Tuscania: una gemma tra Viterbo e il mare, incastonata nella campagna laziale

- di: Teodosio Orlando
 
Il grande cinema italiano, tra neorealismo e avanguardia, si è spesso servito di ambientazioni dense di storia, arte, grande architettura e suggestioni mistico-religiose. Tra queste ambientazioni spiccano molte cittadine e vari borghi dell’Italia centrale. Tra i numerosi film che ogni buon cinefilo non può non apprezzare, ricordiamo Vaghe stelle dell'Orsa (1965), di Luchino Visconti, interpretato da Claudia Cardinale e Jean Sorel, e ambientato a Volterra. E Uccellacci e uccellini (1966) di Pier Paolo Pasolini, interpretato da Totò e Ninetto Davoli, e ambientato a Tuscania. In quest’ultima città molti altri registi hanno deciso di usare monumenti e strade come set per le loro pellicole (da Andrej Tarkovskij con Nostalghia, del 1983, a Susanna Nicchiarelli, con Chiara, biopic dedicato a Santa Chiara d’Assisi, in uscita nelle sale italiane a dicembre 2022). Eppure, Volterra e Tuscania, entrambe città di antica origine etrusca e poi plasmate in modo inconfondibile in epoca medievale, una in Toscana, nell’estremo lembo della provincia di Pisa, e l’altro nella Tuscia, in provincia di Viterbo, Alto Lazio, hanno conosciuto un ben diverso destino, come mete turistiche: tanto di moda e visitata la cittadina toscana, quanto appartato, semisconosciuto e vivente una vita umbratile il borgo della Tuscia.

I tesori nascosti d'Italia


Noi siamo convinti che questa condizione di quasi marginalità turistica in parte le giovi, perché ha così potuto resistere a invasioni di torme di persone culturalmente non attrezzate per apprezzarne le bellezze: si è evitato il rischio di riempire il centro storico di fast food e di locali modaioli ed effimeri. Dall’altra parte, è un peccato che la cittadina non sia adeguatamente valorizzata dalle autorità politiche e amministrative locali, con alcuni monumenti in condizioni di semiabbandono. La visita deve obbligatoriamente articolarsi su due livelli: da un lato le pittoresche prospettive e i contrasti cromatici tra le numerose chiese e le case antiche del borgo, con strade e vicoli lastricati di ciottoli e con le torri e le mura medievali sempre sullo sfondo. Dall’altro la discesa/salita verso le due mirabili chiese romaniche – San Pietro e Santa Maria Maggiore – situate fuori porta in cima e ai piedi di un poggio, dove forse sorgeva l’acropoli della città etrusca e dove fino al XV secolo arrivavano le mura. Tuscania oggi conta poco più di 8000 abitanti ed è situata su una collina di tufo tra profondi burroni, al margine meridionale dei Monti Volsini. Grazie all’individuazione di un vasto sepolcreto arcaico a incinerazione ed inumazione, scoperto a due chilometri dall'attuale abitato in località Scaletto (insieme a un altro in località Castelluzza), è stato possibile far risalire agli albori del secolo VII a. C. il primo stanziamento organizzato. Nel IV secolo diventa una notevole città etrusca, fino a possedere perfino un proprio porto, Regas, non lontano dall’odierna Montalto di Castro: testimonianza di questi insediamenti sono tombe a camera vastissime, ipogei, tumuli e cunicoli, sparsi nella campagna circostante.

