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Criptovalute, la geografia delle tasse: dove il fisco è leggero e dove pesa come un macigno

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Criptovalute, la geografia delle tasse: dove il fisco è leggero e dove pesa come un macigno

Il mondo delle criptovalute continua a espandersi, sfidando i confini fisici e le strutture fiscali tradizionali. Se la tecnologia sottostante garantisce una natura decentralizzata, il fisco invece resta saldamente ancorato ai territori nazionali, con approcci normativi e impositivi profondamente diversi. Ne emerge una mappa fiscale disomogenea, che condiziona scelte strategiche di investitori, aziende e sviluppatori. Alcuni Stati abbracciano l’innovazione e si propongono come hub globali, altri alzano barriere normative o impongono aliquote dissuasive.

Criptovalute, la geografia delle tasse: dove il fisco è leggero e dove pesa come un macigno

La forbice tra i sistemi fiscali è impressionante. Si passa dai paradisi legali come El Salvador, che ha fatto della criptovaluta una moneta legale senza imporre alcuna tassazione, fino a paesi come Giappone e Danimarca, dove il prelievo sui guadagni può arrivare a superare il 50%. Al centro di questa geografia fiscale, l’Europa si muove tra aperture selettive e modelli cauti. La Germania, ad esempio, esenta dalle tasse chi detiene Bitcoin per più di un anno, mentre Malta e Cipro puntano su regimi agevolati per attrarre capitali e start-up. La Svizzera, con la sua tradizionale neutralità finanziaria, applica regole precise distinguendo tra investitori occasionali e professionisti.

Il caso italiano e le nuove frontiere normative

In Italia il tema è oggetto di continui aggiustamenti. L’aliquota ordinaria al 26% sulle plusvalenze – se superano la soglia dei 2.000 euro – potrebbe non essere definitiva. Il dibattito interno ha già visto emergere proposte per spingere la tassazione fino al 42%, soprattutto in un’ottica di armonizzazione con gli altri redditi finanziari. L’introduzione dell’obbligo di dichiarazione nel quadro RW, e delle nuove disposizioni contenute nella Legge di Bilancio, mostrano una crescente attenzione politica verso il comparto. Tuttavia, l’assenza di un inquadramento chiaro della natura delle criptovalute – tra bene immateriale, valuta estera o asset finanziario – continua a generare incertezze operative.

Divieti, censure e monete proibite

Accanto a chi favorisce o regola, esistono anche paesi che scelgono la via della proibizione. La Cina ha vietato ogni forma di transazione e mining, nel quadro di un controllo stringente sulle valute e i flussi digitali. L’Egitto e l’Afghanistan seguono linee simili, talvolta con motivazioni religiose, talvolta per tutelare stabilità e sovranità economica. Questo mosaico di approcci crea una pressione ulteriore sulla necessità di coordinamento internazionale.

Verso una tassazione armonizzata?

Le istituzioni sovranazionali osservano con attenzione. L’OCSE e l’Unione europea hanno avviato da tempo studi e consultazioni per giungere a una regolazione condivisa. Il regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets) dell’UE rappresenta un primo passo per definire standard comuni, ma il capitolo fiscale resta aperto. Le differenze restano profonde, e la corsa alla competitività fiscale potrebbe protrarsi ancora a lungo. In questo scenario, la scelta della giurisdizione diventa un fattore strategico decisivo per operatori e risparmiatori, tra il rischio della volatilità e quello, altrettanto insidioso, dell’incertezza normativa.

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