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Braccianti dei supermercati: il nuovo volto del caporalato nell’Italia delle campagne

- di: Cristina Volpe Rinonapoli
 
Braccianti dei supermercati: il nuovo volto del caporalato nell’Italia delle campagne
Settimane intere di lavoro, orari lunghi come i turni in serra o in stalla, ma non nei campi. Stavolta il teatro dello sfruttamento è stato un supermercato, alle porte di Catania. Trentasette lavoratori, giovani e spesso senza alternative, sono stati costretti a turni che superavano le 60 ore settimanali, per uno stipendio che in alcuni casi non arrivava a 800 euro al mese. Calcolando il monte ore, significa 1,6 euro all’ora. A far emergere questo quadro è stata un’indagine della Guardia di Finanza, culminata con due arresti – il rappresentante legale e il direttore commerciale – e il sequestro preventivo della società.

Braccianti dei supermercati: il nuovo volto del caporalato nell’Italia delle campagne

Le accuse sono quelle di caporalato e autoriciclaggio, ma il contesto rimanda a qualcosa di più profondo. Siamo dentro una stagione in cui lo sfruttamento non è più solo quello visibile nelle campagne, tra file di braccianti piegati sui pomodori o tra le viti. Oggi si annida anche tra le corsie dei supermercati, nelle celle frigorifere e nei magazzini, dove si fa largo un nuovo caporalato urbano. Il sistema, secondo gli inquirenti, era organizzato scientificamente: le ore lavorate venivano in parte occultate, le presenze controllate con strumenti di sorveglianza non autorizzati, le proteste represse con il ricatto del licenziamento. Il profitto? Riciclato, secondo gli inquirenti, per alimentare un modello aziendale basato sull’illegalità.

La nuova geografia dello sfruttamento

Quello che accade nel Catanese è l’ennesima conferma di una geografia del lavoro in cui la povertà si incontra con l’assenza di tutele. Un modello in cui non serve più solo il sole delle campagne per generare sfruttamento: bastano l’anonimato di un magazzino, la disperazione di chi accetta ogni condizione pur di lavorare, e l’indifferenza generale. I sindacati parlano da tempo di una mutazione del caporalato, che ha ormai superato i confini del settore agricolo per estendersi a logistica, servizi, commercio. Le nuove vittime non sono solo migranti nei ghetti rurali, ma anche cittadini italiani che finiscono intrappolati in un’economia parallela dove i contratti sono carta e le tutele un’illusione.

Una stagione che si ripete ogni anno


Questa storia si inserisce in un quadro più ampio che si ripropone con puntualità ogni primavera e ogni estate, quando la domanda di manodopera cresce e i controlli arrancano. Ogni anno, nelle campagne italiane, emergono inchieste che rivelano gli stessi meccanismi: ore non pagate, turni massacranti, minacce, assenza di diritti. Cambiano i luoghi – dal Sud al Nord, dai campi ai centri commerciali – ma non cambiano le dinamiche. E intanto, la “stagione delle campagne” diventa sempre più sinonimo di una stagione di vergogna, in cui lo sfruttamento del lavoro povero viene normalizzato, accettato, addirittura mimetizzato dietro il marchio della legalità.
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