Bambi: 80 anni di lacrime e sangue
- di: Barbara Bizzarri
Uno dei primi traumi della mia vita è avvenuto nel glorioso cinema Induno a Roma, uno dei tanti gioiellini spariti della Capitale che fu. Mi avevano portato a vedere Bambi: tutto molto bello finché, al rimbombo della fucilata che accoppa la mamma, il cinema si riempì degli strilli e dei pianti dei piccoli malcapitati scodellati lì nell’illusione di vedere una storia allegra almeno quanto la tenera locandina. Macché: Bambi vince sul podio dei cartoni traumatici insieme a Dumbo e a Il Re Leone, fatti apposta per far capire che la vita è piena di dolore e insidie, e tocca affrontarla con la giusta tempra. Sarà, ma preferisco la mollezza attuale per cui oggi ai bambini è concesso di tutto purché mai soffrano, mai si sentano inadeguati, e quindi viva Peppa Pig, la Barbie cessa e i genitori che inseguono gli insegnanti appena osano un “intelligente ma parecchio distratto”, che ai miei tempi invece si traduceva sempre in un fracco di legnate, ovviamente assestate a noi. Insomma, quasi non mi riprendo ancora e ricordo come se fosse ieri (film mai più visto, infatti) il cacciatore infame che condanna Bambi all’orfanitudine precoce. A nulla vale lo splendido papà cervo dotato di corna a più strati che se lo porta via sottraendolo alla disperazione dicendogli, andiamo figlio mio, o qualcosa del genere e lasciando intendere che in ogni caso il cerbiattino non sarebbe rimasto solo, in un singulto di pietà per lui e pure per gli spettatori.
Fatto sta che questo capolavoro di sadismo e crudeltà compie ottant’anni, peraltro portati benissimo: la storia dell’autore di Bambi oltretutto è improntata all’afflizione, dato il curioso senso di giustizia di questo mondo, ma poiché mi ha tolto dieci anni di vita non riesco a dispiacermene più di tanto. Felix Salten era uno scrittore povero e squattrinato come nel migliore dei clichés, il cui angelo custode assume le fattezze del celeberrimo Thomas Mann, amico di Walt Disney, che gli raccomanda il suo libro, Bambi appunto, per farne un film. Mann apprezzava le doti artistiche di Salten, certo, ma soprattutto voleva aiutarlo a risolvere la sua difficile situazione economica. Disney acquista dunque i diritti del libro nel 1937 e affida agli sceneggiatori Pearce e Morey l’adattamento cinematografico della storia, disegnata da Milt Kahl e Frank Thomas.
Dopo parecchie peripezie, il giovane cerbiatto che affronta la prima età adulta in compagnia dei suoi amici, il coniglio Tamburino e la puzzola Fiore, approda nelle sale cinematografiche americane il 13 agosto del 1942. Pur avendo ricevuto critiche non favorevoli alla prima uscita, nel dicembre 2011 il film è stato aggiunto al National Film Registry della Biblioteca del Congresso. E forse non tutti sanno che nel 1968, nell'edizione italiana ridoppiata, a dare la voce al cerbiatto appena nato e poi cucciolo fu Loretta Goggi. Niente di tutto questo rende comunque meno traumatico il ricordo di un film sconvolgente e, se avessi saputo di dover assistere a scene drammatiche come quelle, avrei chiamato preventivamente il telefono azzurro per denunciare i miei. A noi il bonus psicologo serve per arginare i danni di Bambi, altroché e no, non sto piangendo, mi è solo entrata una mamma di Bambi nell’occhio.