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Redditi fermi al 2008: Italia fanalino d’Europa (tranne Grecia)

- di: Marta Giannoni
 
Redditi fermi al 2008: Italia fanalino d’Europa (tranne Grecia)
Redditi fermi al 2008: Italia fanalino d’Europa (tranne Grecia)
Nel 2024 il reddito reale pro capite resta sotto i livelli pre-crisi: l’Europa corre, l’Italia arranca. Crescono i lavoratori poveri, pesano precarietà e part-time.

Diciassette anni dopo la grande crisi, il conto non torna ancora. Nel 2024 il reddito disponibile reale pro capite delle famiglie italiane è rimasto al di sotto della soglia 2008, mentre l’Unione europea e gran parte dei grandi Paesi hanno consolidato il sorpasso. È il segnale più chiaro che il potere d’acquisto di una larga fetta di famiglie non è stato ricostituito del tutto, nonostante crescita occupazionale e rinnovi contrattuali.

Cosa dicono i numeri

Se si pone il 2008 uguale a 100, l’Italia nel 2024 si colloca attorno a 96, dopo un lieve recupero rispetto al 2023. L’Ue a 27 supera quota 114, l’area euro sfiora 109. Tra i partner principali spiccano Germania e Francia, entrambe ben oltre i livelli pre-crisi; la Spagna ha recuperato, pur restando più vicina a quota 104. Solo la Grecia condivide con noi un indice ancora nettamente sotto il 2008. In Italia la risalita degli ultimi anni è stata più lenta dello standard europeo, segno che la ferita della doppia recessione 2008-2013 non si è chiusa del tutto.

Il confronto europeo

Il divario con l’Europa è il risultato di fattori che si muovono insieme: produttività stagnante, investimenti deboli per un lungo periodo, una dinamica salariale che ha inseguito l’inflazione più che guidarla e una struttura occupazionale che, a differenza dei partner, vede un ricorso maggiore a contratti instabili e part-time involontario. Nel frattempo, in Paesi come Germania e Francia il reddito reale pro capite è salito ben oltre il 2008, grazie a salari più dinamici e a reti di welfare che hanno attenuato gli shock.

La povertà che lavora

Un tassello cruciale è la crescita dei lavoratori a basso reddito: nel 2024 la quota di chi è occupato ma a rischio di povertà si attesta attorno al 10%, sopra la media Ue. È l’indicatore che traduce in vita quotidiana il problema: contratti a termine, orari ridotti, cicli di impiego frammentati fanno sì che avere un lavoro non basti a proteggere il tenore di vita.

Redditi, prezzi e consumi

Nel 2024 il rientro dell’inflazione e i rinnovi contrattuali hanno offerto un po’ di ossigeno: il potere d’acquisto è migliorato rispetto all’anno precedente e i redditi nominali sono cresciuti. Ma il recupero, pur positivo, non colma ancora il gap con il 2008. In parallelo, le famiglie hanno mantenuto un profilo di consumo prudente, segno di incertezza e di redditi reali ancora compressi in molte fasce.

Un sistema meno indebitato, ma non per questo più ricco

Un elemento di resilienza arriva dal fronte finanziario: il debito delle famiglie, in rapporto al reddito, è sceso ai minimi dalla crisi. Come ha rilevato la banca centrale, “the ratio of total household debt to disposable income reached its lowest level since 2008, at 56.1 per cent”. Bene per la stabilità, ma non basta a far crescere il reddito reale se salari e produttività restano al palo.

Perché i salari non decollano

La risposta non sta in un solo cassetto. L’Italia ha sofferto per anni di bassi investimenti in capitale e competenze, filiere produttive poco innovative e una giungla contrattuale che spalma gli aumenti su periodi lunghi. L’assenza di un salario minimo legale è stata parzialmente compensata dalla contrattazione, ma la copertura non è uniforme e in alcuni settori i minimi tabellari restano bassi. Senza un’accelerazione su produttività, innovazione e qualità del lavoro, gli aumenti nominali finiscono per rincorrere i prezzi, non per anticiparli.

Cosa fare adesso

La manovra ha puntato a lasciare più reddito in busta con tagli del cuneo e detassazione straordinaria di alcuni aumenti. Misure utili nell’immediato, ma il nodo è strutturale: più produttività, più salari contrattati in tempi rapidi, meno precarietà. Serve inoltre spingere su politiche attive, formazione continua, sostegno all’occupazione femminile e al tempo pieno, e una cornice fiscale stabile che premi il lavoro e l’investimento. Solo così il 2024 potrà essere ricordato come il punto di ripartenza, non come l’ennesimo anno a metà del guado.

Il quadro in sintesi

l’Italia ha iniziato a recuperare, ma il 2008 è ancora lì come un benchmark non raggiunto. L’Europa è già oltre: il confronto non ammette alibi, impone scelte.

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