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Confcommercio: cala l’indice del disagio sociale, ma il rischio resta

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Confcommercio: cala l’indice del disagio sociale, ma il rischio resta

Segnali di miglioramento, ma la strada è ancora lunga. L’indice del disagio sociale (MIC) elaborato da Confcommercio è sceso, secondo la stima preliminare di ottobre, a 10,2 punti, registrando un calo di tre decimi rispetto a settembre. È un segnale di alleggerimento dopo mesi di oscillazioni minime, che però – avvertono dall’associazione – non deve far pensare a una ripresa strutturale.

A ottobre il MIC scende a 10,2: pesa meno l’inflazione, stabile il mercato del lavoro

L’indicatore, che combina andamento dei prezzi, tasso di disoccupazione esteso e potere d’acquisto, “conferma una tendenza alla stabilizzazione”, spiegano gli economisti di Confcommercio, “al netto di piccole variazioni imputabili soprattutto alla componente inflazionistica”.

Inflazione in rallentamento

Il dato di ottobre risente in particolare del rallentamento dei prezzi dei beni e servizi ad alta frequenza d’acquisto, cioè quelli più percepiti dai consumatori – come alimentari, carburanti e bollette – che passano dal +2,6% di settembre al +2,3%. Una dinamica che contribuisce a ridurre la pressione sulle famiglie, ma che non basta a compensare gli effetti cumulativi dell’inflazione degli ultimi due anni.

L’associazione stima che il tasso di disoccupazione esteso (che include anche cassintegrati e inattivi potenzialmente occupabili) sia sceso al 6,7%, mentre quello ufficiale si mantiene stabile al 6,1%, con un lieve aumento degli occupati e una sostanziale stasi dei disoccupati.

In sintesi: il quadro occupazionale non arretra, ma neppure avanza. E, in assenza di una ripresa dei consumi, “il rischio – spiegano da Confcommercio – è che la tenuta del mercato del lavoro si indebolisca nei prossimi mesi”.

Stabilità fragile
Nella fotografia di ottobre, l’indice MIC indica un equilibrio precario. La componente prezzi mostra segni di distensione, mentre le unità di lavoro standard (ULA) – che considerano anche le ore di Cassa integrazione guadagni (CIG) e Fondo d’integrazione salariale (FIS) – restano stabili. In sostanza, non si registrano peggioramenti, ma la stabilità è fragile e dipende dall’evoluzione dell’economia complessiva.

Per il momento, Confcommercio si aspetta che “l’area del disagio sociale resti sui livelli attuali anche nella parte finale del 2025”. Tuttavia, il quadro potrebbe cambiare se la crescita dei consumi non ripartisse. “In assenza di un miglioramento dell’attività economica – sottolinea la nota – il mercato del lavoro potrebbe cominciare a mostrare marcati segnali di rallentamento, con il rischio di un ampliamento dell’area del disagio sociale”.

I consumi come chiave di svolta
Da mesi l’associazione guidata da Carlo Sangalli insiste su un punto: senza una ripresa della domanda interna, non ci sarà una vera riduzione del disagio economico.
Il commercio al dettaglio, pur sostenuto dal turismo e da una buona stagione dei servizi, risente ancora della contrazione del potere d’acquisto delle famiglie, che hanno tagliato spese discrezionali e rinviato investimenti.

Gli interventi della manovra, dal taglio Irpef ai bonus per i redditi medi, potrebbero fornire un sostegno marginale, ma Confcommercio chiede misure strutturali di stimolo ai consumi, a partire dal taglio del cuneo fiscale e dal rafforzamento del credito alle imprese.

L’ombra della stagnazione

Il miglioramento dell’indice MIC, quindi, va letto più come una tregua che come una svolta. Dopo l’impennata del disagio sociale seguita alla crisi energetica e inflattiva del biennio 2022-2023, la situazione resta complessa.
Il rischio principale – rilevano gli analisti – è che, senza un aumento stabile dell’occupazione e dei salari reali, l’Italia resti in una zona grigia: meno disagio, ma anche poca crescita.

Un equilibrio delicato, che la riduzione dell’inflazione non basta da sola a risolvere.

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