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BoJ verso lo 0,75%: il Giappone alza i tassi e scuote i mercati

- di: Vittorio Massi
 
BoJ verso lo 0,75%: il Giappone alza i tassi e scuote i mercati

Fine dell’era “tutto facile”? Tra inflazione al 3%, yen nervoso e debito che pesa, la banca centrale prova a rimettere ordine, ma ogni passo fa rumore.

(Foto: Il Governatore della Banca centrale del Giappone - BoJ - Kazuo Ueda).

Due giorni di riunione, un numero piccolo (0,75%) e un effetto potenzialmente enorme: la Bank of Japan si avvicina a un rialzo dei tassi che la porterebbe al livello più alto dagli anni Novanta, in quello che molti investitori leggono come un passaggio simbolico e pratico insieme. Simbolico, perché chiuderebbe davvero la stagione dell’ultra-accomodante “Made in Tokyo”. Pratico, perché va a toccare tre nervi scoperti contemporaneamente: inflazione, cambio yen/dollaro e costo del debito.

La finestra è quella della riunione del 18-19 dicembre 2025, con i mercati che da giorni ragionano non tanto sul “se”, quanto sul “come”: tono del comunicato, indicazioni sul percorso futuro, e soprattutto il messaggio implicito ai grandi operatori globali che per anni hanno trattato lo yen come un carburante a basso prezzo per le strategie finanziarie.

Perché lo 0,75% adesso non è un dettaglio

Un rialzo di 25 punti base, in un Paese abituato a tassi vicino allo zero, ha un peso specifico diverso rispetto ad altre economie. Non si tratta solo di “tirare un po’ il freno”: è un’ulteriore tacca nella normalizzazione iniziata dopo l’uscita dall’epoca dei tassi negativi (archiviata nel 2024) e proseguita poi nel 2025 con un progressivo riposizionamento della politica monetaria.

La domanda che si fanno i desk è semplice: la BoJ vuole “solo” riportare il tasso in territorio più coerente con la realtà dei prezzi, oppure sta preparando il terreno per un sentiero più lungo? Un sondaggio tra economisti, diffuso nei giorni scorsi, segnala aspettative di ulteriori ritocchi nei prossimi mesi, fino ad avvicinare l’1% entro il 2026 in molte previsioni.

Inflazione: il 3% che costringe a scegliere

Il punto di partenza è un dato che, in Giappone, pesa quasi come una dichiarazione politica: inflazione al 3,0% annuo in ottobre 2025. Non un picco isolato, ma un livello che resta sopra il target del 2% e costringe la banca centrale a dimostrare che la nuova fase è credibile.

Per la BoJ non basta vedere i prezzi salire: deve convincersi che l’inflazione sia sostenibile, cioè alimentata da domanda interna e salari, non solo da shock su energia e alimentari. E qui entra in scena il governatore Kazuo Ueda.

In un intervento pubblico a Nagoya (1 dicembre 2025), Ueda ha richiamato più volte il legame tra dinamica salariale e stabilità dei prezzi nel medio periodo, insistendo sull’idea che gli aumenti retributivi debbano allargarsi e consolidarsi. Tra i segnali citati, anche la spinta del salario minimo (con incrementi elevati nell’anno fiscale 2025) come possibile volano per una diffusione più ampia dei rialzi nelle imprese.

Non a caso, il mercato guarda già alla prossima stagione di negoziati tra aziende e sindacati: le richieste salariali per il 2026 sono partite e, in settori chiave come l’automotive, i sindacati hanno messo sul tavolo richieste che puntano a replicare aumenti importanti.

Yen: tra difesa della valuta e rischio “effetto domino”

C’è poi la variabile che parla direttamente agli investitori globali: lo yen. Nelle ultime settimane il cambio ha mostrato fasi di tensione, con punte più deboli e rimbalzi legati alle aspettative sulla BoJ. A metà dicembre 2025, lo yen ha recuperato terreno in vista della decisione, muovendosi nell’area di circa 155 per dollaro secondo le rilevazioni di mercato riportate da fonti finanziarie internazionali; in precedenza, nelle fasi più tese, erano circolati livelli ancora più sfavorevoli per la valuta giapponese.

