Arrigoni (Lega): "Decarbonizzazione e impegno sul clima, ma con pragmatismo e senza condizionamenti ideologici"
- di: Redazione
Senatore Arrigoni, la Lega, e Lei per primo, ha da tempo denunciato il pericolo che le scelte energetiche del passato penalizzano troppo il Paese. Un allarme che è stato confermato da eventi recenti, come la pandemia, che sta mettendo a dura prova il nostro tessuto industriale, da sempre troppo condizionato da fattori esterni. Cosa la indusse, quando di questo problema non si avvertiva la gravità, a denunciare i pericoli di una esasperata dipendenza energetica?
Vi erano alcuni fattori d’allerta, ma tre più di tutti mi preoccupavano. Innanzitutto il costo dell’energia in Italia, mediamente maggiore del 15% rispetto agli altri Paesi d’Europa, che rappresenta anche un pesante gap per la competitività delle nostre imprese. Poi, l’eccessiva dipendenza energetica dall’estero del nostro Paese: rappresentata dal 15% circa per l’elettricità, che importiamo principalmente dalla Francia (che la produce per il 72% con il nucleare), ma soprattutto dal 95% di dipendenza dal gas che importiamo dall’estero. Va ricordato che il gas naturale, da almeno tre anni, nonostante sia una fonte fossile, era stato individuato anche dal nostro PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia Clima) come strategico per accompagnare nel breve e medio periodo la transizione ecologica, in attesa dello sviluppo dell’idrogeno, Quindi, la politica energetica europea e anche italiana degli ultimi anni legata al Green Deal, troppo ideologica e poco pragmatica, con un’eccessiva accelerazione verso la decarbonizzazione e schiacciata sulle rinnovabili, principalmente su fotovoltaico e eolico che non sono programmabili, e che negava (e ancora lo fa: basti pensare al pacchetto “Fit for 55” che dal 2035 vuole mettere al bando le auto a combustione interna) il principio di neutralità tecnologica. Per questo, circa un anno e mezzo fa, avevo proposto ai colleghi del Copasir di impegnare il Comitato a portare avanti un approfondimento sul sistema energetico del nostro Paese e sulla relativa sicurezza nella transizione ecologica. Quella proposta, dopo una significativa fase di audizioni, ha portato in questi giorni alla pubblicazione e alla presentazione a Parlamento e Governo di una relazione che evidenzia diverse criticità e lancia anche seri allarmi dal punto di vista geopolitico.
Le ''grane'' energetiche tornano ciclicamente ad occupare le cronache politiche e quindi ad alimentare divisioni spesso generate solo da contrapposizioni ideologiche. Come mai, a suo avviso, accade questo? Perché, secondo Lei, a prevalere è solo il ''pensiero'' e non l' ''azione''?
Quella dell’attuale caro energia non è solo una ''grana'', ma è una vera e propria emergenza, che non ha precedenti ed è pari a quella del Covid, perché, non essendo temporanea, ma avendo caratteristiche strutturali, sta rappresentando sempre più un dramma per famiglie e imprese e rischia anche di bloccare la ripresa economica che invece doveva avere il vento in poppa con il PNRR. Insomma, con l’impatto sul prezzo dei beni di consumo, che si unisce al caro dei prezzi delle materie prime, potrebbe trasformarsi in un vero e proprio dramma sociale. Senza contare anche i rischi di black-out che non solo assolutamente trascurabili, soprattutto nella stagione invernale, dove i consumi di gas sono elevati. È normale che in questo contesto inedito, che è connesso ad un sistema complesso qual è quello energetico, emergano dalle varie forze politiche, anche se sostengono lo stesso Governo, ricette e proposte di soluzioni diverse. Purtroppo alcune di esse determinano contrapposizioni, anche ideologiche, che rallentano e in certi casi impediscono le soluzioni dei problemi a scapito del Paese. Personalmente, essendo anche ingegnere, sono solito analizzare i problemi basandomi sulla conoscenza delle tecnologie e soprattutto sui dati, che non sbagliano mai e ti consentono di conoscere i processi e dunque di individuare proposte concrete. Ecco, alla Lega piace agire con pragmatismo, anteponendo le azioni concrete alle prese di posizione spesso ideologiche, che abbondano proprio nel Green Deal. È per questo che, mentre sullo scostamento di bilancio per fronteggiare il caro bollette, anche PD e M5S, seppure in ritardo, hanno condiviso la richiesta di Salvini al Governo, sulle misure strutturali da adottare le posizioni divergono. La Lega crede che per la transizione, oltre alle rinnovabili non programmabili quali fotovoltaico e eolico, debbano essere sviluppate altre FER quali idroelettrico, geotermia e biomasse, ma soprattutto che un ruolo imprescindibile di affiancamento lo avrà il gas naturale nel breve e medio termine e il nucleare nel lungo termine, se vogliamo davvero arrivare a produrre idrogeno pulito, verde e viola. Il M5S e il PD, come dichiarato dal segretario Letta, vogliono invece escludere qualsiasi ruolo del gas e del nucleare, auspicando un’accelerazione ed una penetrazione totale delle rinnovabili, francamente irrealizzabile!
