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Criptovalute, la Lega accelera e il governo frena

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Criptovalute, la Lega accelera e il governo frena

Dentro la maggioranza si apre una crepa silenziosa ma sempre più visibile: quella tra chi vede nella finanza digitale una frontiera di crescita e chi, al contrario, teme l’instabilità di un mercato ancora giovane e imprevedibile. È la nuova frattura economica tra la Lega di Matteo Salvini, che punta a cavalcare l’onda delle criptovalute, e la linea più prudente di Palazzo Chigi, dove prevale la cultura della vigilanza e del controllo.

Criptovalute, la Lega accelera e il governo frena

Il partito di Salvini, da tempo, coltiva la fascinazione per tutto ciò che riguarda l’innovazione economica. Nel vocabolario leghista, parole come blockchain, decentralizzazione, finanza digitale non suonano come minacce ma come occasioni per liberare il mercato da intermediazioni e burocrazie.

Nel progetto di chi lavora accanto al vicepremier, le criptovalute rappresentano una leva di autonomia finanziaria e di competitività nazionale. L’idea è quella di sostenere un ecosistema regolato ma non ingessato, in grado di attrarre start-up, sviluppatori, e capitali legati all’economia digitale.

Il ragionamento dei leghisti è chiaro: il mondo si sta muovendo verso una finanza sempre più decentralizzata, e restare fermi significherebbe perdere terreno economico e tecnologico. Il riferimento è soprattutto a Paesi come la Svizzera o gli Emirati Arabi, che hanno già aperto alla sperimentazione controllata e alla fiscalità dedicata per i progetti blockchain.

Dietro questa visione c’è anche una componente ideologica: la convinzione che meno Stato e più mercato digitale possano diventare un marchio identitario per la Lega, un partito che negli ultimi anni ha perso il monopolio del tema “libertà economica”.

Palazzo Chigi e la linea della prudenza

Sul fronte opposto, la posizione del governo – e in particolare dell’area economica più vicina alla premier Giorgia Meloni – resta ancorata alla cautela. A Palazzo Chigi si teme che un’apertura troppo rapida al mondo delle criptovalute possa alimentare speculazione, evasione e rischi per i piccoli risparmiatori.

Il Tesoro e la Banca d’Italia invitano a non sottovalutare i precedenti: crolli improvvisi, bolle speculative, piattaforme fallite. Troppi episodi recenti – da FTX alle truffe dei token fasulli – hanno dimostrato quanto fragile sia ancora l’architettura del sistema.

Meloni e i suoi economisti ritengono che la priorità sia proteggere la stabilità finanziaria, non inseguire mode di mercato. In questo senso, il governo italiano preferisce allinearsi alla linea europea del regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets), che entrerà pienamente in vigore nel 2025 e che mira a definire un quadro normativo comune nell’Unione.

Il bivio italiano
La questione, per l’Italia, non è teorica ma strategica. Da un lato, aprirsi alle criptovalute potrebbe significare stimolare innovazione, attrarre investimenti e competenze digitali, rafforzando il settore fintech nazionale. Dall’altro, un’espansione senza regole rischierebbe di incrinare la fiducia in un sistema bancario già provato da anni di crisi e trasformazioni.

Gli economisti più vicini alla Lega propongono una via intermedia: sandbox regolamentati, spazi di sperimentazione controllata dove le imprese possano testare soluzioni blockchain sotto la supervisione delle autorità. Un modo, dicono, per non chiudere la porta all’innovazione ma garantire un percorso graduale e trasparente.

Nel frattempo, le istituzioni restano guardinghe. La Consob monitora con attenzione il mercato dei criptoasset, mentre la Banca d’Italia ribadisce che la moneta deve restare un bene garantito e tracciabile, non una scommessa da rete informale.

Tra ideologia e governance
Dietro lo scontro politico c’è anche un diverso modo di intendere la crescita economica. Per la Lega, il futuro passa da un’economia più libera, dove la fiducia si sposta dalla banca centrale alla rete; per la premier Meloni e il ministro Giorgetti, invece, la stabilità è una condizione essenziale della sovranità economica.

La dialettica si gioca su un equilibrio delicato: come conciliare la necessità di innovare con quella di preservare l’affidabilità del sistema. È la stessa tensione che attraversa oggi tutta l’Europa: aprirsi al nuovo senza indebolire il vecchio.

L’Italia davanti alla finanza che cambia
Mentre il mondo corre – dagli Stati Uniti che discutono di regolamentazione federale alle sperimentazioni delle banche centrali con le valute digitali (CBDC) – l’Italia appare, ancora una volta, divisa tra entusiasmo e cautela.

Il dibattito sulle criptovalute è un termometro perfetto della politica economica del Paese: un misto di curiosità e paura, di slanci modernizzatori e di conservazione prudente. E, come spesso accade, il risultato rischia di essere l’immobilismo.

La Lega guarda a un futuro di libertà finanziaria e decentralizzazione, mentre il governo insiste su regole e sicurezza. Due linguaggi che raccontano due Italie: quella che sogna di innovare e quella che teme di sbandare.

In mezzo, c’è un sistema produttivo che aspetta segnali chiari per capire se la rivoluzione digitale sarà un’occasione o un’altra stagione mancata.

Nel cantiere dell’economia italiana, le criptovalute diventano così più di una questione tecnologica: sono il banco di prova della capacità politica di coniugare rischio e responsabilità, visione e cautela.

Perché il futuro della finanza, come spesso accade, non aspetta chi resta a discutere.

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