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Asia divisa tra Fed e BoJ, Nikkei giù, Cina regge

- di: Matteo Borrelli
 
Asia divisa tra Fed e BoJ, Nikkei giù, Cina regge
Primo giorno di dicembre con listini misti: Tokyo affonda sullo yen forte e sui rendimenti, Pechino e Hong Kong rialzano la testa mentre il mercato scommette su un taglio dei tassi Fed e monitora le Pmi.

Il primo giorno di dicembre si apre con un’Asia che viaggia a più velocità, schiacciata tra due forze opposte: da un lato le scommesse sempre più convinte su un taglio dei tassi della Federal Reserve a dicembre, dall’altro il rischio di un imminente rialzo dei tassi da parte della Bank of Japan, che ha mandato al tappeto la Borsa di Tokyo e acceso i riflettori sullo yen.

In questo quadro, le principali piazze asiatiche mostrano una fotografia nettamente contrastata: Giappone in forte rosso, Cina continentale e Hong Kong in rialzo, India e Corea del Sud appena sotto la parità, Australia debole. Sullo sfondo, future europei in calo e future Usa in rosso, mentre petrolio e gas recuperano terreno e l’oro resta ancorato oltre quota 4.200 dollari l’oncia.

Borse asiatiche divise tra Fed e BoJ

I future sui Fed funds indicano per il meeting di dicembre della banca centrale americana una probabilità vicina al 90% di un taglio da 25 punti base, un balzo rispetto a circa il 40% prezzato appena una settimana fa. Le letture macro più morbide dagli Stati Uniti e toni meno aggressivi da parte di vari esponenti Fed hanno convinto gli operatori che il ciclo restrittivo negli Usa sia di fatto al capolinea.

Questo però non basta a scaldare l’intera regione, perché l’altro polo della giornata è il Giappone. Mentre gli investitori scommettono su una Fed più morbida, a Tokyo prende forma lo scenario opposto: una Bank of Japan pronta ad alzare i tassi nella riunione del 18-19 dicembre, dopo anni di politica ultra-espansiva.

Il risultato è una mappa di Borsa molto segmentata:

Nikkei 225 in forte calo, con una flessione di circa quasi il 2%, complice la raffica di vendite sui titoli esportatori colpiti dal recupero dello yen.
Topix in perdita di oltre l’1%, indebolito dallo stesso mix di yen e rendimenti in rialzo.
– In Cina, il Shanghai Composite avanza di circa 0,6%, mentre il CSI 300 dei blue chip guadagna oltre l’1%.
– A Hong Kong l’Hang Seng segna un progresso intorno allo 0,4-0,5%, con supporto dai titoli tecnologici e dalle aspettative di ulteriori misure di sostegno a Pechino.
– In Corea il Kospi cede intorno allo 0,2%, frenato dai grandi esportatori e dal settore tecnologico dopo le prese di profitto su Wall Street.
– In Australia l’S&P/ASX 200 perde poco più dello 0,5%, compresso tra titoli minerari deboli e banche miste.
– A Singapore l’indice STI rimane sostanzialmente invariato, riflesso di volumi sottili e di un flusso di notizie poco direzionale.

Tokyo zavorrata dallo yen e dai rendimenti

Il caso più eclatante della seduta è quello giapponese. Il rally dei rendimenti sui titoli di Stato nipponici – con la scadenza decennale tornata ai massimi dal 2008 – e il rialzo dello yen hanno messo sotto pressione l’intero mercato azionario.

A pesare è la combinazione di inflazione persistente e segnali sempre più espliciti dalla Bank of Japan. A novembre l’indice dei prezzi al consumo “core” di Tokyo è salito di circa il 2,8% su base annua, restando stabilmente oltre il target del 2% e alimentando l’idea che la banca centrale non possa più permettersi una politica ultra-accomodante a tempo indeterminato.

Da qui il cambio di tono del governatore Kazuo Ueda, che in un intervento pubblico ha lasciato intendere che il board potrebbe agire già prima di fine anno. “Valuteremo con attenzione i vantaggi e gli svantaggi di un aumento dei tassi alla riunione di dicembre e decideremo in base alle condizioni dell’economia e dell’inflazione”, ha affermato Ueda, sottolineando l’importanza della dinamica salariale per rendere sostenibile l’uscita dalla politica dei tassi negativi.

Il messaggio è stato interpretato dal mercato come la più chiara apertura finora a un rialzo: le probabilità implicite di un intervento a dicembre sono schizzate, lo yen ha accelerato il recupero e i titoli esportatori – automotive, elettronica, beni industriali – sono stati colpiti dalle vendite. In Borsa hanno sofferto in particolare i gruppi più sensibili al cambio e ai tassi interni, come i grandi conglomerati industriali e i colossi della tecnologia.

Cina tra Pmi deboli e rimbalzo di Borsa

Se Tokyo scricchiola, la Cina continentale prova a ripartire nonostante dati macro tutt’altro che brillanti. Il Pmi manifatturiero ufficiale di novembre si è attestato intorno a 49,2 punti, sotto la soglia dei 50 per l’ottavo mese consecutivo, mentre l’indice dei servizi è scivolato anch’esso in area di contrazione. Anche il Pmi manifatturiero privato ha segnalato un ritorno sotto quota 50, confermando la fragilità della domanda, interna ed estera.

Paradossalmente, proprio la debolezza dei numeri macro sta alimentando qualche acquisto in Borsa: gli investitori puntano su misure di stimolo aggiuntive che Pechino potrebbe varare dopo una serie di interventi ancora giudicati insufficienti. Gli indici di Shanghai e Shenzhen avanzano tra lo 0,6 e l’1,3%, mentre a Hong Kong guadagnano terreno i titoli legati alla tecnologia e ai consumi.

