Laureati in fila per un posto da netturbino: la sconfitta di un Paese in caduta libera

- di: Barbara Leone
 
Signora mia, questi giovani che non vogliono lavorare. Colpa del reddito di cittadinanza! Andateglielo a dire agli oltre mille ragazzi laureati che qualche giorno fa erano in fila a Napoli per un posto di netturbino. Con tutto il rispetto per gli operatori ecologici, ovviamente. Che peraltro servono come il pane, visto lo stato di sporcizia e degrado delle nostre città. E però quei mille e fischia giovani che con in tasca il famoso (e si presuppone sudato) pezzo di carta in tasca aspirano al posto fisso di spazzino, gridano vendetta. E la dicono lunga sulla sconfitta di un Paese in caduta libera verso un baratro senza fine. Non perché chi è laureato non possa o non debba adattarsi a lavori umili, o comunque non esattamente afferenti al percorso formativo intrapreso. Il lavoro è lavoro, e tutto si può fare. A condizione che si tratti di un’attività onesta. E nella vita, chi più chi meno, abbiamo tutti fatto di necessità virtù. All’occorrenza. E’ questa la parolina chiave: all’occorrenza. Perché ci sta che un ragazzo appena laureato faccia un qualunque lavoro per mantenersi ed affrancarsi, vivaddio, dalla dipendenza economica della propria famiglia. Ma dovrebbe essere una parentesi, non una scelta obbligata. Invece questi ragazzi hanno rinunciato ai sogni.

Li hanno messi in cantina, chiusi a doppia mandata perché a riaprirla alla fine si rischia pure di farsi sanguinare il cuore. Oppure chissà, attendono un qualche miracolo che la riaprirà. Come che sia, la verità è che si sono arresi. E questo è imperdonabile in un Paese civile. Sono da ammirare, certo. Perché alla faccia di chi, facendo di tutta l’erba un fascio, sputa sentenze contro di loro dimostrano di non aver paura della fatica. Anche la più dura. E che preferiscono un lavoro al divano, e per di più proprio nella città ove i percettori del tanto vituperato reddito di cittadinanza sono oltre 150mila (in tutta l’area partenopea). Sono da ammirare, ma personalmente gli auguro di non vincerlo questo concorso. Perché un domani, forse neanche troppo lontano, se ne pentirebbero. 
E però… c’è un però. E riguarda l’università, che troppo spesso promette l’impossibile. Va bene seguire le proprie passioni. E va bene pure inseguire i sogni. Ma troppo spesso, e oggi più che mai, gli atenei sfornano carovane di laureati di belle speranze. E nulla più. Ci sono facoltà che preparano zero al mondo del lavoro.

O che sono talmente obsolete, nella sostanza più che nella forma, da far cadere le braccia. Perché in certi casi solo un povero illuso può credere di uscire da lì e trovare un lavoro consono al percorso di studi intrapreso. Laurearsi in Storia del teatro e sperare di fare il critico teatrale è semplicemente un’utopia. Per non parlare dell’esercito di laureati in Giurisprudenza o Scienze delle comunicazioni. Avere quel pezzo di carta purtroppo, e sottolineo mille volte purtroppo, oggi come oggi non fa la differenza. Anzi, spesso è volentieri è finanche invalidante. Perché si rischia di andare a fare un colloquio per un posto da commessa e sentirsi dire: sei troppo qualificata. Capita, fidatevi che capita. E poi ci sono i laureati in scienza della fuffa. Facoltà fighissime e nuove di zecca, ma che non insegnano assolutamente in nulla. E così tanti ragazzi escono da lì calzati e vestiti da disoccupati garantiti.

Forse sarebbe il caso di mettere un limite alle iscrizioni a certi corsi di studi in linea con le richieste del mercato. Oppure semplicemente bisognerebbe dire le cose come stanno, affinché i ragazzi possano ponderare meglio le loro scelte. Perché alla fine della fiera la domanda è una: meglio una società brutale ma onesta, come ad esempio quella americana dove, banalmente, vieni lasciato ai margini? Oppure una meno brutale ma ipocrita come la nostra dove, ad ogni modo, vieni comunque marginalizzato ma senza che nessuno cerchi di fartelo capire prima? Rispondere non è facile. Ma il dubbio resta. Perché poi passare dai sogni alla realtà può essere molto traumatico. Ed a quel punto a che santo ti rivolgi? All’angelo custode. Quello che, per dirla con Checco Zalone, non abbandona i suoi posti fissi. 
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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