Dow oltre 47.800 punti, Fed più vicina al taglio dei tassi: Tokyo corre, Hong Kong e Shanghai restano in equilibrio, Seul e Taipei frenano, India e Sud-est asiatico ballano sulla volatilità.
La staffetta parte da New York. Nella seduta di mercoledì 3 dicembre il
Dow Jones Industrial Average ha messo a segno un balzo di circa 0,9%,
guadagnando oltre 400 punti e chiudendo intorno a 47.883 punti, a meno
dell’1% dai massimi storici. Lo S&P 500 ha archiviato la giornata in progresso di circa
0,3% a quota 6.849 punti, mentre il tecnologico Nasdaq Composite
ha consolidato con un più prudente +0,2%, vicino ai massimi di fine ottobre.
Il paradosso della seduta è tutto nei dati macro: il rapporto ADP sull’occupazione privata di novembre
ha registrato un calo di posti di lavoro, a fronte di attese per un incremento, segnale di un
mercato del lavoro che si sta raffreddando più del previsto. Per Main Street è una brutta notizia,
per Wall Street no: le cifre deboli hanno alimentato le scommesse su un taglio dei tassi della
Federal Reserve già nella riunione della prossima settimana, con le probabilità implicite nei
future che sfiorano il 90%.
A sostenere il sentiment è arrivato anche l’indice ISM dei servizi, che ha mostrato una crescita superiore
alle attese ma con pressioni sui prezzi in rallentamento: una combinazione che per gli operatori significa
economia in decelerazione ordinata e inflazione meno minacciosa.
Il risultato si è visto immediatamente sul mercato obbligazionario, con i rendimenti dei Treasury in calo, e,
per riflesso, sui listini azionari.
Nel paniere S&P 500 i riflettori si sono posati su alcuni titoli tecnologici: Microchip Technology
è schizzata di oltre il 12% dopo indicazioni più ottimistiche sulla domanda e sulla riduzione delle scorte,
mentre Marvell Technology ha messo a segno un robusto rialzo dopo conti trimestrali superiori
alle attese. Sullo sfondo, bitcoin ha mantenuto le posizioni vicino ai 93–94 mila dollari,
dopo un mini-rimbalzo che ha contribuito al clima di maggiore propensione al rischio.
Tokyo in testa: Nikkei oltre 50.700, vola SoftBank
Con queste premesse, il testimone è passato alle Borse asiatiche. La prima della classe è il Giappone:
il Nikkei 225 a Tokyo è balzato di circa 1,7% attestandosi oltre
50.700 punti, trascinato dalle aspettative che la Fed taglierà i tassi e da un clima ancora
incerto ma non ostile sulla futura stretta della Bank of Japan.
Protagonista assoluto della seduta è SoftBank Group, che ha guadagnato quasi +9%,
spinta dall’euforia legata al tema dell’intelligenza artificiale e dai flussi internazionali in cerca di esposizione
alla tecnologia asiatica. Sul fronte obbligazionario, il rendimento del JGB decennale si è portato
oltre l’area dell’1,9%, sui massimi dal 2007: un segnale che il mercato continua a prezzare la
possibilità di un ulteriore rialzo dei tassi giapponesi entro fine anno.
L’indice Topix, più rappresentativo dell’insieme del mercato, si è mosso in sintonia, rafforzando
l’idea che la fase di “normalizzazione” della politica monetaria nipponica non stia spaventando gli investitori,
finché resta accompagnata da un contesto globale di tassi in discesa negli Stati Uniti.
Cina e Hong Kong: rimbalzo cauto e nervi scoperti
Più sfumata la reazione nel blocco cinese. Alla riapertura di stamattina, la Borsa di Hong Kong
è tornata in territorio positivo: l’indice Hang Seng ha aperto in rialzo di circa
0,2%, intorno a 25.800 punti, dopo le recenti vendite legate alle
preoccupazioni sul settore immobiliare e sulle società legate ai consumi domestici.
Sulla terraferma i listini hanno oscillato attorno alla parità. A Shanghai, il
Composite ha registrato variazioni frazionali, con un guadagno vicino allo 0,04%
in apertura e un indice che resta appena sotto i 3.880 punti. A Shenzhen,
listino più sensibile ai titoli tecnologici e alla nuova economia, il movimento è stato speculare ma in lieve
calo, con una flessione nello 0,0–0,1% e l’indice che si muove sui 2.440 punti.
A fare da sfondo, ancora una volta, il dossier property. I recenti dati sui PMI
manifatturieri, rimasti in territorio di contrazione, e le tensioni su alcuni grandi gruppi
immobiliari continuano a pesare sul sentiment. Il governo di Pechino ha intensificato negli ultimi mesi le
misure mirate – dalle linee di credito alle banche ai sostegni selettivi ai costruttori – ma il mercato
aspetta segnali più convincenti sulla stabilizzazione del settore. Allo stesso tempo, un yuan
leggermente più forte e l’idea di un supporto più deciso alla crescita aiutano a contenere le vendite.
Corea, Australia e Taiwan: frenata dopo New York
Se Tokyo domina la scena, altrove in Asia la risposta al rally americano è più tiepida. In Corea del Sud,
l’indice Kospi ha virato in rosso, scendendo di circa 0,7% in area
4.008 punti, zavorrato in particolare dai titoli tecnologici e dal comparto auto, tradizionali
motori del listino di Seul. Le prese di beneficio arrivano dopo una serie di sedute in rialzo e in un contesto in
cui l’indice resta comunque vicino ai massimi dell’anno.