Le fortune della città continuarono dopo l’occupazione romana della regione avvenuta nel sec. III a.C.  Appartenne alla tribù Stellatìna e dopo la guerra sociale (90 a.C.) fu eretta a municipium. Nell'Alto Medioevo venne contesa tra Longobardi, Chiesa di Roma e Bizantini. Nel periodo delle cosiddette invasioni barbariche fu dominata, in successione, dagli Eruli di Odoacre, dagli Ostrogoti di Teodorico e, dal 574, dai Longobardi, i quali la occuparono per due secoli. Si costituì più tardi in Comune indipendente, con l’egemonia di famiglie magnatizie come gli Anguillara (1067-1066) e gli Aldobrandeschi (dal 1080 in poi) sino al 1337, quando, ormai in decadenza, se ne impadronì la Chiesa.  1222 viene datato il soggiorno di San Francesco d'Assisi a Tuscania, circostanza che contribuì a una fortissima reviviscenza del sentimento religioso cittadino con la conseguente costruzione di numerosi monasteri nel territorio circostante. Papa Bonifacio VIII, per punirla di un tentativo di ribellione, ne mutò il nome in Toscanella, denominazione che mantenne fino al 1911. Martino V la dichiarò contea investendone nel 1421 Angelo di Lavello Tartaglia, fatto decapitare nello stesso anno da Attendolo Sforza. Per punire un’altra delle sue ribellioni, il cardinale Vitelleschi fece demolire un’ampia parte dalla sua cinta muraria. Posta sotto assedio da Carlo VIII nel 1495, venne saccheggiata e parzialmente distrutta, sicché fu necessario ricostruirla successivamente su un’area più circoscritta, probabilmente coincidente con i confini della città etrusca, lasciando fuori le due chiese romaniche di San Pietro e Santa Maria Maggiore, il palazzo Vescovile e quello del Podestà.  La città è tutta edificata in materiale tufaceo e conserva un buon tratto delle mura urbane (di circa 3 km, perimetro che è poco più della metà rispetto a quello della cinta al momento della sua massima estensione, in età medioevale), costruite originariamente in epoca etrusca e romana, benché l’assetto attuale sia sostanzialmente quello medievale. Ma visitare Tuscania, come dicevamo prima, implica un duplice tour: quello intramurale e, con un piccolo sacrificio “podistico”, quello extramurale, per raggiungere le due gemme nascoste, incastonate nella limitrofa campagna come due stelle nel firmamento: la chiesa di San Pietro e la chiesa di Santa Maria Maggiore, che insieme formano quasi  un complesso monumentale a sé stante. In realtà, la cinta muraria, difesa da numerose torri, prima di subire gravi devastazioni da parte del cardinale Vitelleschi e del re francese Carlo VIII, cingeva anche le due chiese. In attesa di entrare nella città per la porta San Marco, dopo aver oltrepassato la Porta del Poggio, vale la pena rimanere sull’ampio rettilineo a giardini chiamato viale Vittorio Veneto, in fondo al quale sorge la chiesa rinascimentale di Santa Maria del Riposo, costruita nel 1495 sui resti di una chiesa più antica (con bellissimo chiostro rinascimentale con affreschi del sec. XVII), e a cui è annesso il Museo Nazionale Tuscanese, gestito dal Ministero dei Beni Culturali (Ministero che difficilmente lascia in gestione ai comuni certi patrimoni artistici, almeno nell’Italia centro-meridionale): espone i corredi tombali e i sarcofagi in terracotta rinvenuti nelle necropoli etrusche della zona, tra cui quelli delle famiglie più importanti di Tuscania, ossia i Curunas e Vipinanas.