“Il quadro congiunturale resta fragile, ma il mercato comincia a prezzare una maggiore determinazione di Pechino nel sostenere crescita e occupazione nel 2026”, osserva un gestore azionario con base a Hong Kong, che sottolinea come le valutazioni su molti titoli cinesi restino depresse rispetto alle medie storiche.

Mumbai e l’Asia emergente restano caute

Giornata di prudenza in India, dove il S&P BSE Sensex e il Nifty 50 chiudono poco sotto la parità, con cali nell’ordine di uno 0,1-0,2% dopo i guadagni delle ultime sedute. I bancari difendono i livelli, mentre alcuni comparti ciclici prendono fiato in vista di una settimana ricca di dati macro globali.

Nel resto dell’Asia emergente il quadro è altrettanto misto: il Taiex di Taipei cede oltre l’1%, complice la volatilità sui big dei semiconduttori; l’indice composito di Jakarta oscilla attorno alla parità con un lieve segno positivo; a Bangkok il principale indice azionario guadagna più dell’1%, favorito dai titoli energetici e legati al turismo; la Malaysia mette a segno un progresso superiore all’1%. Nel complesso, gli investitori restano selettivi, con una preferenza per i mercati dove il ciclo interno appare più robusto e il supporto politico più prevedibile.

Valute: yen protagonista, dollaro più morbido

Sul fronte dei cambi, il protagonista della seduta è lo yen. Il cambio dollaro/yen scivola poco sopra area 155, con un apprezzamento della valuta giapponese di circa lo 0,4% nella seduta, in risposta all’idea che la BoJ possa finalmente alzare i tassi. Il movimento dello yen è più marcato di quello delle altre valute asiatiche, rimaste nel complesso poco mosse contro il biglietto verde.

Il dollaro, dal canto suo, si mantiene relativamente morbido: l’indice che lo misura contro un paniere di principali divise oscilla attorno a quota 99-100, dopo aver perso terreno nelle ultime settimane sulla scia delle aspettative di allentamento Fed. L’euro resta vicino a 1,16 dollari, mentre lo yuan offshore si muove in un range ristretto intorno a 7,07 per dollaro, segno che le autorità cinesi continuano a gestire con attenzione la volatilità del cambio.

Più sofferta la giornata per alcune divise emergenti: la rupia indiana si muove su livelli deboli, vicini ai minimi storici in termini reali effettivi, il che riflette sia flussi in uscita da parte degli investitori internazionali sia la forza residua del biglietto verde dopo mesi di politica monetaria restrittiva negli Usa.

Petrolio e gas risalgono, oro oltre 4.200 dollari

Le materie prime energetiche tornano a muoversi al rialzo, sostenute dalle decisioni dell’Opec+ e dalle aspettative di un ciclo di tagli Fed che, se confermato, ridurrebbe la pressione sul dollaro e sulla domanda globale.

Il WTI tratta intorno ai 59-60 dollari al barile, con un guadagno vicino al 2% nella seduta, mentre il Brent oscilla in area 63-64 dollari, in rialzo di poco meno del 2%. Nonostante il recupero di inizio dicembre, i prezzi del greggio restano nettamente sotto i picchi dell’anno, riflettendo un equilibrio ancora delicato tra tagli all’offerta e timori sulla crescita.

Sul fronte del gas, i future sul gas naturale Usa si muovono poco sotto i 4,8 dollari per milione di Btu, dopo una fase di forte volatilità legata alle condizioni meteo e alle prospettive di export. Il gas europeo viaggia nell’intorno dei 30 euro/MWh, livelli che restano elevati rispetto alle medie pre-crisi ma lontani dagli estremi dell’emergenza energetica.

I metalli preziosi confermano il loro ruolo di bene rifugio in un contesto in cui i mercati azionari mostrano segni di nervosismo: l’oro si mantiene sopra 4.200 dollari l’oncia, dopo un rally di oltre il 5% a novembre, e i future si muovono nell’area dei 4.260-4.270 dollari. Anche l’argento resta vicino ai 56 dollari, livelli record storici, sostenuto sia dalla domanda d’investimento sia dall’utilizzo industriale nei settori green e tecnologico.

Futures europei in rosso in attesa dei dati Usa

Lo sguardo degli operatori asiatici è già rivolto all’Europa. I future sull’Euro Stoxx 50 risultano in calo di circa lo 0,4%, indicando un’apertura negativa per le Borse dell’area euro. Anche i derivati su Dax e Ftse 100 viaggiano sotto la parità, in scia alla flessione dei future americani su S&P 500 e Nasdaq.

Il mercato si prepara a una settimana fitta di appuntamenti: in agenda ci sono nuovi dati sull’industria globale, aggiornamenti sull’inflazione europea e soprattutto i numeri sull’economia Usa che potrebbero confermare o ridimensionare la narrativa di una Fed pronta a intervenire già a dicembre. In questo contesto, volatilità e prese di profitto restano dietro l’angolo.

“Se la Fed taglierà i tassi ma contestualmente i dati macro Usa dovessero peggiorare troppo, il mercato passerebbe rapidamente dall’euforia alla paura”, avverte un gestore obbligazionario di una grande casa internazionale. “Per ora gli investitori stanno bilanciando la speranza di una politica monetaria più accomodante con il timore di un rallentamento troppo brusco dell’economia”.

Il messaggio che arriva dall’Asia, al termine di una seduta contrastata, è chiaro: il 2026 si aprirà con mercati ancora dipendenti dalle banche centrali, con la Fed nel ruolo di potenziale stabilizzatore globale e la BoJ pronta, finalmente, a cambiare pagina dopo un decennio di tassi a zero.

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