Roberto Zoia (CNCC e Gruppo Igd): "Non siamo old economy, ma innovatori e attivatori della digitalizzazione"

- di: Redazione
 
Il ruolo dei centri commerciali nella ripresa italiana post-Covid, il loro valore economico-sociale (il business vale il 4% del Pil italiano) e le strategie per essere sempre più protagonisti di un nuovo urbanesimo, le difficoltà del 2020 e le buone prospettive per l’anno in corso, i forti impegni su digitalizzazione e sostenibilità, le richieste ai poteri pubblici per uniformare le regole del commercio fisico e di quello online e per la semplificazione e di riduzione della burocrazia. Questi i temi dell’intervista a Roberto Zoia, Presidente Consiglio Nazionale Centri Commerciali (CNCC) e Direttore Patrimonio, Sviluppo e Gestione Rete del Gruppo Igd.

Intervista a Roberto Zoia, Presidente Consiglio Nazionale Centri Commerciali (CNCC) e Direttore Patrimonio, Sviluppo e Gestione Rete del Gruppo Igd

Nel 2020, secondo l’Osservatorio sull’Industry italiana realizzato dal Consiglio nazionale centri commerciali (CNCC) e Nomisma, a causa della pandemia da Covid-19 il settore ha registrato una perdita complessiva di fatturato del 25%, pari a un decremento di 45,5 miliardi di euro, mentre per quanto riguarda l’occupazione si è avuta una contrazione di circa 55 mila posti di lavoro. Dottor Zoia, com’è andato invece il 2021 e cosa si prevede per l’anno in corso? Lei si è dichiarato ‘molto fiducioso’ sul 2022.
Rispetto al 2020, lo scorso anno i risultati sono stati senza dubbio migliori, seppur ancora lontani da quelli del 2019. Nel 2021, i centri commerciali sono rimasti chiusi tutti i weekend per i primi cinque mesi dell’anno, ad eccezione dei negozi di beni considerati “essenziali”, per cui il vero recupero delle performance, nella piena operatività delle strutture, è stato possibile solo negli ultimi sette mesi. Nonostante la situazione pandemica non ci permetta ancora di tornare ai livelli di normalità precedenti al Covid-19, sono convinto che con l’abbassamento dei contagi e il proseguimento della campagna vaccinale potremo tornare presto a registrare dati in linea con quelli di 3 anni fa.

Quali tipologie di centri commerciali hanno sofferto di più nel 2020 e quali invece stanno registrando la ripresa maggiore? Quali tipi di strutture a suo parere andranno meglio nell’anno in corso? E a livello di categorie merceologiche?
A soffrire maggiormente per gli effetti della pandemia e delle misure adottate per il suo contenimento, sono stati senza dubbio i centri commerciali regionali, ovvero quelli che si trovano leggermente fuori dai centri città. Le strutture di prossimità, che godono di un forte bacino primario e sono raggiungibili più facilmente, hanno invece reagito meglio e più velocemente, diventando veri e propri luoghi di riferimento per le comunità. Se, come mi auguro, nel 2022 la situazione pandemica migliorerà ulteriormente, crediamo che a partire dalla primavera anche i centri commerciali che sono stati finora più penalizzati possano tornare a buoni livelli di ingressi e fatturato.
Per quanto riguarda l’andamento delle categorie merceologiche, l’elettronica e i beni per la casa si sono confermate quelle di maggiore interesse dei clienti, mentre l’abbigliamento, le calzature e la ristorazione quelle che hanno performato peggio.

La sua fiducia sulla ripresa dei centri commerciali, ha spiegato in un’intervista, si basa su ‘due fattori chiave: evoluzione e adattamento. Il nostro impegno in tal senso - ha detto - ci ha permesso di incontrare i nuovi bisogni dei nostri clienti, rendendo le strutture sempre più luoghi di destinazione’. Siamo nel campo del ruolo sociale dei centri commerciali. Può entrare nel dettaglio di questa affermazione, facendo qualche esempio concreto? Lei ha anche affermato che ‘i mall sono e saranno protagonisti di un nuovo urbanesimo’.

