Meloni-Berlusconi/Salvini: 2 a 0 (ma è solo il primo tempo)
- di: Redazione
Vittoria ampia, e mostrando generosità per gli sconfitti.
Questo, in estrema sintesi, il risultato dell'incontro di ieri sera tra i vertici del centrodestra, il cui esito non era affatto scontato, anche se sarebbe stato ben difficile schiodare Giorgia Meloni dalla convinzione ampiamente giustificata che, tabelle e proiezioni alla mano, Fratelli d'Italia sia il partito più forte della coalizione e, quindi, quello che, una volta ufficializzato l'esito delle elezioni, dovrà esprimere il candidato alla presidenza del consiglio.
Elezioni 2022: prima "vittoria" di Meloni su Berlusconi e Salvini
A spiegare le conclusioni del vertice, al di là di mille parole, considerazioni e analisi, basta un passaggio del comunicato che ha ufficializzato, tirandone le somme, il risultato di quattro ore di serrato confronto: ''pieno accordo'' sulla questione della leadership e, quindi, di chi dovrà rappresentare la coalizione nella corsa a Palazzo Chigi e intesa di massima sulla ripartizione delle candidature nel collegi uninominali (221) ''in base al consenso attribuito ai partiti''. Ovvero, prendi due al prezzo di uno, nel senso che il pacchetto di rivendicazioni/condizioni che Giorgia Meloni aveva forse in testa di mettere sul tavolo sono passate senza nemmeno una grande opposizione.
E per un semplice motivo: le regole sono tali sino a quando valgono e non, come avevano cercato di fare alcuni esponenti forzisti, cambiandole in corsa. Come è accaduto quando si è cercato cercato di fare passare il principio che il candidato premier sarebbe dovuto essere espresso dall'assemblea degli eletti e non dal partito che aveva ottenuto la maggioranza dei voti.
Probabilmente il passo indietro trova una motivazione nella ragionevolezza: se i sondaggi sono attendibili, non è affatto scontato che Forza Italia e Lega, alla fine, insieme incamerino più parlamentari di Fratelli d'Italia, rischiando una brutta figura di dimensioni epocali.
Ma qualche balzello, sull'altare dell'alleanza, Meloni l'ha dovuto pagare, come il fatto che Fratelli d'Italia si farà carico dei candidati espressione dei ''cespugli'' centristi che, altrimenti, avrebbero poche o nessuna possibilità di essere eletti. È un impegno da onorare per il fatto di essere il partito più forte, anche se conferma come l'attuale sistema elettorale sia tanto nebuloso da contemplare cose del genere - con micropartiti nati da iniziative di pochi iniziati e che comunque si siedono alla tavola dei grandi - pur di dimostrare la coesione di una alleanza.
Mancano però alcuni importanti tasselli alla strategia del centrodestra, in cui qualcuno vede una eccessiva accondiscendenza di Berlusconi e Salvini davanti all'ingombrante alleata che ora, da candidata premier, deve imprimere un cambio di marcia a sé stessa e al suo partito per rintuzzare le bordate che, c'è da starne certi, cominceranno ad arrivare. Perché, verrebbe da dire, se è nella logica delle cose che, quando un partito è troppo forte, sia attaccato dagli avversari, potrebbe accadere che lo sia anche dagli alleati.
Basta pensare, in uno scenario che è ipotetico fino a un certo punto, che Fratelli d'Italia sfondi ovunque, prendendosi tutto il possibile, pur se nell'ambito di un accordo di coalizione. Pensate davvero che gli altri si limiterebbero a guardare e applaudire o farebbero di tutto per ridimensionarne successo e quindi ruolo?
È l'eterno gioco della politica, nel quale portare dentro il governo i rappresentanti di una sparuta e insignificante forza politica (accadeva anche nella prima Repubblica) serve a dare pennellate di condivisione del potere, ben sapendo che ci vuole poco per neutralizzare una fronda interna. Il primo banco di prova per Meloni sarà la composizione delle liste, nella quale dovrà mettere la massima attenzione per evitare esse siano inquinate da rappresentanze di frange ideologicamente estreme di cui Fratelli d'Italia non ha bisogno.