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Daniel González: a Firenze va in scena il rito collettivo della festa

- di: Redazione
 
Daniel González: a Firenze va in scena il rito collettivo della festa

«Qual è stata l’ultima volta in cui avete detto grazie?» Con questa domanda l'artista argentino Daniel González invita gli ospiti del Gallery Hotel Art di Firenze, parte della Lungarno Collection, a partecipare al rito collettivo della festa. Una festa che va oltre i palloncini per diventare celebrazione della persona nella sua leggerezza attraverso connessioni incentrate sull'emotività.
Fino a maggio 2026 la mostra intitolata The Invented Reality diventa il mezzo per condividere gioia, bellezza, riconoscenza.

Daniel González: a Firenze va in scena il rito collettivo della festa

Per la prima volta in città l'artista argentino che ha iniziato la sua carriera come designer di mute da surf, inscena un piccolo rito che sa di festa e meraviglia.

Il progetto a cura di Valentina Ciarallo trasforma lo spazio della compagnia di gestione alberghiera di proprietà della famiglia Ferragamo in un luogo di riflessione e leggerezza.
E per dare vita al suo progetto l’artista non poteva che scegliere il mylar, il materiale riflettente e cangiante che rimanda all’immaginario della festa come momento di gioia e felicità, e che caratterizza una serie di opere inedite.

«I lavori dell'artista
- spiega Valentina Ciarallo - creano connessioni con il pubblico attraverso un processo che vuole attivare un cortocircuito e che invita a porsi domande. Sono opere vive, che vibrano, si muovono con l'aria. Gonzàlez si rifà all’arte relazionale, lavora sulla comunità, sulla relazione tra pubblico, artista, spettatore e opera d’arte, e lo spettatore, toccando, leggendo, diventa partecipe».

Con questo espediente l’artista di Buenos Aires, che vive e lavora tra New York e Verona, trasforma l’emozione in gesto visivo, restituendo alla parola il suo potere originario di condivisione e di contatto. Ogni scritta è un pensiero fugace che si riflette e si moltiplica, invitando chi guarda a riconoscersi in un linguaggio comune che contiene un valore da preservare.
Così, affondando lo sguardo nel luccichio del mylar, all’interno di questa celebrazione della parola stessa, il visitatore vede specchiarsi i suoi stati d’animo, la necessità di comunicare, di ringraziare, amare, rassicurare.

«Il mio lavoro - scrive González - s’incentra nel rito della celebrazione intesa come pratica collettiva, come dimensione in cui la vita quotidiana si sospende per dare spazio all’incontro, alla leggerezza, alla festa».

L’idea di festa diventa quindi un lessico universale che unisce le persone oltre i ruoli e le differenze, un luogo simbolico dove il pubblico è invitato a rivedere i propri codici di comportamento e a lasciarsi attraversare da un sentimento di apertura e felicità.

E se, come scriveva il filosofo tedesco Hans-Georg Gadamer “la festa è la presentazione della comunità stessa nella sua forma più compiuta”, i “text paintings” di González fungono veramente da catalizzatori di energia collettiva.

Vibrando, le parole riflettono la luce e l’ambiente, si muovono e si ricompongono al passaggio dell’aria restituendo allo spettatore la sensazione di appartenere a un tempo sospeso, dove anche il più piccolo gesto può diventare celebrazione.

Ad attirare lo sguardo sono monocromi scintillanti, piccoli arazzi ricamati e una selezione di contenitori - vasi per fiori - realizzati con un’originale tecnica di ricamo a paillettes. I Flower Pots sono un omaggio alle radici toscane della famiglia di González dove da bambino l’artista osservava i barattoli di latta per conservare gli alimenti, i packaging commerciali e le scatole dei detersivi che la nonna riutilizzava come porta piante.
Le immagini stampate su quei contenitori, dalla donna che offre pomodori colti al sole fino a personaggi pop come “Mastro Lindo”, si caricano di un’aura mitica, trasformandosi in “immagini super-potenti” da reinterpretare attraverso lo sguardo.

L’artista ricodifica l’immaginario popolare con ricami di perline e paillettes, aggiungendovi frasi provenienti dal suo bagaglio culturale, trasformate in slogan poetici e ironici. “Valium reality sucks”, “Alive multivitamin”, “Chivas Regal” evocano tentativi di dare forma ai propri bisogni emotivi, cercando effimero sollievo, equilibrio o presenza. Ogni opera di The Invented Reality è uno spaccato di un potenziale dialogo, una “micro-utopia quotidiana” in cui la comunicazione diretta diventa gesto estetico e lo spazio espositivo si trasforma in luogo di connessione emotiva, al di là della distanza e della provenienza.

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