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Lotito e il Molise che non esiste, punti di (svista)

- di: Barbara Leone
 
Lotito e il Molise che non esiste, punti di (svista)
Incastonato nel cuore del Molise che non esiste, si cela un piccolo borgo d’origine sannita: Matrice. Un paesino che conta mille anime appena, famoso soprattutto per una deliziosa chiesetta in pietra simbolo del miglior romanico molisano nonché meta prediletta degli sposi di questa regione. Una regione, il Molise che non esiste, caratterizzata da chiaroscuri perenni. E permanenti, un po’ come l’immobilismo gattopardesco che da sempre la contraddistingue. Una terra aspra e dolce allo stesso tempo, popolata da gente affabile ma contemporaneamente ruvida. E giovane, la più giovane regione italiana. Dal momento che fino al 1963 era un tutt’uno col vicino Abruzzo. Forse nasce da qui la confusione di Claudio Lotito, il pittoresco patron della Lazio in lizza per un seggio in Senato proprio in quel del Molise, il quale nei giorni scorsi candidamente ha ammesso: non conosco questo territorio anche se conosco l’Abruzzo perché mio nonno era di Amatrice. Che però si trova nel Lazio. Vabbè, punti di (s)vista. Ma soprattutto di confini, e forse pure di vocali. Infondo da Matrice ad Amatrice è un attimo: del resto tutti conoscono la famosa pasta alla matriciana, no?

Dopo questa scivolata geografica il povero Lotito è stato spernacchiato senza pietà, come se già non bastasse la penitenza subìta dal suo partito. Visto che Forza Italia lo ha spedito dritto dritto a Campobasso, che detta così pare quasi una punizione e per certi versi lo è, quale candidato di punta nell’invalicabile collegio molisano. Sì, proprio invalicabile. Perché in questo microscopico fazzoletto di terra lussureggiante e incontaminato sono anni che, a mo’ di gioco delle tre carte, si alternano sempre le stesse persone. Vi sono famiglie, nel Molise che non esiste, che cambiando colore (mai rosso vergogna però) si tramandano di padre in figlio i posti di comando in quella che di fatto è una vera e propria roccaforte medievale. Con tanto di valvassori, valvassini e rassegnati servi della gleba. Sono sempre i soliti noti a farla da padrone nel Molise che non esiste. Approfittando del fatto che i molisani sono persone miti, pazienti e soprattutto che si fanno andar bene tutto. Perché lassà fa a Dio, chell che non s’fa uogg s’fa dman! E così, da bravi feudatari, gli mangiano in testa. La verità è che proprio questa storica, e stoica, mitezza è diventata terreno fertile per una classe dirigente ottusa, incapace di ascoltare e di dare risposte e soluzioni. Una classe dirigente che fa spallucce davanti a qualsiasi iniziativa, salvo che non ci si possa speculare sopra, e che ha fatto del clientelismo e dell’interesse privato il suo unico e vincente modus operandi.

Il risultato di questo scempio istituzionale è che negli anni il Molise che non esiste è stato risucchiato in una spirale scellerata e perversa, che ha depredato ogni risorsa di questa regione isolandola volutamente dal resto del mondo. E dire che questa terra, meravigliosamente selvaggia e accogliente al tempo stesso, potrebbe essere davvero un’isola felice. Se non fosse per l’insopportabile abulia della sua gente (non tutta, per fortuna) tanto generosa quanto arrendevole e totalmente inerte davanti alle sopraffazioni di chi è forte coi deboli e debole coi forti. Ecco perché ci fa sorridere l’ingenua uscita di Lotito. Che non ne conosca i confini pazienza. Ma che non ne conosca il territorio e le sue innumerevoli e multiformi sfaccettature è assai grave. Per lui, in primis. Perché così non espugnerà mai la medievale roccaforte dei discendenti dei Monforte. Che son rimasti lì, comodamente fermi in un tempo immobile e imperscrutabile. Sarebbe pure auspicabile che il buon Lotito ce la facesse, non foss’altro che per vedere qualche faccia nuova. Ma non è trasferendosi per venti giorni nel Molise che non esiste che se ne scoprono le contraddizioni. E non è facendo leva, come ha fatto, sui tifosi dello sfortunato Campobasso calcio che li convincerà. Ben altro ci vuole per far cambiare una questa terra imbalsamata e dormiente. Un miracolo, forse. O semplicemente basterebbe tirare fuori quell’anima sannita che secoli e secoli fa riuscì a umiliare finanche gl’invincibili Romani.
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