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Cronache dai Palazzi - La riforma della Giustizia vale uno scontro tra poteri dello Stato?

- di: Redazione
 
Cronache dai Palazzi - La riforma della Giustizia vale uno scontro tra poteri dello Stato?
Che la riforma della Giustizia fosse uno dei punti più delicati del cammino del Governo Meloni lo si era capito subito, e non tanto perché essa facesse parte del programma elettorale dei partiti della maggioranza. Perché, lo sanno tutti, quel che si dice in campagna elettorale difficilmente diventa poi realtà.
Poi, peraltro, tra le tante priorità che ha il Paese, quella di mettere mani in una materia che è costituzionale, con quello che ne consegue (compreso il ruolo che in questo ambito viene riconosciuto al Presidente della Repubblica) non è che sia in cima ai desiderata della gente, che vorrebbe forse che il governo si occupasse di altro, magari cancellare la gabella delle accise, davanti alla quale, come cittadini 'auto-muniti', dobbiamo quotidianamente chinare il capo.
E invece il governo, che vuole giustamente rispettare la sua agenda, ha messo mano ad una riforma della Giustizia che, se un risultato immediato ha avuto, è stato quello di ricompattare il corpaccione della magistratura (quindi correnti di sinistra, centro e destra) che oggi, come un sol uomo, contesta la scelta della separazione delle carriere, vista come un condizionamento e non, come ritiene l'esecutivo, la giusta ripartizione di ruoli nell'ambito dei togati.

La riforma della Giustizia vale uno scontro tra poteri dello Stato?

Né maggiori consensi ha raccolto la nuova architettura del Consiglio superiore della Magistratura, figlia della divisione delle carriere, quindi con due distinti Csm (per i ruoli giudicanti e per quelli inquirenti), con l'istituzione di un organismo, l'Alta corte, chiamato a giudicare i magistrati che sbagliano - anche se, da questo punto di vista, davanti alla legge che è uguale per tutti, i meccanismi eventualmente punitivi sono contemplati dal codice penale -. Tacendo di altri aspetti meramente pratici, perché due Csm significa raddoppiare componenti (sottraendoli ai compiti per i quali sono entrati in magistratura) e quindi anche le spese.
Eppure, se la riforma della giustizia sta in cima ai pensieri del governo (cosa comprensibile, visti i tempi che caratterizzano i processi, anche a causa delle spaventose falle negli organici dei magistrati e del personale laico), l'impressione che si ha è che la partita sia essenzialmente politica e con l'obiettivo del miglioramento della macchina giudiziaria usato quasi come giustificazione.

Purtroppo è questa la conseguenza del clima che è stato creato nell'arco degli ultimi trent'anni, dopo che, con l'inizio della stagione di ''Mani pulite'', il Paese si è trovato, suo malgrado, a dovere parteggiare (la maggioranza) per i giudici, chiamati a 'ripulire'' il Paese dalle incrostazioni della ''malapolitica'' oppure per per coloro che il popolo aveva chiamato ad amministrare, con in mezzo una classe imprenditoriale pure essa in bilico tra il ruolo di corruttori o di vittime di concussione.

Questa ormai lunghissima conflittualità è esplosa soprattutto con l'avvento del potere berlusconiano e con la campagna di procedimenti e sospetti che ha punteggiato la strada dell' (ex) Cavaliere, che non ha mai nascosto di essersela legata al dito. E se oggi a brindare alla riforma sono soprattutto in Forza Italia (considerandola una vittoria postuma di Berlusconi) questa cosa dovrebbe dirla lunga, su cosa è accaduto e su quel che potrebbe accadere. Perché i magistrati hanno mostrato con chiarezza che non accettano di sentirsi ''sotto tutela'', nel senso che avvertirebbero una presenza ingombrante della politica nella loro attività. E per questo sono anche pronti a scioperare, pur se questo alla fine si ridurrebbe ad un boomerang. Perché uno sciopero sarebbe per chi, politico, ha con pervicacia inseguito la riforma della Giustizia, la conferma che i magistrati si sentono casta. Come se di caste non ne avessimo sin troppe.

Questa lotta che si sta scatenando tra due poteri dello Stato alla fine lascerà solo vittime sul terreno e questo è anche conseguenza del fatto che i magistrati non hanno capito chi sia, in questa ''vertenza'', il loro vero interlocutore , posto che il guardasigilli Carlo Nordio non ha sempre dato immagine di indipendenza e coerenza e l'incombenza del sottosegretario Mantovano in questo delicatissimo dossier.
Nordio e Mantovano, due che magistrati lo sono stati.
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