Brand e cause sociali: la curva dell’efficacia. Il caso della guerra in Ucraina

- di: Giuseppe Castellini
 
“Proprio qui risiederà la vera difficoltà per i brand che hanno scelto di dare un segnale forte alla Russia, a seguito dell’invasione. Perché l’autenticità della loro scelta, dunque la loro stessa credibilità, verranno presto messe alla prova dalla durata del conflitto e dalle sue conseguenze. Perché, se il conflitto proseguirà a lungo o se terminerà asimmetricamente, raggiungendo cioè solo gli obiettivi di chi lo ha iniziato, sarà difficile tornare in quel mercato mantenendo una coerenza con le posizioni iniziali. In particolare, per le aziende che hanno in quella specifica area un target importante. Quanto potranno reggere?”. È la domanda conclusiva dell’ottimo, acuto articolo a firma di Ludovico Fois, Consigliere per le Relazioni esterne e istituzionali e Responsabile comunicazione di ACI, pubblicato sul noto quotidiano Il Sole 24 Ore. L’articolo, dal titolo “La curva di efficacia nell’adesione dei brand alle cause sociali”, analizza scientificamente le forme di coinvolgimento delle principali aziende internazionali nel drammatico scenario determinato dal tentativo russo di invasione dell’Ucraina, vicenda che si è imposta con immediata urgenza alla sensibilità collettiva europea. 

Quasi tutte le principali aziende internazionali - chi prima, chi dopo - hanno mostrato il loro appoggio concreto all’isolamento della Russia. Me le modalità e la tempistica con cui si sono mosse è diversa: “C’è chi – scrive Fois - ancora traccheggiando, soppesa il minor danno tra la perdita immediata del mercato russo e il potenziale danno reputazionale a livello globale per ‘omessa indignazione’ e chi invece ha già sbarrato ogni porta a Mosca. Chi esprime una solidarietà leggera e tutta social e chi invece si attiva con azioni più concrete, in linea con il proprio purpose. Infine, c’è chi - specchio dei tempi - adotta scelte insensatamente radicali, che puzzano di cancel culture. Ma, più o meno tutti, indirizzando un proprio segnale al mercato russo, cercano di sintonizzarsi su quel sentimento di sdegno dell’opinione pubblica internazionale”.

Ma qual è l’efficacia di queste diverse scelte e diverse tempistiche in termini reputazionali? 

Fois spiega che “il tempo, anzi la tempistica, conta. E tanto. È indubbio che proprio nel ‘momento’ in cui verrà operata una scelta, risieda una parte determinante del valore della medesima. Perché la decisione del sostegno ad una causa sociale avrà sempre più, per i consumatori, un valore diverso a seconda della tempistica con cui questa verrà espressa dal brand, secondo un paradigma di autenticità e credibilità che ne determinerà, in ultima analisi, il vero valore reputazionale”.Questa gradazione “potrebbe essere espressa attraverso un diagramma rappresentabile come una sorta di curva e segmentabile in un processo a tre fasi. Un modello secondo cui, al dilatarsi del tempo, si riduce proporzionalmente l’efficacia raggiunta”. 

Prima fase: “In questa fase, per una azienda che ambisce ad avere un pubblico di riferimento più vasto del target che sostiene quel tema, supportarlo rappresenta un azzardo, un rischio, significa esporsi tra i primi dalla trincea, rischiando il fuoco nemico delle polemiche. Ma rappresenta altresì un enorme patrimonio di autenticità e di credibilità da cogliere. Essere stati tra i primi e tra i pochi, a compiere una scelta (in quel momento) difficile, resterà nella storia di quella marca, forgiandola”.

Seconda fase: “Proseguendo, in una fase successiva, all’affermarsi della sensibilità su quel tema, questo diventerà gradualmente maggioritario nella società e scegliere di schierarsi a suo favore verrà percepito come una scelta che prevede un rapporto costo/opportunità adeguato. Ma esattamente per questa ragione, risulterà altresì minore il profitto generato in termini di reputazione conseguita. Una scelta meno rischiosa, meno pura, è più conveniente dunque ‘vale’ meno”.

Terza fase. “È quella che potremmo definire del ‘conformismo’. Il tema è ormai esploso, mainstream e maggioritario nella società, la sensibilità comune lo ha eletto a bandiera di civiltà. Le aziende si affollano in scia nella speranza di coglierne ancora un valore di posizionamento, o per lo meno evitarne un pregiudizio. Ma a questo punto è tardi per cogliere un profitto vero. Questa è una scelta ormai obbligata, dettata dalla pressione critica dei consumatori”. 

(…) “Ma non c’è solo questo. È chiaro che pubblici più attenti e consapevoli (pensiamo alla generazione Z, ipersensibile, che non si accontenta e soprattutto non dimentica), sanzioneranno comunque l’attendismo di aziende ritenute abitualmente più reattive a queste tematiche. Semplicemente perché, a loro parere, avrebbero potuto e dovuto agire prima, senza un eccessivo calcolo opportunistico”. Il delicato obbiettivo da raggiungere è dunque “la percezione che la propria scelta di adesione alla causa sia autenticamente generata da ragioni etiche, in quanto mediata il meno possibile da eccezioni di convenienza economica”.
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Italia Informa n° 1 - Gennaio/Febbraio 2024
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