Abruzzo, Confartigianato: investire su turismo e digitale

- di: Barbara Bizzarri
 
L’Abruzzo è una splendida regione che, se fosse stata altrove, sarebbe già incoronata come un paradiso terrestre, perché ha tutto: mare, montagna, una natura meravigliosa, percorsi enogastronomici da beatitudine e una storia affascinante da conoscere, narrata da grandi scrittori come Ignazio Silone e Gabriele D’Annunzio e con tradizioni, come la celebre Perdonanza Celestiniana, annoverate dall’Unesco nel patrimonio intangibile dell’umanità. Invece, come spesso accade, sono i “forestieri” a scoprire ed esaltare le meraviglie italiane: gli americani hanno collocato l’Abruzzo tra i migliori posti dove vivere. Perché questo spicchio di incanto non riesce davvero a prendere il volo come accaduto ad altre regioni, Toscana e Umbria su tutte, diventate un autentico brand di happy life? Ne parliamo con Daniele Giangiulli, Direttore di Confartigianato Chieti - L’Aquila, con cui facciamo anche il punto della situazione, data la contingenza in corso. “Il discorso è complesso - commenta - perché per essere attrattivi si deve avere una struttura adeguata, sia a livello di infrastrutture, che di accoglienza e di conoscenza delle lingue, è un problema che non si risolve dall’oggi al domani. Con l’aeroporto di Pescara hanno potenziato molto, però da un lato c’è un problema di ricettività e di formazione degli operatori turistici affinché siano pronti ad accogliere soprattutto turisti stranieri, poi abbiamo un turismo di passaggio, i visitatori non vengono per vivere l’Abruzzo. Servirebbe mappare tutto quello che l’Abruzzo ha: il sistema dei parchi, dei musei, privilegiare il turismo religioso, delle abbazie, gli eremi, il Miracolo Eucaristico a Lanciano, il Volto Santo a Manoppello, il cammino di San Tommaso. Poi, elaborare una promozione adeguata e unitaria, non frammentata come è attualmente e la valorizzazione all’estero, tramite una campagna appropriata di comunicazione e di diffusione. È una questione anche di risorse economiche”.

A proposito di risorse, qual è la situazione delle PMI abruzzesi adesso, dopo anni di pandemia e una guerra in corso?

Abbiamo visto un concatenarsi di eventi che ha messo a dura prova il sistema produttivo regionale. Dopo la pandemia c’è stato qualche segnale di ripresa, ma poi abbiamo avuto subito una mazzata con la crisi ucraina, che comunque parte da lontano, perché già dal 2014 con la situazione della Crimea c’era stato un crollo delle esportazioni. Oggi, le conseguenze della difficile situazione in atto rischiano di essere scaricate interamente sulle esportazioni verso la Russia, che per l’Abruzzo hanno un valore di quasi 86 milioni di euro. Durante la pandemia le imprese hanno ricevuto una iniezione di liquidità importante da parte del sistema bancario, e con il “decreto liquidità” sono riusciti a ottenere molto credito, però ora stanno iniziando le rimesse di chi ha avuto due anni di preammortamento. In questo periodo stiamo assistendo imprese che chiedono dilazioni di pagamento o nuove rateizzazioni perché non riescono a far fronte agli impegni finanziari. Per giunta, la crisi con l’Ucraina ha generato un aumento sui costi delle materie prime, le bollette sono triplicate e imprese che già lavoravano con margini ristretti sono state costrette, in alcuni casi, a fermare l’attività.  Tanti preferiscono non produrre perché questo li farebbe lavorare in perdita, meglio stare fermi. 

Quali sono le imprese più penalizzate?

