Chiudere account indigesti è la prova della debolezza dei social

- di: Redazione
 
Le prime mosse di Elon Musk da nuovo proprietario di Twitter riaccendono le luci (che peraltro non si sono mai spente veramente) sul tema della libertà d'espressione e su come ormai i social corrano molto più velocemente della vita quotidiana. La materia è molto delicata soprattutto negli Stati Uniti, dove la libertà di ciascuno di dire come la pensa, sempre che non offenda nessuno e si attenga ai perimetri della verità, è uno dei pilastri della democrazia americana. Che è sempre sensibile ai dibattiti che vertono appunto sulla libertà di espressione, soprattutto ora che l'irruzione dei social nella vita di ciascuno sta avendo riflessi assolutamente inattesi.

Chiudere account indigesti è la prova della debolezza dei social

Già l'annuncio di Musk sulla ''spunta blu'', che segnala gli account verificati, ha fatto storcere il naso agli utenti ascoltando che il patron di Twitter intende monetizzarla. E poco effetto ha avuto che lui abbia spiegato che in questo modo Twitter potrebbe affrancarsi dal condizionamento della pubblicità.

Sono altre le cose che alimentano il confronto che, partendo dalla piattaforma ormai ''made in Musk'', investe i paladini del ''libera tutti'' e quelli che, invece, ritengono necessario che il social - qualsiasi social - si doti di strumenti di moderazione realmente efficaci e non di mera facciata.
Che un utente possa prendere posizione su qualsiasi argomento, ma senza che questo divenga l'addendo di una operazione fraudolenta, è cosa scontata o, addirittura, auspicabile.
Ma il punto è: chi decide cosa e, soprattutto, sulla base di quali parametri?

Il caso dell'allontanamento di Donald Trump dal social, di cui l'ex presidente faceva un uso a dir poco compulsivo, è il vero paradigma del problema perché la decisione, presa dal vecchio management della piattaforma, fu adottata in considerazione di contenuti firmati dall'allora inquilino della Casa Bianca ritenuti non in linea con la policy di Twitter. Ma quale può essere la policy di un social che ha la sua ragione d'essere proprio sulla libertà degli utenti di esprimere i loro pensieri e dare i loro giudizi?
La scelta di bloccare gli account di Trump, misura preceduta da una serie di avvertimenti di cui l'ex presidente non tenne conto, proseguendo nell'utilizzo di Twitter come strumento politico, per paradossale che possa apparire ha dato a ''the Donald'' un'ulteriore arma contro quello che ritiene sia l'establishment a lui ostile. Giustificandolo a dire - e trascinando dietro a lui amplissime fette dell'elettorato sovranista e suprematista - che quella era l'ultima disperata mossa della sinistra per neutralizzarlo.
Che questo sia vero o no, poco importa.

Come a poco serve, parlando della vicenda di Twitter, ricordare la strana vicenda delle centinaia di documenti ''top secret'' sequestrati dall'Fbi nella residenza di Mar-a-lago, che evidentemente Trump riteneva godesse dell'extraterritorialità. La cosa su cui si deve e si dovrà discutere è quali debbano essere strumenti e meccanismi che devono presiedere al corretto uso dei social, posto che, se tutti sono uguali davanti alla legge (ed al buonsenso), ci sono delle categorie - soprattutto i politici - che ritengono di vedere le proprie prerogative ampliate del ruolo pubblico che interpretano. E' giusto sottrarre uno strumento di comunicazione, sempre che se ne faccia un uso ''legale'', a chi lo utilizza a mo' di clava contro gli avversari? Certamente sì, considerando che la comunicazione politica stenta a tenere il passo di quella che viaggia sui social, che ormai formano il giudizio o, talvolta purtroppo, lo condizionano o coartano.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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