Ma come accennavamo prima, chi volesse visitare la città dovrebbe entrare per la Porta San Marco, subito dopo la quale si apre il largo Montascide, e ancora oltre la via Marconi; le strade conservano il tipico tracciato cinquecentesco a scacchiera, mentre l’architettura delle case rimane medievale, soprattutto nella parte settentrionale. L’impressione generale è quella di una cittadina dal fortissimo lascito storico, ma non abbastanza curata, con parco ricorso a quegli interventi di restauro conservativo e a quell’attenzione per l’arredo urbano che contrassegnano altri borghi monumentali italiani. Anche le architetture delle numerose chiese che costellano la cittadina rivelano vari strati storici: la chiesa di San Marco che della prima costruzione romanica conserva un semplice portale con lunetta affrescata e che è stata riedificata nel 1843. La chiesa di Santa Maria della Rosa (sec. XIV), romanica con qualche influsso gotico. Contiene una nicchia rinascimentale dov’è dipinta la Madonna Liberatrice, in ricordo di una dichiarata grazia coincidente con un temporale che interruppe, nel 1495, il saccheggio di Carlo VIII. La chiesetta romanica di S. Silvestro (sec. XV), con un piccolo e delizioso campanile caratterizzato da bifore romaniche a tre colonne. La chiesetta di San Giovanni Battista, dalla fronte decorata da una rosa ottagonale. La chiesa romanico-gotica di San Leonardo, di cui è rimasta solo la facciata, perché il resto dell’edificio è andato perduto: nella sua frammentarietà, risulta suggestiva grazie a un grande arco gotico sotto il quale è collocato un leone in bassorilievo e si apre una bifora. La Collegiata o chiesa dei Ss. Martiri, che custodisce nell'interno un trittico di Francesco d'Antonio detto il Balletta, un cancello in ferro battuto del XV secolo e, nell'archivio, preziose pergamene. Nella piazza Bastianini, ornata dalla Fontana grande, di incerta attribuzione (disputata tra Vignola e Bramante), si affaccia il Duomo, chiesa rifatta nel secolo XVIII sulle fondamenta di una più antica struttura, con una sobria facciata rinascimentale (1572), simile a quella della cattedrale di Viterbo. Vi sono custodite varie opere d’arte, per lo più del XV secolo, di scuola senese (polittico di Sano di Pietro), fiorentina (tabernacolo scolpito con Angeli), viterbese (trittico del Balletta).
Per il resto, il centro storico offre altre “sorprese”, come il Palazzo Comunale,  al cui interno sono conservate alcune lapidi romane e medioevali; ancora di fronte, i resti della Torre del Rivellino, precipitata a causa di un sisma. Il Teatro Comunale “Rivellino”, ricostruito dopo un crollo. La fontana delle Sette cannelle, nella piazza del Mercato, la quale fu aperta nel 1209 e cela le sue origini etrusco-romane sotto il rifacimento trecentesco.

E infine la Torre del Lavello, con un magnifico parco e un belvedere da cui si può ammirare la vallata su cui sorgono le due grandi chiese romaniche. E in effetti, il complemento indispensabile alla visita della città è formato dalle due chiese romaniche “esterne”, che ne costituiscono le opere artisticamente più alte, e senza dubbio tra le più affascinanti di tutta la Tuscia.  L’imponente abside di San Pietro si profila nella sua maestosità al viandante che si incammini per la piccola salita che conduce al complesso monumentale. Dopo una torre mozza a sinistra, si raggiunge lo spiazzo erboso e solitario antistante un’impressionante costellazione di monumenti, formata  dalla chiesa, dall’ex palazzo episcopale e da due possenti torri medioevali, una rastremata, l'altra più bassa, mozza e gravemente danneggiata. Alle loro spalle si staglia una terza, massiccia torre mozza. La Chiesa è senza dubbio uno dei più interessanti monumenti dell’Alto Medioevo italiano, dove stili di epoche diverse si sono sovrapposti senza alterare l’aspetto e l’equilibrio formale, fondamentalmente e potentemente romanico: le influenze successive sono cosmatesche, umbre e pisane. Le sue origini risalgono all’epoca di Carlo Magno (e si favoleggia di un interessamento dello stesso imperatore), ossia al sec. VIII d.C., per opera di maestri comacini venuti da Roma, fu ricostruita nella parte anteriore, nel secolo XII e completata, con la costruzione della splendida facciata, nella prima metà del secolo XIII.  Il primitivo edificio, di cui restano la parte posteriore e buona parte di quella anteriore, è di epoca carolingia, mentre il pavimento a mosaico è del primo scorcio del secolo XIII. La chiesa subì in seguito (dal XV al XIX secolo) una serie di manomissioni e restauri che non hanno impedito di conservare integralmente l’aspetto interno della costruzione dei magistri comacini: rispetto alla tradizione delle basiliche paleo-cristiane, prepara, attraverso elementi del tutto nuovi, l'avvento del romanico: le proporzioni tozze dei colonnati e le mezze colonne incassate nei due ultimi piloni preannunciano i pilastri compositi, elemento fondamentale dell'architettura dopo il Mille, mentre le arcature alle pareti si trasformeranno nei loggiati. L’armoniosa facciata comprende una la parte centrale con un portale, opera di un eccellente artigiano romano del marmo, sormontato da una loggetta cieca, chiusa ai lati da grifoni che atterrano animali e da un grande rosone con i simboli degli evangelisti e, con ai lati, due bifore.  L’interno è un esempio da manuale di architettura, a un tempo nuda e solenne: è diviso in tre navate dove si erigono basse colonne e pilastri incorporanti semicolonne, non allineati e con intercolumni irregolari, sormontati da capitelli romani e medioevali di varie forme; essi reggono archi a tutto sesto e con doppia ghiera dentata al di sopra dei quali, in alto, sotto il tetto a capriate, corre una fascia di arcatelle cieche; sul presbiterio sopraelevato s'innalza lo slanciato arco trionfale, anch'esso a doppia ghiera dentellata, oltre il quale si aprono il vasto transetto e le tre absidi, di cui quella centrale è molto sviluppata. A ridosso dell'abside centrale, si ammira una solida cattedra vescovile in pietra. Le pareti della parte absidale sono rivestite di affreschi, che meriterebbero un profondo restauro, dedicati alla vita di San Pietro, a Gesù Cristo e a San Giovanni. 