Per rimanere appealing, il format di centro commerciale deve essere sottoposto a un continuo processo di adattamento, che richiede la profonda comprensione dei nuovi bisogni della clientela, ma soprattutto l’anticipazione dei bisogni futuri. Come proprietari, gestori e rappresentanti del settore dei centri commerciali, dedichiamo un’attenzione particolare a questo aspetto del nostro lavoro, perché desideriamo che le strutture diventino veri e propri luoghi di destinazione e riferimento per le persone.
Oltre alle migliorie strutturali, i centri investono molto anche nell’ottimizzare i consumi energetici, convertendo ad esempio i propri impianti all’utilizzo di energia rinnovabile, e pongono un’attenzione sempre maggiore al proprio ruolo sociale, come dimostra ad esempio l’apertura di 23 hub vaccinali all’interno di strutture su tutto il territorio nazionale.
Tuttavia, a fare la differenza in questi anni e confermare l’attrattività dei nostri centri, è stata l’importanza che abbiamo dato alla diversificazione dell’offerta in base ai singoli bacini di riferimento. Questo ha permesso alle strutture di integrarsi realmente nel territorio in cui si trovano, rispondendo alle necessità della popolazione del luogo.

Finora in Italia c’è stato o no l’auspicato ‘revenge spending’, ossia quei comportamenti d’acquisto che generalmente seguono le grandi crisi sanitarie, politiche, economiche, sociali, per cui si spende più del normale sia per bisogno di recuperare spese e acquisti rimandati in precedenza?
Abbiamo registrato un netto miglioramento dei fatturati lo scorso anno, rispetto a quello precedente, spinto proprio dal cosiddetto “revenge spending”. Tuttavia, a causa della nuova ondata di pandemia, la scia di ripresa ha subìto una brusca frenata a novembre e dicembre. Questo trend si registra purtroppo anche a gennaio, con le vendite dei saldi che rivelano luci e ombre.

Restando sulla pandemia, la cui fase di emergenza non è ancora cessata pur avendo allentato la morsa, quali elementi permanenti a suo parere lascerà sia sulle caratteristiche dei centri commerciali, sia sui comportamenti dei consumatori?

Nei periodi in cui il numero di contagi era più basso abbiamo riscontrato una grande voglia di tornare nelle nostre strutture, sia per fare acquisti che per godere di momenti di socialità. Questo ci ha confortati sul futuro del nostro settore e ci fa ben sperare che un ritorno ad una situazione di normalità possa determinare un ritorno ai comportamenti del passato. Per il momento, abbiamo registrato un calo degli ingressi ma un aumento dello scontrino medio, a dimostrazione che i clienti continuano a frequentare le nostre strutture, ma facendo visite più mirate all’acquisto.

Riferendosi al settore dei ‘mall’ ha dichiarato: ‘Non siamo old economy, ma innovatori e attivatori della digitalizzazione’. A suo parere come saranno i centri commerciali del futuro?
Come dicevo, il nostro settore è soggetto a continui cambiamenti, volti a modernizzare l’offerta e i servizi. Gli ultimi due anni hanno senza dubbio velocizzato il processo di cambiamento legato all’offerta merceologica, con una riduzione delle dimensioni degli ipermercati e dei negozi di shopping a favore di maggiori servizi legati alla salute della persona. Abbiamo, inoltre, lavorato per migliorare la comunicazione con il cliente, soprattutto in maniera digital attraverso i siti internet e i social network e, in alcuni centri, introducendo il servizio di click and collect.
È anche Direttore Patrimonio, Sviluppo e Gestione Rete del Gruppo Igd. Il Gruppo è tra i protagonisti della Community Retail 5.0, la piattaforma di confronto multi-stakeholder attivata da The European House – Ambrosetti nel 2021 per l’elaborazione di scenari, strategie e policy per il rilancio del retail specializzato in Italia. Perché la Community è nata, quali gli obiettivi e quali i risultati raggiunti in un anno di attività? E perché il Gruppo Igd ha aderito?

