Studio di Confindustria sull’impatto della crisi energetica: allarme per l’Italia, peggio di Germania e Francia

- di: Barbara Bizzarri
 
Le stime del Centro Studi Confindustria rivelano come, in confronto a Francia e Germania, l’Italia sia il paese dove la crisi energetica rischia di produrre i maggiori danni: in particolare, a politiche invariate pre-crisi, l’incidenza dei costi energetici sul totale dei costi di produzione per l’economia italiana si stima possa raggiungere l’8,8% nel 2022, più del doppio del corrispondente dato francese (3,9%) e quasi un terzo in più di quello tedesco (6,8%). Si amplierebbe così il divario di competitività di costo dell’Italia dai principali partner europei e avverrebbe per tutti i principali comparti dell’economia: dal settore primario, all’industria fino ai servizi. Per la manifattura, la distanza si allargherebbe soprattutto nel confronto con la Francia, ma la perdita di competitività non sarebbe marginale neanche rispetto alla Germania. Al 2022, si stima che l’incidenza dei costi energetici potrebbe raggiungere l’8,0% dei costi di produzione per l’industria italiana (dal 4,0% nel periodo pre-crisi), a fronte del 7,2% per l’industria tedesca (dal 4,0%) e del 4,8% di quella francese (dal 3,9%). Il maggiore impatto per le imprese manifatturiere italiane rispetto alle francesi risulta generalizzato a tutti i sotto-comparti, mentre dal confronto con quelle tedesche il quadro appare più variegato: tra quelli energivori, il danno è maggiore in Italia soprattutto nelle produzioni del legno, dei minerali non metalliferi e della chimica, mentre per la carta e soprattutto la metallurgia, che figura come il settore italiano più colpito in assoluto (+12 nell’incidenza dei costi energetici rispetto al pre-crisi),  l’influsso è stimato anche maggiore in Germania. Tutto ciò per l’Italia si traduce in una crescita della bolletta energetica stimata tra i 5,7 e i 6,8 miliardi su base mensile; per il solo settore manifatturiero, il corrispondente aumento è stimato in circa 2,3 - 2,6 miliardi: il motivo principale di un effetto tanto dirompente sull’economia italiana è legata alla forte dipendenza, molto più alta che in Francia e Germania, dall’utilizzo di gas naturale, sia come fonte di produzione dell’energia elettrica che come input diretto all’interno dei processi produttivi. Il gas naturale, il cui prezzo in Europa a gennaio del 2022 era già cresciuto del 421% rispetto al dicembre 2019, è stato il primo bene a subire un’impennata vertiginosa dei prezzi, ma i rincari hanno toccato in maniera trasversale diverse commodity, non solo tra le materie prime ma anche fra i semi-lavorati, quali alimentari, fibre tessili, materie plastiche e hanno in alcuni casi raggiunto rialzi a doppia cifra già da fine 2021. Rimanendo nell’ambito delle commodity energetiche, anche i prezzi di petrolio e carbone hanno subito impennate notevoli, sebbene con aumenti decisamente più contenuti di quelli del gas (rispettivamente +24% e +122% a gennaio 2022 rispetto a dicembre 2019).

