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Tra piste ciclabili e "angoli ciechi", continua la mattanza di ciclisti sulle nostre strade

- di: Diego Minuti
 
Tra piste ciclabili e 'angoli ciechi', continua la mattanza di ciclisti sulle nostre strade
La morte di Francesca Quaglia, nel centro di Milano, nella sua drammaticità, rischia di essere solo un altro numero che andrà ad arricchire le tragiche statistiche degli incidenti che hanno come scenario le strade delle nostra città, dove, a rigore di logica, la velocità dei veicoli dovrebbe essere bassa, trattandosi di zone ad alta densità di traffico. Eppure questa situazione oggettiva sembra non riuscire ad incidere e gli incidenti mortali continuano a essere una costante delle nostre letture quotidiane, provocando lo straniante fenomeno dell'assuefazione, del ritenere l'ineluttabilità di questo oramai quotidiano obolo pagato, in vite umane, al progresso. E' questo forse l'errore peggiore in cui si può cadere, facendosi condizionare dai numeri e non invece da cosa ci sia realmente dietro questo aumento esponenziale degli incidenti stradali mortali nelle città, in quel perimetro urbano che, tra stop, strige pedonali, semafori e (sempre che ce ne siano) vigili urbani, dovrebbe imporre prudenza ai conducenti. Ma il caso di Francesca Quaglia appartiene a quella fattispecie di incidenti in cui a concorrere sono più elementi che non, ad esempio, la velocità o l'imprudenza. 

Nella fine della ciclista di Milano hanno inciso più fattori che, se presi insieme, portano a ritenere che incidenti del genere siano inevitabili, quando, invece, sarebbero necessarie - oltre a strumentazioni tecniche adeguate e che già esistono -  regole nuove e, magari, con un maggiore potenziale di deterrenza. Tutti gli esperti sanno, ad esempio, che i mezzi pesanti (come il camion ribaltabile che, nella zona di Porta Romana, ha ucciso Francesca Quaglia) hanno, nonostante gli specchietti retrovisori, un angolo cieco che nega al conducente di avvedersi di vedere cosa succede realmente lungo le fiancate dell'automezzo e, quindi, non lo induce alla ulteriore prudenza nelle manovre. Come appunto quella che ieri ha portato Francesca a finire stritolata sotto le ruote del camion. Certo è, comunque, che su Milano e sulla sua viabilità bisogna fare una riflessione perché appare evidente che sono ormai troppi gli incidenti mortali che vedono come vittime ciclisti in una città che si fa vanto della sua rete di piste ciclabili, sulla quale - oltre al plauso per le finalità ambientaliste e di mobilità - molti nutrono dubbi, non condividendone la dislocazione sul territorio, vista come un vantato fiore all'occhiello per la municipalità e non invece un reale contributo ad una migliore vivibilità della metropoli.

Altre grandi città del pianeta hanno piste ciclabili che (pur nella considerazione che si tratta di percorsi che si innestano in una viabilità precedente e che devono fare i conti con una conformazione orografica non sempre ideale) rendono migliore la vita di tutti, non solo di chi si muove in bicicletta. Una pista è ''bella e buona'' se va bene a tutti, ma ci si può accontentare anche che piaccia solo alla maggioranza. Ma se chi plaude e chi storce il naso sono quasi alla pari, significa che c'è qualcosa che non va. Ma il sindaco Sala sembra deciso ad andare per la sua strada. Le reazioni alla morte di Francesca Quaglia sono state le stesse di quelle che hanno provocato altri (tanti, troppi) incidenti che hanno visto coinvolti ciclisti. Tra manifestazioni e prese di posizione, c'è chi sollecita un inasprimento delle pene previsto per l'omicidio stradale che, introdotto nel nostro ordinamento nel 2016, ha contribuito meno del previsto alla soluzione del problema. Tanto che è stato costituito il Comitato Nazionale per la prevenzione dei crimini alla guida, promosso da Stefano Vergani, Vicepresidente vicario di Federcontribuenti

Vergani auspica una maggiore durezza nella repressione di tutte le infrazioni, prendendo esempio da Paesi come gli Stati Uniti, dove  le pene previste per l'omicidio stradale sono pesantissime. Il vicepresidente vicario di Federcontribuenti parla espressamente della necessità di ricorrere al massimo rigore anche per le contravvenzioni meno gravi, sostenendo che spesso chi diventa un ''killer delle strade'' comincia così il suo cammino da ''criminale'' al volante, magari bruciando un semaforo o non rispettando una precedenza.
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