Servizio idrico integrato, Cdp: è il momento giusto per investire

- di: Barbara Leone
 
L’uso efficiente delle risorsa idriche è un obiettivo imprescindibile dei sistemi economici e sociali, sia alla luce dei cambiamenti climatici in atto, sia per la rilevanza della risorsa acqua per usi civili, agricoli e industriali. Lo stato di questa infrastruttura in Italia  il risultato di livelli di investimento ridotti e inadeguati rispetto alle necessità che storicamente hanno caratterizzato le gestioni, soprattutto in alcune aree del Paese, sebbene si registri negli ultimi anni una progressiva crescita in particolare per le gestioni industriali. Come cogliere, dunque, le opportunità offerte al servizio idrico dall’espansione della finanza sostenibile e dalle risorse offerte dal Pnrr per superare tutti quei i fattori che da anni frenano la capacità di investimento dei gestori? E’ questo il focus del Brief degli analisti di Cdp intitolato “Servizio idrico integrato: il momento giusto per gli investimenti”. Lo studio, infatti, descrive il funzionamento del settore soffermandosi sugli ostacoli agli investimenti e sulle opportunità da cogliere per il suo pieno sviluppo in chiave industriale. Del resto il servizio idrico integrato, ovvero l’intera filiera di attività che vanno dal prelievo alla distribuzione fino alla depurazione dell’acqua, è un settore in trasformazione caratterizzato da un ingente fabbisogno di investimenti, che le prospettive di sviluppo della finanza sostenibile e le opportunità del Pnrr rendono oggi una criticità superabile. Lo stato delle infrastrutture in Italia è particolarmente critico: le perdite degli impianti di distribuzione ammontano al 42% (in Francia al 20%, in Germania all’8%). Il 36% della rete idrica ha un’età compresa tra 31 e 50 anni, il 22% ha più di 50 anni.

Persistono, poi, i ritardi nell’adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione che hanno portato il nostro Paese a essere soggetto a onerose procedure di infrazione europee. Questa condizione è il risultato dei bassi livelli di investimento storici del settore che, nonostante una crescita degli ultimi anni, restano sottodimensionati rispetto ai fabbisogni: la spesa per investimenti nel settore idrico italiano è ben più bassa di quella registrata nella media dei Paesi europei (49 euro vs 90 euro per abitante nel biennio 2020-20212) e tocca livelli particolarmente contenuti per le gestioni in economia, cioè quelle direttamente in capo agli enti locali. Tra il 2016 e il 2019, infatti il valore pro capite degli investimenti realizzati dalle gestioni in economia è stato pari a circa 8 euro l’anno, con importanti differenze territoriali. Due le principali criticità che pesano sugli investimenti nel settore: la polverizzazione dei gestori, con oltre 2.500 operatori, e un processo di riorganizzazione della governance ancora incompiuto. Solo il 17% degli operatori è classificabile come ‘industriale’, il restante 83% è composto infatti da gestioni in economia. La crescita degli investimenti registrata negli ultimi anni, soprattutto da parte degli operatori industriali, testimonia tuttavia un settore dinamico e con importanti potenzialità. Inoltre, il servizio idrico vive un momento storico particolarmente favorevole per realizzare gli investimenti necessari e superare definitivamente gli ostacoli che ancora ne limitano le potenzialità. 

