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Decreto ex Ilva: tra ossigeno al sito e tensioni a Taranto

- di: Jole Rosati
 
Decreto ex Ilva: tra ossigeno al sito e tensioni a Taranto

Il governo sblocca fondi per gli impianti, la fabbrica viene occupata e i sindacati rilanciano lo scontro.

(Foto: ex Ilva, summit con il ministro Urso).

Il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo decreto destinato a tenere in vita la complessa macchina industriale dell’ex Ilva. Il provvedimento autorizza l’utilizzo di 108 milioni di euro residui del finanziamento ponte, garantendo l’operatività fino a febbraio 2026, data fissata per la conclusione della gara che dovrà assegnare lo stabilimento a un nuovo soggetto industriale.

Parallelamente, vengono stanziati 20 milioni di euro per il biennio 2025-2026 a sostegno della cassa integrazione straordinaria, con una copertura statale fino al 75%. Si tratta di un intervento che punta a evitare un tracollo occupazionale in un territorio che da anni vive in bilico tra crisi industriale e emergenza sociale.

Mobilitazione in fabbrica e proteste a oltranza

A Taranto la risposta dei lavoratori è stata immediata. Lo stabilimento è stato occupato, le vie d’accesso bloccate, il traffico della zona industriale paralizzato. Tra caschi, bandiere e fumogeni, il sito siderurgico si è trasformato in un luogo di presidio permanente. I sindacati Fim, Fiom, Uilm e Usb hanno proclamato uno sciopero immediato e mobilitazioni in tutti gli stabilimenti del gruppo, da Genova a Novi Ligure fino a Salerno.

Accanto agli operai è arrivato anche il sindaco di Taranto, Piero Bitetti, che ha lanciato un appello diretto alla presidenza del Consiglio: “Non saremo disponibili ad accettare una macelleria sociale. Ho chiesto alla premier di venire a Taranto, abbiamo bisogno di verità”.

Le misure del decreto e i nodi aperti

Il decreto non si limita a sbloccare le risorse: ricorda che i precedenti 92 milioni erano stati impiegati per interventi sugli altoforni, manutenzioni e investimenti ambientali legati alla nuova autorizzazione integrata ambientale. Sono inoltre previste misure per completare gli indennizzi agli abitanti del quartiere Tamburi, tra le zone più colpite dall’impatto storico del siderurgico.

Resta però irrisolto un nodo centrale: quale sarà il vero piano industriale per Taranto e per gli altri stabilimenti? La data del 28 novembre, quando il ministro Adolfo Urso ha convocato un incontro unitario a Roma, è il prossimo punto di frizione. I sindacati insistono perché il confronto avvenga direttamente a Palazzo Chigi e chiedono il ritiro del piano attuale.

Scontro politico: accuse incrociate e responsabilità

Le reazioni politiche non si sono fatte attendere. La segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, ha dichiarato: “Siamo davanti a un possibile disastro sociale. Il ministro deve farsi da parte e la premier assumersi la responsabilità politica di questa partita”.

Il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, ha rincarato: “Il lavoro del ministro sta portando l’Ilva alla chiusura”.

Dure anche le considerazioni del leader di Azione, Carlo Calenda, secondo cui l’azienda rischierebbe di chiudere “nel giro di pochi mesi”. Tra le voci più critiche emergono poi quelle degli operai stessi, che sottolineano il valore strategico del sito: “Non difendiamo solo un posto di lavoro: difendiamo un patrimonio industriale del Sud”.

Un caso che pesa sul futuro del Mezzogiorno

La vertenza ex Ilva non riguarda soltanto Taranto: è una questione che incrocia industria, occupazione, transizione ecologica e politica nazionale. Per il Mezzogiorno, lo stabilimento rappresenta uno dei pochi presidi strategici rimasti dell’industria pesante. Perderlo significherebbe un colpo durissimo, non solo in termini di posti di lavoro ma anche di capacità produttiva nazionale.

La transizione verso tecnologie meno impattanti, compresa la decarbonizzazione, rimane uno dei terreni più scivolosi: senza risorse adeguate e senza un partner industriale credibile, le promesse rischiano di restare slogan.

Prospettive e incognite

I prossimi mesi saranno determinanti. Il rischio di un limbo industriale è concreto: senza un acquirente solido, senza un piano ambientale definito e senza investimenti strutturali, la tenuta dello stabilimento resta appesa a un filo. Il decreto dà tempo, ma non dà ancora una direzione.

La partita si gioca su un equilibrio fragile: l’intervento dello Stato è indispensabile, ma dovrà tradursi in una strategia e non in un semplice tampone. Il Sud, Taranto e tutta la filiera siderurgica italiana attendono una risposta definitiva.

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