La Lega ha ipotizzato, per prima, la strada dello scostamento di bilancio quale soluzione per tamponare le enormi falle nei bilanci delle famiglie e delle imprese. Questa soluzione, sebbene molto importante, sembra essere contingente. A meno che non la si ponga alla base di scelte che impegnino i futuri esecutivi. E' d'accordo e, se sì, con quali strumenti?
Il Governo Draghi nel secondo semestre del 2021 è intervenuto per ben 3 volte, stanziando complessivamente 8,5 miliardi (3,8 dei quali a dicembre con la legge bilancio 2022), per fronteggiare il caro energia e contenere l’aumento delle bollette di luce e gas per 29 milioni utenze domestiche, tutelando 3 milioni di famiglie vulnerabili e 6 milioni di micro imprese. Si è trattato di misure importanti, ma non sufficienti per l’entità della tempesta che si è abbattuta sul nostro Paese: gli aumenti deliberati a fine dicembre dall'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, per il primo trimestre 2022 sono rimasti comunque significativi e rispettivamente del 55% per l’elettricità e del 41,8% per il gas. Inoltre, le medie e le grandi imprese, soprattutto quelle energivore del manifatturiero (ceramica, vetro, carta, fonderie, acciaio, alluminio, chimica, cemento), stanno vivendo un dramma e non hanno, se non minimamente, beneficiato degli interventi dell’esecutivo. Di fronte ad aumenti anche del 500-800% dell’energia molte imprese hanno rallentato la produzione, diverse non hanno ripreso l’attività dopo le vacanze natalizie per non produrre in perdita, altre ancora stanno iniziando a scaricare sui prezzi di listino dei loro prodotti i maggiori costi sostenuti, ‘contribuendo’ così a determinare un preoccupante aumento dei prezzi dei beni di consumo e una spirale inflazionistica assolutamente pericolosa per la ripresa economica. Per questi motivi, per scongiurare il pericolo che decine di migliaia di lavoratori finiscano in cassa integrazione e per il fatto che come Lega siamo convinti che il caro energia non sia semplicemente un'emergenza congiunturale, ma abbia invece caratteristiche strutturali, abbiamo chiesto con forza al Premier Draghi di prevedere uno scostamento di bilancio significativo per ridurre per quest’anno i costi energetici alle utenze e salvare da un vero e proprio incubo famiglie ed imprese. Lo scostamento deve essere fatto subito, con urgenza, e dev’essere dell’ordine di 30 miliardi perché questa è la stima del maggior costo che nel 2022 le imprese rischiano di sostenere rispetto al 2019, che è l’anno di riferimento visto che il 2020 è stato caratterizzato dal lockdown.
Le emergenze energetiche che sembrano entrate nella consuetudine dell'Occidente sottolineano che è forse arrivato il momento di ridiscutere le scelte del passato, come laicamente stanno facendo Francia e Germania, ma anche Spagna e Portogallo. Comunque non si può non considerare che ormai l'energia sia diventata un'arma di pressione politica, se non addirittura di ricatto. C'è insomma la necessità di continuare a garantire un flusso energetico costante senza per questo dovere cedere alla legge del più forte. Come raggiunge un punto di equilibrio tra queste due esigenze senza intaccare il concetto di sovranismo?
Il caro energia, oltre che minare fortemente la ripresa economica attesa dopo la pandemia Covid, sta avendo conseguenze negative dal punto di vista sociale, ma anche ambientale, considerato che con le strozzature nelle forniture di gas è tornato paradossalmente ad aumentare anche l’impiego del carbone. L’Europa, ubriacata di Green Deal e ispirata ideologicamente da parole d’ordine come decarbonizzazione e elettrificazione, negli ultimi 3 anni ha operato e preso decisioni senza la consapevolezza che a famiglie e imprese bisogna fornire energia in quantità necessaria e a costi più adeguati, in modo continuativo e dunque con un sistema energetico sicuro. Non ne va solo della competitività delle nostre aziende, ma anche della vita e dello sviluppo del Paese. La commissione UE nelle proprie scelte, sbagliando, ha prestato troppa attenzione alla sostenibilità ambientale senza curarsi di quella economica e sociale. È significativo in proposito che dopo l’ipotesi iniziale di escludere gas e nucleare nella tassonomia, dopo lo tsunami del caro energia, con un bagno di umiltà, sia tornata sui propri passi includendoli, come confermato nell’atto delegato presentato il 31 dicembre 2021 che ha creato divisioni e per quanto riguarda il nucleare fronti contrapposti guidati da Francia e Germania.