Le fonti di finanziamento per gli interventi infrastrutturali del settore sono di due tipi: le risorse pubbliche, che oggi rappresentano una componente minoritaria dell’ammontare totale di risorse raccolte (20%-25%); e le risorse private, alle quali le imprese accedono tramite finanziamenti diretti, finanza di progetto, o attraverso il ricorso al mercato dei capitali con project bond, minibond e basket bond. Sul fronte dei capitali pubblici, il Pnrr assegna al settore 3,5 miliardi di euro, di cui poco più di 1 miliardo riconducibile a progetti in essere con risorse già programmate o in corso di programmazione e 2,4 miliardi di nuovo stanziamento. Le risorse stanziate dovranno essere impiegate per investimenti finalizzati a: rendere più efficienti e resilienti le infrastrutture idriche primarie (2 miliardi); ridurre le perdite nelle reti di distribuzione (900 milioni); e superare le infrazioni comunitarie, arrivando ad un azzeramento totale entro marzo 2026 (600 milioni). Si prevedono inoltre due riforme: una rivolta alla semplificazione e ad una più efficace attuazione della normativa relativa al Piano nazionale per gli interventi nel settore idrico; l’altra che mira a rafforzare il processo di industrializzazione del settore, soprattutto nel Mezzogiorno, favorendo la costituzione di operatori integrati, pubblici o privati. L’opportunità offerta al settore dall’attuazione del Pnrr è particolarmente evidente se si considera che sia la realizzazione degli investimenti previsti, sia l’attuazione delle due riforme che ambiscono ad accelerare l’implementazione della governance del settore costituiscono una condizionalità di accesso alle risorse europee. Sul fronte dei capitali privati, il settore può sfruttare il momento di grande sviluppo della finanza green, rispetto alla quale si presenta come particolarmente attraente grazie alla sua natura “intrinsecamente” sostenibile. Infatti il settore idrico è elemento essenziale di sostenibilità ambientale ed economica di un sistema Paese. Si pensi, a questo proposito, alle conseguenze dirette che il buon funzionamento del settore – inteso come riduzione delle perdite degli acquedotti, gestione razionale degli invasi, presenza di depuratori e di sistemi fognari adeguati – ha sulla tutela della risorsa idrica, sull’attività delle imprese e sulla salvaguardia del territorio.

L’”Acqua pulita” è uno dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, così come l’uso sostenibile e la protezione delle risorse idriche rientrano tra i 6 obiettivi ambientali e climatici della tassonomia europea per le attività sostenibili.  A livello globale, i numeri registrati dalla finanza green ne testimoniano una crescita imponente: il segmento dei prestiti - composto da Green Loan e Sustainability-linked Loan - è cresciuto dai 5 miliardi di dollari del 2016 agli oltre 534 miliardi di dollari del 2021; mentre il comparto dei bond sostenibili è cresciuto dai 100 miliardi di dollari del 2016 ai 1.400 miliardi attesi per il 2022. A livello nazionale il mercato è ancora nella fase iniziale del suo sviluppo, ma i ritmi di crescita degli ultimi anni ne fanno intravedere prospettive interessanti. L’ammontare cumulato di prestiti erogati con finalità green ha superato infatti i 13 miliardi di euro nel 2021, ed è destinato a crescere, nonostante le difficoltà di diffusione presso le Pmi, probabilmente a causa della forte strutturazione richiesta per rispettare i criteri standard Esg, che poco si concilia con le caratteristiche di queste imprese. Da sottolineare, poi, che lo stock di obbligazioni green, social e sostenibili emesse da società italiane presso Borsa Italiana alla fine del 2021, valeva quasi 56 miliardi di euro (rispetto ai 16,5 miliardi di euro del 2019 e i 23,4 miliardi di euro del 2020). Mentre nell’ultimo anno le nuove emissioni da parte di società italiane di obbligazioni sostenibili hanno registrato un valore di oltre 30 miliardi di euro a fronte di valori inferiori ai 10 miliardi riscontrati nel 2019 e nel 2020 (9,6 miliardi di euro e 6,9 miliardi di euro rispettivamente).

Per cogliere efficacemente le opportunità del momento, il settore idrico è chiamato dunque a superare definitivamente gli ostacoli che ancora ne limitano un pieno sviluppo in chiave industriale. Le condizioni perché ciò avvenga sono: la finalizzazione del processo di organizzazione della governance del settore; il consolidamento degli operatori, sia attraverso l’apertura del capitale dei gestori a nuovi investitori privati tramite interventi in equity, sia attraverso misure volte a favorire l’aggregazione degli operatori; la trasformazione dei modelli di business degli operatori in chiave sostenibile, elemento chiave per intercettare gli investitori green. Si pensi che ad oggi ancora più della metà dei gestori industriali non ha adottato adeguate pratiche di rendicontazione della sostenibilità.  Rispetto a questo ultimo punto, un elemento che faciliterebbe i processi di trasformazione in ottica sostenibile, è rappresentato dal riconoscimento di criteri Esg più standardizzati e universali. Basti pensare che oggi una stessa azienda può ricevere valutazioni differenti in base all’agenzia di rating emittente. Fino a quando questo processo non sarà compiuto, i rating Esg non costituiranno né un segnale affidabile per gli investitori, né un incentivo per le aziende a sostenere gli inevitabili costi di una trasformazione del business in ottica green.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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