Tramite un maestoso ingresso nella navata destra si scende nell'ampia cripta, che d’estate offre un sicuro refrigerio, anche quando la temperatura esterna è di 40 gradi: presenta 9 navate su 28 colonne, provenienti  da edifici romani e reggenti volte a crociera con affreschi del Trecento. A questo punto si può lasciare San Pietro e scendere verso Santa Maria Maggiore, altra splendida chiesa romanica con influssi gotici, risalente al secolo VIII (ma forse con un primitivo nucleo risalente al VI), quasi interamente ricostruita, in due riprese, nel secolo XII, e consacrata nel 1206: è il più antico luogo di culto e la prima cattedrale di Tuscania. La precede una poderosa torre campanaria romanica. La facciata presenta delle analogie con quella di San Pietro, ma con maggiori decorazioni e con coronamento orizzontale. In basso si aprono tre portali dei quali quello destro ha l'arco al livello di quello del mediano e quello sinistro lo ha assai più basso, a causa di irregolarità del terreno. Il portale centrale, di marmo bianco, è  fiancheggiato da due colonne scanalate a tortiglione rette da leoni e sormontate da altre figure animali e motivi decorativi. In alto si apre una grande  rosa con attorno i simboli degli Evangelisti. L’interno è a tre navate divise da colonne e pilastri, con capitelli romanici che rivelano influssi classicheggianti e reggono archi a tutto sesto, ornati da rosoni; nel vasto transetto si aprono le tre absidi: più ampia quella centrale, che ha l'arco trionfale in parte dentellato, più piccole quelle laterali.  Sopra l'arco trionfale, merita particolare attenzione il Giudizio Universale, grande affresco del XIV secolo, nel quale è rappresentato anche il Committente Secondiano, figura rovinata dal terremoto del 1971. L’affresco, opera di Gregorio e Donato d’Arezzo, ha ispirato l’opera analoga di Giotto per la Cappella degli Scrovegni di Padova. L’iconografia è quella classica, con il Cristo Giudice e Pantocratore che divide gli eletti dai dannati. Alquanto singolare è però la figura di un grande demonio che divora i dannati per poi evacuarli nella bocca spalancata di un drago: l’arguzia popolare lo ha ribattezzato “Cacanime”. All'abside, si trova un affresco bizantineggiante della fine del XIII secolo raffigurante gli Apostoli; alle pareti e alle colonne altri affreschi medioevali deperiti e che meriterebbero un profondo restauro. La visita si può concludere con la chiesa della Madonna dell'Olivo, a quindici minuti di cammino, sotto la quale si apre la labirintica Tomba della Regina, vasta tomba a labirinto con colonne intagliate nella roccia. Più lontano, nel podere omonimo, è la Tomba del Calcarello nella quale furono trovati, nel 1827, 27 sarcofagi, che compongono un’interessante necropoli.

Il Magazine
Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
Iscriviti alla Newsletter
 
Tutti gli Articoli
Cerca gli articoli nel sito:
 
 
Vedi tutti gli articoli