God save Lillibet

- di: Barbara Leone
 
Pensavamo fosse immortale. Un highlander. Negli anni le battute sulla sua forte tempra e sulla sua longevità si sono sprecate. E invece la Regina Elisabetta è morta. Se n’è andata in un tiepido pomeriggio di settembre in punta di piedi, accompagnata da un suggestivo arcobaleno spuntato sul castello di Windsor alla notizia della sua morte. E con lei se ne va lei se ne va l’ultimo grande testimone del secolo scorso, che coi suoi settant’anni di ineguagliabile regno ha visto il mondo cambiare in tutte le sue declinazioni. E non sempre in meglio. Dal dopoguerra alla pandemia, da Churchill alla Brexit, dalla guerra fredda alla globalizzazione ed alla nuova guerra che sta mettendo in ginocchio l’Europa. Quando a morire è l’immortalità della storia fatta a persona senti uno strano, quasi angosciante, senso di vuoto. Anche se era lontana anni luce da te.

La verità è che con la Regina Elisabetta se ne va un pezzo di storia, ma anche un po’ di noi. Perché pensando a una regina veniva in mente solo lei. Nessun altra. Non era una regina, ma LA regina, che ovunque e comunque c’era. E proprio per questo adesso è difficile pensare che non ci sarà più. Era un po’ come la colonna di Traiano, e per tantissimi motivi. Degna erede del padre Giorgio VI, che aveva tenuto salde le redini del regno durante il secondo conflitto mondiale confortando e infondendo coraggio in tutti i suoi sudditi, Elisabetta II è stata la migliore sovrana a cui gli inglesi potessero aspirare per attraversare tutte le tempeste di questi ultimi settant’anni. E da oggi nulla sarà più come prima. Si chiude un’era irripetibile, non solo per la longevità. Ma per tutto ciò che ha visto e vissuto durante il suo regno, con la sola macchia indelebile della morte di Diana, che ha finito per umanizzarla, ammorbidirla. Un’era memorabile. Il mondo intero ha ricevuto tanto da lei, perché ha rivoluzionato epoche, stagioni politiche, e mode con un carisma senza pari. Da oggi tutto finito. Non risuoneranno più le note di “God save the Queen”.

Non la vedremo più con quegli improbabili cappellini, con quei tailleur colorati, la manina che saluta e quell’aria apparentemente severa e imperturbabile. Fa strano, no? Al di là di tutto, di ogni pensiero politico o morale, la Regina Elisabetta ha rappresentato il simbolo di come una donna può fare storia, e di come una donna può e deve ricoprire cariche istituzionali. Mai un gesto fuori posto, mai una parola di troppo, mai una lagnanza. Il protocollo sopra ogni altra cosa. Anche sopra ai sentimenti. Ha tenuto sempre un comportamento ineccepibile, sacrificando una grossa fetta di libertà alla storia della sua casata e del suo Paese. Un Paese che ha onorato sin da quando, appena ventiseienne, fu incoronata regina. E l’ha fatto praticamente fino a ieri. Fino a quando, appena qualche giorno, con gli occhi stanchi e la mano livida da flebo ha salutato il nuovo Primo Ministro Liz Truss. Si è spesa fino al’ultimo, con un senso del dovere raro cui forse tutti dovremmo aspirare. Fino all’ultimo ha provato a rassicurare il mondo con il suo sorriso scintillante e irresistibile, lo stesso che ha sempre mostrato sin da bambina. Quando suo nonno Giorgio V la chiamava vezzosamente Lillibet.

Qualcuno dirà: sì, ma ha vissuto una vita di privilegi. E’ vero. Ma anche di sacrifici, nel senso lato del termine. E non s’è mai tirata indietro. Anche se qualcosa dentro di lei s’è irrimediabilmente rotto quando lo scorso anno ha perso Filippo dopo ben 73 anni di matrimonio. Un matrimonio d’amore vero, cosa non scontata per una regina. Non era più la stessa. Quasi come se non avere più accanto l’amatissimo Principe consorte le avesse tolto le forze. Ecco: lì probabilmente Elisabetta si è lasciata andare. Difficile dimenticare la sua aria smarrita durante il funerale dell’amato Principe consorte, lo sguardo nel vuoto, le lacrime mal celate, la solitudine. Tra i banchi della cappella di St George Elisabetta  ha abdicato alla vita. Umana, umanissima come non mai. E noi che pensavamo fosse immortale. God save Lillibet
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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