Covid-19: bene i vaccini in arrivo, ma occorrono misure per guadagnare tempo
- di: Diego Minuti
Come ogni buon padre di famiglia, Mario Draghi sta prendendo delle decisioni che sono comunque destinate a creare qualche malumore e forse anche rabbia, che dovrebbero comunque essere zittiti dall'interesse generale che è quello di non vedere crescere senza freno il numero dei morti, che ieri ha superato la terrificante soglia dei centomila decessi.
Le parole (che il presidente del consiglio centellina, per non cadere in quella sovraesposizione mediatica che è forse stata tra le cause che sono costate la poltrona a Giuseppe Conte, che, ad un certo punto, era in cielo, in terra e in ogni luogo) se pronunciate da Draghi valgono molto appunto perché rare e quando dice che bisogna avere fiducia nella campagna vaccinale lancia un messaggio che vale anche all'interno della coalizione di governo, che è molto inquieta rispetto alle premesse sulle quali è nata. Come dimostrano le dichiarazioni che, a getto continuo, fanno esponenti del "corno" di destra del governo, ciascuno convinto d'essere indispensabile e quindi abilitato a reclamare questo o quest'altro.
Il braccio di ferro che il premier ha ingaggiato con AstraZeneca (e con le altre case farmaceutiche che dovessero fare giochetti sulle forniture di vaccino e strani ritardi sul loro conferimento) ha mostrato un volto di Draghi che forse non si conosceva, accreditandolo in molti di doti di grande mediatore e di decisionista, ma non al punto di bloccare 250 mila dosi destinate all'Australia e che erano state sottratte dalla nostra disponibilità.
La nuova politica in materia di vaccini sta facendo vedere i suoi primi effetti perché i traguardi che il governo ha messo tra le sue priorità sembrano a portata di mano, non come è accaduto purtroppo nel recente passato.
Di qui alla fine d'aprile l'Italia avrà a disposizione molti milioni di dosi e, quindi, dovrebbe essere in grado di imprimere l'ultima e forse decisiva accelerata alla campagna vaccinale. E ogni vaccino che diventa attivo può interrompere una catena di contagi che, altrimenti, si muoverebbero liberamente. Ma, se questa è la prospettiva futura di medio periodo, c'è un'emergenza da fronteggiare ed è quella dell'insania (nel senso proprio di abbandono della ragione) che stanno mostrando quelle migliaia di persone che, incuranti di raccomandazioni e ignorando ogni elementare norma di cautela, continuano imperterrite a sfidare il virus, per strada o all'interno di locali dove, con la criminale complicità di qualche esercente, si fanno feste e ricevimenti.
Basta andare in giro per i social per vedere postati brevi video che ritraggono moltissime persone (soprattutto giovani) che, infischiandosene della possibilità di essere contagiati, stanno appiccicati l'una alle altre, scambiandosi una sigaretta o una bottiglietta di birra.
Cercare di comprendere i motivi di queste scelte significherebbe lanciarsi in analisi che devono tenere conto di molti fattori: dalle precedenti abitudini e relazioni sociali, alla voglia di mostrarsi vivi, a costo di rischiare il contagio, a cattivi maestri che impartiscono folli lezioni sull'inesistenza di un pericolo reale legato al virus.
Ma forse non bastano più reprimende, perché, se si vuole che la campagna vaccinale abbia effetti e ci porti fuori nel tempo più breve dall'emergenza, serve un po' più di bastone, perché la blandizie della carota non sembra lasciare il segno.
La misura estrema del lockdown o quelle meno dure non possono da sole risolvere il problema, allo stesso modo in cui i vaccini per essere i nostri "salvavita" hanno bisogno di tempo. E questo tempo non se lo devono conquistare, perché spetta allo Stato ed alle Istituzioni procurarlo.