Del totale delle imprese del Chietino colpite dagli effetti della guerra, il 98,9%, sono micro e piccole imprese, mentre nell’Aquilano quelle esposte sono il 99,4%, un dato che colloca la provincia al 17esimo posto tra i territori maggiormente colpiti d’Italia. In entrambe le province, il comparto più penalizzato è quello delle costruzioni, e tutta la parte manifatturiera che consuma energia elettrica e, soprattutto, gas. Ho visto con i miei occhi bollette di associati schizzare da tremila a tredicimila euro mensili, quindi non si riesce a far fronte agli impegni assunti. Si era già in una situazione di difficoltà e tensione finanziaria, adesso riuscire a sopportare ulteriori costi fissi per importi ingenti finisce con il mettere in difficoltà. Addirittura, tutte le misure legate al superbonus e al sismabonus a breve metteranno al collasso tutta la filiera dell’edilizia, perché le imprese non riescono a smobilizzare i crediti. C’è un muro da parte del sistema bancario, che ha difficoltà ad accettare crediti da parte delle imprese e queste si trovano esposte, perché magari hanno fatto lo sconto in fattura al cliente finale e non riescono a vendere i crediti alla banca. Oltretutto, sono aumentati esponenzialmente i costi di materie prime di approvvigionamento provenienti per la maggior parte dalla Cina: l’alluminio, il rame. Ci aspettano un autunno e un inverno difficili. Non si dimentichi, poi, il danno della speculazione che esiste, per esempio, con il 110. L’aspettativa di ristrutturare casa guadagnandoci ha generato una speculazione sulle materie prime, schizzate alle stelle: prezzi raddoppiati e triplicati nel giro di qualche mese. Sono partite perfino operazioni di controllo da parte della Guardia di Finanza e le banche hanno chiuso un po’ i cordoni della borsa. Le banche, che sono le uniche titolate per acquistare crediti in questi giorni, hanno modificato le condizioni a loro vantaggio, e in modo unilaterale. 

Quale potrebbe essere una soluzione?

Si dovrebbe aprire una seria riflessione sul nucleare. Per anni ci si è scagliati contro le centrali nucleari senza un’analisi approfondita dei rischi e dei benefici che queste centrali avrebbero generato sul territorio. Gli ecologisti si sono sempre scagliati contro, però sappiamo bene che abbiamo impianti di rigenerazione al confine, quindi, per assurdo, non beneficiamo degli aspetti legati a una produzione diretta di energia ma, in caso di una malaugurata sciagura, ne subiremo tutti gli aspetti negativi. Abbiamo visto che il presidente Macron ha annunciato nei mesi scorsi un investimento nei nuovi reattori nucleari: in Francia ce ne sono già trentacinque, vogliono metterne altri dieci nei prossimi anni, però in Italia il discorso del nucleare è tabù. Lo dico da persona chiaramente non esperta del settore, ma una seria riflessione su benefici e potenziali rischi sarebbe utile. Esistono generatori di ultima generazione con un rischio di catastrofe davvero limitato, e ciò potrebbe consentire alle nostre imprese di pagare un costo dell’energia e del gas davvero inferiore. Rispetto ad altre imprese francesi o tedesche paghiamo l’energia elettrica il 40% in più, un fattore di competitività importante che va a incidere sulle piccole imprese.

Quanto pesa la burocrazia su tutto questo?

Burocrazia e fiscalità sono i due fardelli che pesano maggiormente sulle nostre imprese. Uno studio di Confartigianato ha misurato proprio l’impatto della burocrazia sulle piccole imprese e aveva quantificato nei primi quattro mesi dell’anno il tempo che un’impresa impiegava nel disbrigo delle pratiche burocratiche: quindi, si lavora quattro mesi per quello e poi si comincia a lavorare per la propria attività. Per quanto riguarda la fiscalità, siamo il Paese più tassato d’Europa: c’è un mix velenoso tra fiscalità e burocrazia, costi fissi di energia e gas per cui stiamo subendo delle batoste, si fa tanta difficoltà per le piccole imprese e poi c’è un aspetto paradossale: molte imprese non riescono a trovare manodopera, persino per il reddito di cittadinanza che ha inciso: da molti colloqui fatti con imprese ho sentito che i ragazzi preferiscono stare a casa piuttosto che andare a lavorare. Parlo di lavoratori non sfruttati e assunti regolarmente, però nonostante questo non si riesce ad ottenere manodopera specializzata. Gli imprenditori potrebbero avere difficoltà a trovare manodopera perché non pagano in modo adeguato, e non per il rdc. Certamente esiste un aspetto legato alla non regolarità dei contratti, ma d’altra parte conosco davvero tante aziende disposte ad assumere con contratti regolari le figure più svariate, e ad ogni livello si fa fatica. Ho almeno quaranta richieste per personale stagionale dal mondo della ristorazione, che di questi tempi ha una forte esigenza, e contestualmente abbiamo aziende nel settore dell’automotive, per esempio, o dell’informatica, che richiedono tecnici specializzati e non riescono a trovarli.

Perché domanda e offerta di lavoro non si incontrano?

