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Attentato a Ranucci: le prime reazioni e solidarietà

- di: Vittorio Massi
 
Attentato a Ranucci: le prime reazioni e solidarietà

Da “atto vile” a “colpo alla democrazia”: tutto il dibattito.

(Foto: Sigrido Ranucci - in maglia bianca - a un dibattito sul giornalismo d'inchiesta).

Un ordigno è esploso nella notte sotto l’auto di Sigfrido Ranucci davanti alla sua abitazione a Pomezia, distruggendo la vettura e danneggiando anche quella della figlia. L’esplosione, avvenuta poco dopo la mezzanotte, è stata così violenta da svegliare l’intero quartiere e costringere all’intervento i vigili del fuoco e la polizia scientifica. Il giornalista di “Report” non era in casa al momento, ma la figlia era rientrata da poco. Nessuna rivendicazione è ancora arrivata, ma l’allarme è altissimo.

Il racconto di Ranucci: “Avrebbero potuto ucciderla”

«Mia figlia è passata davanti alla mia auto pochi minuti prima dell’esplosione, avrebbero potuto ammazzarla» ha raccontato Ranucci con voce rotta. Il giornalista ha aggiunto che secondo i primi rilievi sarebbero stati utilizzati circa un chilo di esplosivo e che “l’intento era chiaramente intimidatorio”.

Ranucci ha poi sottolineato di aver ricevuto negli ultimi mesi numerose minacce e messaggi anonimi: «C’è un clima di isolamento e di delegittimazione nei miei confronti. Ma non mi farò zittire. Continuerò a fare il mio lavoro». Un messaggio diretto e netto, che rievoca le stagioni più oscure del giornalismo d’inchiesta italiano.

Le reazioni politiche e istituzionali

Il mondo politico e istituzionale ha reagito con fermezza, parlando di “atto vile” e “attacco alla libertà di stampa”. In poche ore, da ogni parte è arrivata una valanga di messaggi di solidarietà.

La presidente della commissione di vigilanza Rai, Barbara Floridia, ha scritto che «le parole sembrano sempre troppo piccole di fronte a gesti così gravi e vili… ma siamo certi che nulla potrà fermare la voce di chi cerca la verità». Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha parlato di «attacco alla libertà di informazione, valore fondante della nostra democrazia». Il presidente della Camera Lorenzo Fontana ha espresso «la più ferma condanna per un atto vile e intimidatorio», mentre l’Associazione nazionale magistrati ha definito l’esplosione «un colpo diretto alla democrazia stessa».

Dure anche le parole di Nicola Fratoianni, che ha ricordato come «oggi il dovere più urgente sia stare al fianco di Ranucci, senza se e senza ma». Sulla stessa linea le associazioni di categoria: la Federazione nazionale della stampa e l’Ordine dei giornalisti hanno chiesto “un impegno immediato per garantire protezione e verità”.

Le indagini: pista mafiosa e ipotesi intimidatoria

La Procura di Roma ha aperto un’inchiesta per danneggiamento aggravato dall’uso di esplosivo con l’aggravante del metodo mafioso. Gli investigatori della Digos e della scientifica hanno isolato l’area e stanno analizzando i residui dell’ordigno per determinarne la composizione e il sistema di innesco.

Gli inquirenti non escludono che si tratti di un gesto intimidatorio collegato a una delle recenti inchieste di “Report”. In passato, Ranucci aveva raccontato di pressioni e di tentativi di delegittimazione. Le indagini proseguono nel massimo riserbo, ma si scava anche tra le minacce ricevute online e le segnalazioni arrivate alla redazione nelle ultime settimane.

Il segnale alla stampa libera

L’attentato contro un giornalista noto e rispettato come Sigfrido Ranucci non è solo un’aggressione individuale. È un gesto che mette in discussione la libertà di stampa, il diritto dei cittadini a essere informati e la sicurezza di chi indaga su poteri opachi. Per questo il clamore è stato immediato: perché il messaggio è collettivo, non personale.

Colpire chi racconta la verità significa provare a spegnere la luce su ciò che non si vuole far vedere. Eppure, proprio nel dolore di questa notte emerge una reazione forte del Paese, della società civile, delle istituzioni e della comunità giornalistica. Non solo solidarietà, ma una richiesta precisa: verità e giustizia, subito.

Ranucci ha concluso con parole che suonano come un manifesto di resistenza civile: «Non arretrerò di un passo. Continuerò a raccontare. Chi usa la paura ha già perso». 

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