L'allarme del Copasir: respingere le mire francesi su UniCredit e Generali

 
È come se si assistesse ad una riedizione de ''Il giorno della marmotta'', il film che raccontava la vita di un uomo, interpretato da Bill Murray, costretto a rivivere continuamente una stessa giornata, incontrando le stesse persone, percorrendo le stesse strade, incorrendo negli stessi problemi.
Per questo appare abbastanza strano che, di tanto intanto, quindi ciclicamente, coloro che reggono le leve del potere politico in Italia si accorgano che la Francia mira ad accaparrarsi alcuni dei gioielli della nostra economia e della nostra finanza.

Accade da sempre e basta scorrere l'elenco delle aziende e società italiane passate, negli anni, in mani francesi per averne conferma. E quasi sempre parliamo di vere e proprie eccellenze.
L'unico aspetto di novità che si coglie nella presa di coscienza del Copasir (il Comitato parlamentare che si occupa di sicurezza pubblica presieduto da Raffaele Volpi) del pericolo che UniCredit e Generali finiscano nel già ricco portafoglio della Francia è proprio che questa vicenda sia diventata d'interesse di chi deve vegliare sui temi della sicurezza. Quindi bisogna vegliare a che Unicredit e Generali non cambino di proprietà perché questo metterebbe in pericolo la sicurezza del Paese e non solo, dal momento che l'Italia si vedrebbe sfilare il suo primo gruppo assicurativo e la seconda banca. Queste paure sono ben giustificate se si guarda al profilo dei due ''oggetti di brame'' da parte francese.

Prendiamo UniCredit, che nel panorama bancario italiano è seconda solo a Intesa Sanpaolo, capitalizzando a Piazza Affari 15 miliardi e 200 milioni di euro. La sua presenza sul territorio è capillare e il suo ceo, Jean Pierre Mustier (francese, ma questo non c'entra), da tempo cerca di accorciare la distanza con Intesa Sanpaolo, alimentando voci - da lui sistematicamente smentite - di acquisizioni o integrazioni. Con i suoi 37 mila impiegati e 2700 sportelli, UniCredit è una delle realtà più consolidate dell'economia italiana, anche per il fatto di avere, nel suo portafoglio, un consistente ''gruzzolo'' di titoli di Stato, per un ammontare superiore ai 44 miliardi di euro (alla data del 30 giugno scorso).
Il Copasir non si rifà a mere sensazioni, non eleva a certezze dei rumors, ma riferisce elementi oggettivi.

Come la cessione da parte di UniCredit di alcune attività squisitamente ''italiane'', come Fineco e Pioneer, che potrebbe essere considerate tra quelle che la relazione del Copasir definisce ''iniziative apparentemente volte ad affrancare la Banca dall'Italia'', che sono state assunte negli ultimi anni. Da qui ne è conseguita la riduzione del portafoglio di Btp di circa undici miliardi, nell'arco di pochi anni (dal 2016 ad oggi).

La relazione del Comitato trae spunto anche dal piano industriale Team23, che porterebbe un taglio consistente dei posti di lavoro nel gruppo (su ottomila uscite ben seimila riguarderebbero i dipendenti della banca in Italia) e quindi la chiusura di 450 filiali italiane (e "solo" 50 all'estero).
Il Copasir ha licenziato la sua relazione poco prima che Mustier, presentando la trimestrale, negasse la fondatezza delle voci che attribuiscono a UniCredit l'intenzione di attuare ''una profonda ristrutturazione, che prevede la costituzione di una subholding nella quale dovrebbero essere incluse tutte le attività estere della banca. Il timore è che tale iniziativa sia prodromica alla cessione delle attività estere di Unicredit, che perderebbe così la sua anima internazionale".

In alternativa, spiega il Copasir, ci sarebbe in ballo una diversa opzione, che si concretizzerebbe in una ''operazione d’integrazione della banca con un altro istituto estero, che potrebbe sancire il definitivo disimpegno della banca dall’Italia". E questo avrebbe determinato il susseguirsi di ''preoccupanti notizie su possibili operazioni di fusione con altri players stranieri", i cui nomi circolano da tempo (Commerzbank, Crédit Agricole e Société Générale).