In questo nuovo e drammatico scenario, l’Europa da ormai tre mesi fatica a trovare una sintesi al proprio interno per l’adozione di scelte comuni che consentano di contrastare il caro energia, come ad esempio le proposte finora inconcludenti di acquisto comune del gas e di regole per la gestione comune delle scorte. Nella stessa Europa che, anziché dialogare con la Russia di Putin (primo fornitore di gas) , decide invece di irrigidire ancora di più le relazioni diplomatiche, complicando le cose e trasformando di conseguenza il gas in arma di pressione politica, si registra l’azione individuale di diversi Paesi membri volta a rivedere significativamente la propria politica energetica per tutelarsi.
In questo difficile quadro, l’Italia non può essere da meno e dunque come Lega spingiamo affinché, in aggiunta al piano d’intervento europeo, si agisca anche su un piano nazionale riducendo la dipendenza energetica, diversificando gli approvvigionamenti e - rivendicando il comportamento virtuoso del nostro Paese negli ultimi anni nel processo di decarbonizzazione (phase-out delle centrali a carbone) - proponendo alla Commissione UE di rivedere i criteri troppi stringenti per il gas introdotti nel documento della tassonomia, che penalizzano eccessivamente i Paesi come il nostro a vantaggio di Paesi, come la Germania, che invece nel proprio mix energetico hanno ancora una quota importante di carbone e lignite.
Se domani, a elezioni fatte la Lega fosse il primo partito e quindi autorizzato a reclamare la guida del governo, quali sarebbero le prime mosse da fare in campo energetico? Referendum sul nucleare? Ridefinizione degli accordi con i Paesi fornitori (a cominciare dalla Russia)? Fare 'all in' sulle rinnovabili? Riprendere le introspezioni petrolifere, nella speranza di trovare giacimenti che allentino la dipendenza dall'estero?
Proporremmo una politica energetica certamente volta alla decarbonizzazione e al contrasto dei cambiamenti climatici, ma da attuare con pragmatismo, operando la transizione ecologica senza accelerazioni e con l’opportuna gradualità. Inoltre, lavoreremmo per ridurre la dipendenza energetica dell’Italia, per diversificare gli approvvigionamenti, per rafforzare la sicurezza sistema energetico, per garantire la neutralità tecnologica e per non esporci alla vulnerabilità verso la Cina. Occorrerebbe quindi, certamente, ridefinire gli accordi di fornitura del gas, in primo luogo con la Russia, principale fornitore dell’Europa, riprendendo a stipulare contratti a lungo termine. Sarebbe inoltre prioritario agire in sede europea affinché la Commissione UE riveda la recentissima e profondamente sbagliata cancellazione dalla lista dei progetti di interesse comune europeo del raddoppio del TAP, fondamentale per la diversificazione degli approvvigionamenti. Aumentare l’estrazione nazionale di gas dai nostri giacimenti - almeno raddoppiando gli attuali 4 miliardi di metri cubi all’anno – contribuirebbe a diminuire la nostra dipendenza energetica, favorendo gli investimenti nel Paese, portando royalties ai territori, maggiori entrate per l’erario e garantendo minore inquinamento visto che importando gas si emette di più CO2. Basta assistere immobili all’estrazione solo da parte di Croazia e Grecia del gas da giacimenti condivisi nei fondali dell’Adriatico! Bene poi lo sviluppo delle rinnovabili, ma non esclusivo, dato che fotovoltaico e eolico, non essendo programmabili e producendo energia solo quando c'è sole e vento, ci espongono alla loro volatilità, che dovrebbe essere assorbita da sistemi di accumulo che devono essere ancora sviluppati.
Infine, se l'obiettivo è decarbonizzare al 2050 e rispondere alla sempre maggiore e crescente domanda di energia elettrica - considerato l’orientamento all’elettrificazione dei consumi, peraltro da rifornire in modo stabile e continuativo - se dobbiamo pensare a sostituire a lungo termine il gas con l'idrogeno, è certo che in futuro non si potrà fare a meno del nucleare. Sull’energia dell’atomo, che anche in Italia non deve più rappresentare un tabù, occorre fare ricerca su quella di ultima generazione, pulita e sicura, riaprire nuovi corsi universitari di ingegneria nucleare, partecipare come Paese con le nostre imprese, già specializzate, a progetti a livello europeo anche dal punto di vista operativo. Per questo è ormai ineludibile - ed è quello che sta facendo la Lega - riaprire nel Paese un dibattito serio sul nucleare, con rigore scientifico e senza pregiudizi, a seguito del quale certamente si potrebbe proporre un Referendum consultivo per coinvolgere i cittadini.