C’è un problema soprattutto culturale perché per anni, colpa pure dei nostri genitori, hanno demonizzato i lavori dell’artigianato, ritenendoli professioni di serie B. La spinta è stata sempre indirizzarci su percorsi accademici perché un figlio non può non essere laureato: è altrettanto vero, però, che se si sceglie una laurea generica, non si affronta il percorso di studi nel migliore dei modi e il rischio è di essere laureato sì, ma dal giorno dopo disoccupato e con altissima difficoltà a trovare un impiego. Quello che dico sempre ai ragazzi che vediamo nelle scuole è di scoprire la propria passione e la propria vocazione a prescindere dal percorso di studi. Ci sono tanti mestieri legati all’artigianato e all’artigianato digitale, programmatori, grafici, esperti di marketing. Sono tutti nuovi settori che potrebbero dare grande risposta sia motivazionale che economica, si potrebbe guadagnare da un lavoro in autonomia legato all’artigianato. In Abruzzo scontiamo la cultura del posto fisso inculcata da vecchi amministratori, parliamo di uomini della Prima Repubblica che hanno fatto tanto per la regione ma promuovevano l’idea del posto fisso alla ASL o alle Poste, per cui la vivacità imprenditoriale non si è mai sviluppata in Abruzzo, a differenza delle confinanti Marche, dove abbiamo un tessuto produttivo e imprenditoriale molto vivace, fatto di tanti piccoli e medi imprenditori. In Abruzzo, la cultura del rischio e del mettersi in proprio, ahimè, non si è sviluppata come in altre regioni. Mi fa piacere che nel PNRR si parli molto di scoperta e rifinanziamento degli Istituti Tecnici Professionali, perché sul turismo, sul digitale potrebbero dare una formazione tecnica specializzata a molti ragazzi e offrire una concreta opportunità di lavorare sia come dipendenti che come lavoratori autonomi. Un’analisi del nostro Centro Studi ha rilevato che nel primo trimestre 2022 in Abruzzo si sono iscritte 532 imprese artigiane, in aumento rispetto alle iscrizioni del corrispondente trimestre del 2021. L’effetto complessivo di questi flussi ha generato, nel primo trimestre 2022, un saldo negativo pari a 125 unità, in miglioramento rispetto al -267 dell’anno prima. 

In base alla sua esperienza, come dovrebbero essere utilizzate le risorse del PNRR in ambito regionale?

Dovrebbero essere impiegate in modo proficuo ma, ad oggi, tutti questi bandi per le piccole imprese non si sono visti. Il rischio è una dispersione importante di risorse: mi piacerebbe che questi bandi fossero davvero alla portata delle piccole imprese, perché non dimentichiamo che il 60% del PNRR è fatto a debito sullo Stato, quindi un cattivo impiego rischierebbe di farci pagare uno scotto importante per le prossime generazioni. Ne va fatto un uso oculato e andrebbe tarato sulla portata delle micro e piccole imprese, con bandi che siano regionali piuttosto che nazionali, e realmente fruibili. Confartigianato ha creato un Osservatorio Nazionale al riguardo, ma è molto complicato ottenere bandi alla portata delle piccole e medie imprese.

Date le circostanze, cosa fa Confartigianato Chieti - L’Aquila per ricucire il tessuto economico della regione?

Confartigianato Chieti - L’Aquila ha realizzato, in tempi non sospetti e in piena crisi pandemica, con un investimento importante, una scuola di formazione professionale a Chieti sviluppata su 1300 mq di superficie e orientata proprio su quelle professioni maggiormente richieste dal mercato del lavoro: abbiamo i settori della ristorazione, del benessere, del turismo e del digitale. Quattro categorie che ci consentono di offrire lavoro ai nostri allievi il giorno dopo aver conseguito la qualifica professionale. 

Conviene, a suo parere, investire in Abruzzo?


In questa fase, converrebbe molto investire sul turismo perché stiamo vivendo la stagione in cui, anche per necessità legate al Covid, l’esigenza di tornare in mezzo al verde ai parchi in zone poco affollate è particolarmente sentita. Abbiamo la Costa dei Trabocchi e la pista ciclopedonale completata da San Benedetto a San Salvo, sarà la pista più lunga d’Europa e dietro alla pista, che è già percorribile, la zona a sud dell’Abruzzo è meravigliosa e molto frequentata: attorno ad essa stanno fiorendo industrie ricettive e legate al mondo della ristorazione. Potrebbe essere un nuovo brand per far conoscere l’Abruzzo, venire sulla costa e da lì muoversi su tutto l’Abruzzo, dirigendosi magari sui tre parchi nazionali, sulla Majella e sul Gran Sasso e proseguire con facilità verso l’interno. Inoltre, sono state mappate 370 km di piste ciclopedonali e la sostenibilità del mezzo è nota: il cicloturismo anche in Abruzzo è in crescita.
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