Le cause di questi aumenti delle materie prime energetiche sono molteplici e riguardano fattori di squilibrio tra la domanda e l’offerta preesistenti lo scoppio del conflitto in Ucraina: alcuni di carattere congiunturale, altri di carattere più strutturale. Come è ormai noto, tra i Paesi di provenienza dei combustibili fossili la Russia gioca un ruolo di primo piano, coprendo quasi metà delle importazioni europee di gas, il 44% di quelle di carbone e quasi il 25% per quelle di petrolio. Di conseguenza, le pressioni al rialzo dei prezzi già in corso a partire da metà dello scorso anno non potevano che essere amplificate dalla guerra, generando un’ulteriore fiammata delle quotazioni delle materie prime energetiche, sebbene sinora l’offerta dalla Russia, per quel che riguarda il gas, non sia diminuita. All’incertezza sullo squilibrio tra domanda e offerta di materie prime energetiche si è aggiunto poi un ulteriore fattore di criticità: l’indeterminatezza sulla durata dello shock energetico, rendendo più incerta la distensione delle tensioni sui mercati delle commodity e vanificando le aspettative, precedenti alla guerra, di una graduale discesa dei prezzi. Anzi, nel corso delle scorse settimane i timori di tagli o interruzioni negli approvvigionamenti dalla Russia hanno peggiorato ulteriormente il quadro, gettando l’ombra di un possibile deficit di offerta, soprattutto per il gas, con conseguente razionamento dell’energia. I dati rilevati dal Centro Studi Confindustria, basati sulle variazioni dei prezzi internazionali delle materie prime energetiche attese in media per il 2022 indicano che, se l’aumento dei prezzi non dovesse rientrare durante l’anno in corso, l’incidenza dei costi dell’energia sul totale dei costi di produzione aumenterebbe per tutte le attività economiche, pur con ampie differenze settoriali, colpendo soprattutto l’Italia. Confrontando le stime per il nostro Paese con quelle ottenute per Francia e Germania si desume che, persino prima delle recenti dinamiche inflattive sui mercati internazionali delle materie prime, i costi energetici erano maggiori per le imprese italiane rispetto ai competitor europei. Le differenze tra l’incidenza dei costi energetici nel biennio 2018-2019 erano relativamente contenute rispetto alla Germania (0,6%) ma già ampie rispetto alla Francia (1,6%). Con l'aumento recente dei prezzi delle commodity energetiche, già nel 2021 la distanza nell’incidenza dei costi energetici dell’Italia dalla Germania aveva superato un punto percentuale, e di ben 2,6 punti dalla Francia. Nel 2022, con le ulteriori fiammate dei prezzi acuite dal conflitto tra Russia e Ucraina, il divario stimato sarebbe pari a +2,1 rispetto alla Germania e +4,9 rispetto alla Francia. Il maggior onere sostenuto per i costi energetici dall’Italia, in proporzione al totale dei costi sostenuti, è inoltre generalizzato a tutti i comparti dell’economia, riguardando tanto il settore primario, quanto il manifatturiero e il terziario. Inoltre, se ci si concentra sulla manifattura, il divario competitivo dell’Italia è soprattutto nel confronto con la Francia, mentre la distanza dalla Germania cresce in misura molto più contenuta, rimanendo comunque non marginale. Al 2022 si stima che l’incidenza dei costi energetici potrebbe arrivare a rappresentare l’8,0% dei costi di produzione per l’industria italiana (dal 4,0% nel periodo pre-pandemico), a fronte del 7,2% per l’industria tedesca (dal 4,0%) e del 4,8% di quella francese (dal 3,9%). Il minore impatto stimato dell’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche sui costi energetici delle imprese osservato in Francia rispetto all’Italia è generalizzato a tutti i settori della manifattura. Confrontando invece il dato italiano con quello tedesco il quadro appare variegato: tra i settori energivori, infatti, la corsa dei prezzi delle materie prime energetiche si stima abbia un impatto maggiore per la manifattura italiana soprattutto nel settore del legno (con una variazione nell’incidenza dei costi di +6,3% rispetto al pre-pandemia, contro +2,3% tedesco), della gomma-plastica (+5% vs. +3,2%), dei minerali non metalliferi (+8,8% vs. +7,3%) e della chimica (+4,5% vs +3.6%), mentre per la metallurgia, nonostante figuri come il settore italiano più colpito in assoluto dalla crisi energetica, il rincaro sarebbe anche maggiore in Germania (+12,4% vs. +14,4%). La manifattura tedesca si stima più colpita di quella italiana anche nel macrosettore carta e stampa (+5% vs. +5,7%). Nel complesso, nonostante i rincari delle materie prime esercitino un impatto consistente sui costi energetici di tutti i settori e per tutti i Paesi, il sistema-Italia emerge come il più colpito.

In termini monetari, secondo le stime del Centro Studi, questo impatto si tradurrebbe in una crescita della bolletta energetica italiana compresa, a seconda delle ipotesi sottostanti le stime, tra i 5,7 e 6,8 miliardi di euro su base mensile, ovvero in un maggior onere compreso tra 68 e 81 miliardi su base annua circa. Guardando al solo settore manifatturiero, l’aumento dei costi energetici è quantificabile tra i 2,3 – 2,6 miliardi mensili, ovvero tra i 27,3 – 31,8 miliardi su base annua. Per la Germania l’aumento dei costi energetici è stimato tra 7,7 e 8,0 miliardi mensili (91,9 – 95,7 annui) per il totale economia e in circa 3,7 -3,8 miliardi mensili (45,9 – 47,2 annui) per la sola manifattura, mentre per la Francia le stime sono comprese tra 1,7 e 1,8 miliardi mensili (20,2 – 21,8 annui) per il totale economia e circa di 0,6 miliardi mensili (7,5 miliardi annui) per la sola manifattura. Una tale eterogeneità tra Paesi europei si può spiegare innanzitutto con il diverso mix di fonti energetiche utilizzate, sia quelle domandate direttamente dalle imprese per realizzare la propria attività economica sia quelle acquistate indirettamente attraverso la fornitura di energia. In particolare, sulla base delle elaborazioni dei dati Eurostat, il gas naturale risulta la fonte prevalente di consumo in Italia sia per il settore della distribuzione di energia (49% circa nel 2019), che poi la eroga sotto forma di gas ed elettricità agli altri comparti dell’economia, sia direttamente per la manifattura (76%). Al contrario, il peso del gas naturale risulta marginale come fonte di consumo per il settore energia sia in Germania (15%, contro il 44% del carbone) sia in Francia (4%, contro l’83% del nucleare), mentre per il manifatturiero dei due Paesi, il peso pur significativo (68% e 67%) è molto inferiore a quello italiano. La diretta conseguenza è che variazioni dei prezzi del gas come quelle che stiamo osservando in questi mesi e che continuano a trainare al rialzo il prezzo dell’elettricità, hanno un impatto proporzionalmente maggiore nel caso delle filiere industriali italiane rispetto a quelle tedesche e francesi. Per l’Italia, inoltre, bisogna considerare che nel corso degli ultimi anni il ricorso da parte delle imprese nazionali a contratti a lungo termine per l’approvvigionamento del gas naturale è diminuito a favore di maggiori acquisti sul mercato a pronti, e ciò ha aumentato l’esposizione degli operatori alle variazioni delle quotazioni spot di questa materia prima energetica. 
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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