All’inizio del 2021, quando erano in vigore ancora molte limitazioni governative per limitare la diffusione della pandemia, abbiamo deciso di aderire come IGD, insieme alle principali properties italiane e i principali players del settore retail per portare avanti, con The European House – Ambrosetti, ad alcune iniziative comuni rivolte alle Istituzioni. Crediamo che in futuro ci saranno ancora molti temi da portare avanti e che il gruppo Community Retail 5.0 possa fornire un contributo alle decisioni politiche che verranno prese nei prossimi mesi.

Lei insiste molto, nel quadro degli interventi che chiede ai poteri pubblici per il rilancio dei consumi, sulla necessità di affrontare l’importante questione della ‘necessaria introduzione di un’uniformità di regole per il commercio fisico e quello online, oltre a sviluppare provvedimenti di semplificazione e di riduzione della burocrazia’. Cosa va cambiato e quali sono i segnali che arrivano dal Governo in questi due ambiti cruciali?

Nel settore del commercio, ci sono ancora troppe asimmetrie competitive tra online e offline. Il commercio fisico si trova ad affrontare una serie di difficoltà burocratiche che non permettono di velocizzare le metamorfosi in atto in termini di modifica di merchandising. Inoltre, gli operatori sono penalizzati nelle cosiddette “vendite straordinarie”, in quanto rispetto all’online sono soggetti ad una serie di limitazioni.

Quale spinta potrà arrivare dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la versione italiana Recovery Plan- Next Generation Ue) al settore dei centri commerciali e alla loro evoluzione per essere a pieno, citando le sue parole, ‘protagonisti di un nuovo urbanesimo’?

Come CNCC siamo convinti che il settore del commercio possa offrire un contributo decisivo alla realizzazione di diversi obiettivi del Governo, soprattutto in termini di digitalizzazione, efficienza energetica, rigenerazione urbana e servizi sanitari territoriali, su cui stiamo già investendo molto da anni.
La nostra industria è impegnata da anni in strategie e azioni orientate alla responsabilità sociale e ambientale, che possano far diventare le nostre strutture un valore aggiunto per il territorio nel quale si trovano. Crediamo nelle nostre strategie e, per questo, abbiamo anche deciso di lanciare il primo “Manifesto per la sostenibilità”, un vero e proprio programma di crescita etico-valoriale per l’intero settore.

Entriamo nello specifico del tema sostenibilità, sotteso - in combinato disposto con quello della digitalizzazione - a tutti temi tratti nelle domande precedenti. Nell’aprile scorso il CNCC ha approvato e lanciato il ‘Manifesto di Sostenibilità’, iniziativa con cui vi ponete pone l’ambizioso obiettivo di perseguire 8 dei 17 Sustainable Development goals (SDGs) definiti dalle Nazioni Unite nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Che valore strategico ha per il CNCC la sostenibilità a 360 gradi (ambientale, economica e sociale) e quali risposte stanno arrivando in questo senso dai vostri stakeholders?
Con la pubblicazione del Manifesto, abbiamo messo nero su bianco la nostra volontà di impegnarci ulteriormente nel perseguire obiettivi sociali e ambientali. Partendo dai 17 Sustainable Development Goals (SDGs) delle nazioni Unite, abbiamo selezionato 8 obiettivi in linea con il nostro business e che ci impegniamo a raggiungere entro il 2030.
Grazie all’incredibile lavoro svolto dalla nostra Commissione ESG, già verso la fine della prima metà dell’anno saremo in grado di raccogliere le stime e i risultati dell’impegno dei nostri associati in termini ambientali, sociali e di governance.
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