studio, la formazione professionale che ho accennato e tanto altro ancora.