Un rialzo dei tassi serve anche a ridurre il divario con i rendimenti esteri (in primis gli Stati Uniti) e a togliere un po’ di ossigeno alle scommesse contro lo yen. Ma qui il gioco si fa delicato: stringere troppo potrebbe frenare la crescita; stringere poco potrebbe non bastare a stabilizzare le aspettative. E nel mezzo resta un tema molto osservato: l’eventuale impatto sul carry trade, cioè quelle strategie che prendono a prestito in yen a basso costo per investire in asset più redditizi altrove.

Bond giapponesi: rendimenti che si alzano e nervi scoperti

Se lo yen è la cartina di tornasole internazionale, i titoli di Stato giapponesi sono il termometro domestico. A dicembre 2025 i rendimenti si sono mossi con decisione: il decennale ha viaggiato vicino a quota 2%, su livelli indicati come massimi pluriennali da diversi osservatori. È una dinamica che fa rumore perché il Giappone vive da anni con l’idea — quasi culturale — che il debito costi poco e resti gestibile.

Ma se i rendimenti salgono, il conto arriva: rifinanziare diventa più caro, la sensibilità politica aumenta e il margine di manovra si restringe. Per questo la scelta della BoJ non può essere letta isolatamente: è un tassello in un puzzle dove moneta e finanza pubblica ormai si guardano in faccia ogni giorno.

Il fattore Takaichi: spinta fiscale e timori sul debito

Sullo sfondo c’è un’altra notizia che ha acceso i radar dei mercati: l’approvazione, in Parlamento, di un maxi-budget supplementare da 18,3 trilioni di yen (circa 118 miliardi di dollari), varato il 16 dicembre 2025. È il primo grande pacchetto economico dell’esecutivo guidato dalla premier Sanae Takaichi e, soprattutto, è finanziato in larga parte con nuove emissioni di debito, secondo ricostruzioni di stampa e agenzie.

Il messaggio politico è chiaro: proteggere redditi e attività economiche, sostenere la domanda, rispondere al costo della vita. Il messaggio ai mercati è più ambiguo: più spesa significa spesso più bond sul mercato, dunque più pressione sui rendimenti. E in un Paese che già porta sulle spalle il più alto rapporto debito/Pil tra le economie avanzate, la sensibilità è massima.

Quanto è grande quel fardello? Secondo stime attribuite al Fondo Monetario Internazionale e riprese da stampa internazionale, il rapporto di debito pubblico potrebbe collocarsi attorno a 232,7% del Pil nel 2025. Un numero che da solo spiega perché ogni decimale dei tassi venga scrutato come un varco nel muro.

Che cosa guardare nella conferenza della BoJ

Se il rialzo allo 0,75% dovesse arrivare, l’attenzione si sposterà immediatamente su tre indizi:

1) Il linguaggio sulla traiettoria futura. Se Ueda e il board parleranno di “gradualità” senza chiudere la porta a ulteriori mosse, i mercati lo leggeranno come un sentiero aperto.

2) Il riferimento ai salari. Più la BoJ insisterà sul bisogno di aumenti “diffusi”, più sarà chiaro che la banca centrale sta aspettando conferme dai negoziati del 2026.

3) Il modo in cui verrà citata la finanza pubblica. Anche senza nominarla direttamente, la tensione tra costo del debito e lotta all’inflazione è ormai parte della narrazione.

Il punto: una normalizzazione che non sarà indolore

Per decenni il Giappone ha esportato nel mondo un’idea: i tassi possono stare bassi “per sempre” e la banca centrale può fare da argine a qualsiasi shock. Oggi quella promessa si sta sfilacciando. L’inflazione al 3%, lo yen che reagisce a ogni sillaba e i rendimenti che risalgono riportano la politica monetaria su un terreno più classico: scegliere priorità e accettare trade-off.

La vera notizia, quindi, non è solo lo 0,75%. È che Tokyo si sta riabituando a un concetto quasi dimenticato: il prezzo del denaro conta. E quando torna a contare, nessuno — mercati compresi — può far finta di niente. 

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