Ma dov'è che il Copasir vede preoccupanti margini di pericolo per il nostro sistema Paese per il sempre più evidente interesse di soggetti stranieri verso le eccellenze italiane?
"Le iniziative da parte di attori esteri su entità strategiche per la sicurezza economica nazionale rappresentano un rischio di particolare rilevanza per il sistema bancario e del pubblico risparmio". Questo perché, pregiudicandone l'indipendenza, potrebbero ''determinare una forte asimmetria tra l'area di raccolta delle risorse finanziarie (Italia) e quella di impiego delle stesse (estero)". Insomma, il risparmio drenato in Italia servirebbe ad alimentare attività ed iniziative fuori del Paese se la proprietà di UniCredit dovesse passare in mano francesi o, più in generali, straniere.

Di conseguenza, sempre nel caso di un cambio di proprietà dell'istituto di credito, impegnare il risparmio raccolto in casa nostra per "per finanziare territori e sistemi produttivi esteri" avrebbe come conseguenza la riduzione delle attività bancarie di UniCredit in Italia. Quindi si potrebbe assistere ad un processo progressivo di riduzione degli investimenti del gruppo in titoli di Stato italiani.

Il ragionamento fatto per UniCredit il Copasir lo replica anche per Generali, descritto come "il maggiore gruppo nel settore del risparmio gestito, con investimenti rilevanti sia nei titoli di Stato italiani, sia nei titoli obbligazionari e azionari delle imprese italiane", oltre a vantare numeri di enorme importanza (70 miliardi di premi e, nel 2019, un patrimonio di 630 milioni) che ne fanno "uno dei principali operatori assicurativi e del risparmio nel mondo".
Così come sottolineato per UniCredit, anche per Generali (guidata da Philippe Donnet, pure lui francese) il Copasir ritiene che "sia di rilevanza strategica" garantirne l’indipendenza, assicurata anche dal "mantenimento della governance in Italia. In tale quadro, si collocano alcune operazioni finanziarie potenzialmente finalizzate alla cessione di Assicurazioni Generali a gruppi assicurativi esteri, tra cui la francese Axa".

La lenta opera di accaparramento dei francesi di attività assicurative in Italia s'è guadagnata l'attenzione del Copasir che elenca alcune delle operazioni di acquisizione, tra le quali meritano menzione "i casi di Roma Vita e Cisalpina Previdenza, entrate a far parte del gruppo francese Cnp Assurance Sa, controllato dal Ministero delle finanze francese attraverso Caisse de Depots et Consignation, e la Compagnia Nuova Tirrena, entrata a far parte del gruppo francese Groupama".
Il timore espresso dal comitato parlamentare è che "un'eventuale cessione di Generali ad Axa incrementerebbe in misura considerevole la quota, già elevata, di titoli di Stato italiani posseduta da operatori francesi. Se si considera infatti che Assicurazioni Generali possiede 63 miliardi di euro di titoli italiani, a seguito della possibile acquisizione da parte di Axa, il nuovo soggetto economico arriverebbe a detenere complessivamente 85,5 miliardi di euro di titoli italiani, pari al 3,5% di tutto il debito pubblico italiano".

Se, da un lato, sostiene il Copasir "una quota così elevata di debito pubblico detenuto da investitori esteri pone un rischio a livello strategico e di rilievo per l’interesse nazionale", dall'altro appare "critico il tema dei dati personali sensibili, quali i dati sulla salute o sulla situazione reddituale e patrimoniale dei sottoscrittori di polizze, che le assicurazioni raccolgono e trattano a livello di singolo sottoscrittore per finalità contrattuali e a livello aggregato per fini attuariali e di profilatura della clientela".
Il comitato va anche oltre, sostenendo che questa procedura è di "notevole rilevanza in quanto gli operatori del settore assicurativo convergono sempre più verso una dematerializzazione delle proprie attività, in particolare attraverso lo strumento delle assicurazioni online".

La relazione integrale è scaricabile qui: Relazione_Copasir.pdf
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