In Australia, l’S&P/ASX 200 si è mosso in modo quasi speculare: partenza
debole, legata anche alle oscillazioni del settore minerario e dell’energia, e successivo recupero fino a chiudere
la prima parte di seduta con un progresso simbolico, intorno allo 0,1%, in area
8.603 punti. Il mercato scommette su una prosecuzione del rally delle materie prime, con il
rame sui massimi storici e il petrolio in risalita sui timori di offerta.
Più fredda la reazione di Taiwan, dove il Taiex ha registrato una flessione
di quasi 0,3%, nonostante il traino del comparto semiconduttori resti strutturalmente forte.
Qui pesa l’idea che il fortissimo rally degli ultimi mesi abbia già incorporato gran parte delle buone notizie
sul ciclo dell’elettronica e sull’intelligenza artificiale.
India e Sud-est asiatico: il termometro della volatilità
Nel resto dell’Asia, il quadro è ancora più sfaccettato. In India l’indice S&P BSE Sensex
ha aperto la seduta intorno ai 100 punti sotto la chiusura precedente, con il
Nifty 50 scivolato momentaneamente sotto quota 26.000 punti. La pressione sugli
indici indiani arriva da due fronti: da un lato, la debolezza della rupia, che ha toccato nuovi
minimi storici contro il dollaro; dall’altro, le vendite dei fondi esteri, che nei primi giorni
di dicembre hanno liquidato in pochi colpi quasi un miliardo di dollari di azioni indiane.
Col passare delle ore, però, la narrativa si è fatta meno cupa: sostenuti dalle indicazioni positive in arrivo da
Wall Street, Sensex e Nifty hanno ridotto le perdite fino a muoversi in prossimità della parità, con alcuni
titoli domestici legati ai consumi interni tornati a catalizzare l’attenzione degli investitori locali.
Nel Sud-est asiatico, le Borse si muovono in ordine sparso. A Singapore, il
Straits Times Index oscilla sostanzialmente sulla parità, con variazioni nell’ordine di pochi
centesimi di punto percentuale e l’indice poco sopra i 4.550 punti, in scia a un mercato che ha
già corso molto da inizio anno. In Indonesia, il Jakarta Composite si mantiene
poco sopra gli 8.600 punti, con un guadagno frazionale intorno allo 0,2%,
segnale di una propensione al rischio cauta ma ancora presente.
In Malaysia, il FBM KLCI ha aperto in lieve progresso per poi ondeggiare attorno
alla parità, riflettendo una fase di lunga consolidazione dopo i recuperi delle settimane precedenti.
Il flusso di notizie domestiche è relativamente scarno e i movimenti sono guidati soprattutto dagli spunti esterni,
a partire proprio dai segnali in arrivo da Wall Street.
Nel Pacifico, la Nuova Zelanda mostra un profilo diverso: l’indice NZX 50 si
muove con variazioni molto contenute ma resta fra i più deboli della regione, penalizzato da alcuni casi societari
specifici e da prese di beneficio su titoli difensivi che avevano corso molto. Nel complesso, l’area Asia-Pacifico
ex Giappone si presenta all’appuntamento con le decisioni Fed in una posizione di attesa vigile:
niente panico, ma nessuna euforia generalizzata.
Il filo rosso: Fed, BoJ, dollaro e asset rischiosi
Guardando oltre i singoli indici, il tratto comune della seduta è chiaro: il prezzo del denaro.
Il rally di Wall Street nasce dalla convinzione che la Fed sia pronta a inaugurare un nuovo ciclo di
riduzione dei tassi, dopo mesi in cui il mercato aveva temuto una stretta “più lunga e più alta”.
Se queste aspettative saranno confermate, per le Borse asiatiche significherà dollaro meno forte, condizioni
finanziarie più favorevoli e, in molti casi, margini più ampi per le banche centrali locali.
Allo stesso tempo, la possibile stretta della Bank of Japan, se mal calibrata, resta un rischio
non trascurabile: un Giappone davvero fuori dal regime dei tassi negativi potrebbe ridisegnare le mappe dei flussi
internazionali, con ripercussioni su yen, carry trade e valutazioni dei titoli growth.
Sullo sfondo si muovono bitcoin, che resta su livelli storicamente elevati dopo il recente
rimbalzo, e il petrolio, risalito in scia alle ultime indicazioni sull’offerta Opec+ e sui
rischi geopolitici. Due variabili che, insieme al raffreddamento dell’inflazione, completano il mosaico di una
fase in cui gli asset rischiosi tornano a essere corteggiati, ma con un livello di prudenza selettiva
ben più alto rispetto all’euforia del triennio post-pandemia.
Per ora, il messaggio dei mercati è duplice: da un lato la recessione non è scontata, dall’altro
il costo del denaro non può restare così alto a lungo. Finché questo equilibrio regge, lo schema
“Wall Street spinge, l’Asia segue a modo suo” resta valido. Ma basterà un dato sbagliato, o una parola di troppo
della Fed, perché il pendolo della fiducia torni a oscillare bruscamente.